
La nuova Juventus di Spalletti debutta con una vittoria che vale più dei tre punti: racconta una squadra diversa, più alta, più aggressiva, con idee già riconoscibili. Ma racconta anche una parte di Juve che resiste ostinatamente al cambiamento: quella che smette di giocare quando crede di aver già chiuso la pratica. Il 2-1 sul campo della Cremonese apre l’era del nuovo allenatore con segnali forti, ma anche con un allarme chiaro: la brillantezza c’è, la gestione ancora no.
Il primo gol arriva dopo due minuti, costruito da una combinazione rapida e sporca, con il tacco di Openda e la deviazione che libera Kostic davanti alla porta. Da lì la Juve prende campo, prende ritmo e prende fiducia. Locatelli stampa un palo dal limite, Vlahovic sfiora il raddoppio due volte, il pallone lo muovono tutti e con velocità. La Cremonese cerca di restare corta ma non riesce a sporcare le linee di passaggio. Il primo tempo è il manifesto di quello che Spalletti chiede: coraggio, palleggio, pressione, dominio dell’ampiezza.
Il raddoppio di Cambiaso, poi il blackout
A metà ripresa la partita sembra chiusa. Cross basso di Conceicao, respinta corta dell’area grigiorossa, e Cambiaso la mette sotto la traversa con un sinistro secco. È il gol del 2-0, il gol che fotografa bene la nuova identità: inserimento, seconde linee, coralità. Spalletti applaude, la squadra cresce, la partita pare raggiungere la sua traiettoria naturale.
E invece no. La Juve si abbassa, smette di mordere, perde campo. La Cremonese ci crede, spinge sugli esterni, trova profondità con più frequenza. All’83’ Johnsen lancia lungo, Vardy vince il duello con Gatti e batte Di Gregorio: 1-2, partita riaperta, stadio di nuovo acceso. Da lì in poi la Juve non attacca più, si difende, subisce, litiga: Spalletti protesta, viene ammonito, e il recupero diventa una mezz’ora psicologica più che tecnica.
Spalletti: buona la prima, ma il lavoro mentale è enorme
Al triplice fischio, la Juventus si prende la vittoria e il primo messaggio della nuova gestione: il gioco cambia prima del carattere. C’è un’idea chiara, e si è vista. Ci sono movimenti nuovi, interpreti più liberi, un modo differente di occupare il campo. Ma c’è anche un fantasma che non sparisce: il timore di non essere ancora una squadra pienamente sicura di sé. Il tecnico lo capisce, lo vive in panchina e se lo porta negli appunti.
Nel suo debutto, Spalletti ha la soddisfazione del risultato e la frustrazione del finale. Se voleva sapere da dove ripartire, la risposta è già arrivata: non basta cambiare il calcio, bisogna cambiare la testa.


