Oggi è l'anniversario della morte di Alfredo Rampi, il bimbo nel pozzo
Il 13 giugno 1981, dopo 3 giorni di agonia, moriva Alfredino, il bimbo caduto nel pozzo artesiano. La risonanza mediatica e i dibattiti sulla fallacia dei soccorsi hanno reso l'incidente di Vermicinp un dei casi più noti e toccanti della storia della cronaca italiana

Una passeggiata in solitudine
Troppi errori
Questi cominciarono soltanto a mezzanotte, e non furono pochi gli errori fatti durante le operazioni di soccorso. In primis, fu erroneamente deciso di calare una tavoletta nel buco, affinché il bambino potesse aggradarvisi e risalire. La tavoletta, però, si incastrò nel buco, di fatto creando un muro tra il bambino e i soccorritori.Un secondo errore fu quello di perdere troppo tempo a creare un pozzo parallelo a quello in cui si trovava Alfredo, che era ad una profondità di 45 metri, per arrivare al bambino dal fianco. Il problema è che il terreno era troppo duro e gli scavi durarono troppo, in una circostanza in cui il passare delle ore si rivelò fatale al piccolo. Inoltre, le vibrazione causate dagli scavi fecero scivolare Alfredo ancora più in basso.
I soccorritori nel buio del pozzo
Alla fine, i tentativi più efficaci (ma non risolutivi, purtroppo) furono quelli fatti da persone di corporatura molto sottile, che vennero calate nel buco al fine di tirare su Alfredo allacciandogli delle imbragature. Tra questi, quello che viene ricordato più spesso è Angelo Licheri, che riemerse dal pozzo dopo aver fallito nel tentativo di recupero e dopo essere rimasto ben 45 minuti a testa in giù. Fu lui colui che riuscì ad andare più vicino al bambino riuscendo anche a prenderlo per un polso. Sfortunatamente, il piccolo scivolò ancora di più, dopo ormai giorni di agonia e allo stremo delle forze.La notizia della presunta morte di Alfredo arrivò alle 5 del mattino del 13 giugno, dopo la risalita di uno dei soccorritori Donato Caruso. Il corpo del piccolo, però, venne recuperato solo molti giorni dopo, l’11 luglio seguente. Nel lasso di tempo che passò tra la morte e il recupero, nel pozzo fu immesso gas refrigerante per la conservazione del corpo.
La risonanza mediatica
La diretta non stop dell’incidente di Vermicino fu una tragica fatalità. In quegli anni non era uso enfatizzare “la morte in diretta” e i casi di cronaca tragica venivano analizzati in differita, senza soffermarsi sui dettagli per una sorta di “pudore giornalistico”. Il punto è che all’inizio i soccorritori erano piuttosto ottimisti sull’epilogo della vicenda, ed il capo dei vigili del Fuoco, Elveno Pastorelli, aveva assicurato che il bambino sarebbe stato liberato. Il peggioramento inesorabile della situazione non era previsto e, ad un certo punto, era troppo tardi per chiudere la diretta, considerando anche il fatto che il pubblico aveva manifestato, tramite telefonate e proposte d’intervento alle reti nazionali che stavano trasmettendo l’evento.La diretta andò in onda senza censure: tutti ascoltarono il pianto e i lamenti di Alfredo, e le esclamazioni disperate dei genitori. Successivamente, con un provvedimento del Tribunale di Roma, venne deciso che alcuni momenti troppo emotivamente crudi della diretta non sarebbero più potuti andare in onda e sarebbero rimasti materiale d’archivio della Rai.
La morte di Alfredo Rampi mise anche in luce l’impreparazione e gli errori commessi dai Vigili del Fuoco. La madre di Alfredo desiderò, dopo la morte del figlio, parlare con il Presidente della Repubblica Sandro Pertini per segnalare tutti gli errori che erano stati fatti. Il caso di Vermicino fu la spinta che portò a una velocizzazione del processo di nascita della Protezione Civile, come è stato ricordato anche dell’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione del ventennale dell’incidente.