Il dramma dei podenco, i cani da caccia torturati e uccisi
Si calcola che circa 50mila cani spagnoli siano uccisi dagli stessi allevatori. Un dramma a cui alcune associazioni no profit cercano di opporsi


Un orrore causato dagli stessi allevatori
I “galgueros” competono in vere e proprie gare, ragione per cui la crudeltà nei confronti dei loro cani è diventata tristemente famosa. I podenco sono preferiti quando lo scopo principale è la caccia. Come racconta Loredana Carlotta Fusé, fondatrice dell’associazione Podencos for life rescue, a Tgcom24: “Di solito una volta che non sono più utili verso i due anni di età vengono acquistati altri cuccioli, è più economico”. A quel punto i cani “sono considerati ‘vecchi’. Dopo anni di maltrattamenti vengono uccisi, bruciati vivi o scuoiati in modo da distruggere i chip di riconoscimento”. Non di rado gli animali sono “buttati in dirupi o pozzi, o nel ‘migliore’ dei casi abbandonati per finire nelle perrera (i canili spagnoli) che assomigliano a lager e dove vivono 10 giorni prima della soppressione, se non muoiono prima di fame, sete, per malattie o per le condizioni igieniche”.
Il silenzio delle istituzioni e il ruolo delle associazioni no profit
Gli episodi di maltrattamento di animali sono sempre più numerosi. A volte, come accaduto per il recente traffico di cuccioli di cane provenienti dall’Europa dell’Est, la Polizia riesce ad intervenire e assicurare i colpevoli alla giustizia. Altre volte la situazione è più complicata, e il compito di scoprire e denunciare i maltrattamenti spetta a singoli cittadini o organizzazioni no profit. Il caso dei podenco, da questo punto di vista, è emblematico: le istituzioni spagnole sembrano voler ignorare la vicenda, forse per non intaccare tradizioni molto sentite per cui potrebbero perdere voti.Ecco, allora, che associazioni come quelle di Loredana possono essere utili non solo per sensibilizzare l’opinione pubblica, ma anche per salvare concretamente la vita a tanti podenco: “È un bene soprattutto per loro, i podenco. Tutti devono conoscere la loro situazione, a volte mi pento di pubblicare video o foto sui social perché le immagini sono crude, ma altre volte è meglio farlo, non per suscitare pena. Solo per informare su quello che accade, purtroppo, è tutto reale”.