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“Il Segreto di Pulcinella”. Bufera sul Pd dopo le parole di Parenzo: cosa succede

Pubblicato: 12/11/2025 17:03

Il dibattito in studio, avvenuto durante la trasmissione L’Aria che tira su La7, ha toccato un nervo scoperto e ricorrente nel panorama politico e istituzionale italiano: il rapporto tra la nomina politica e la necessaria imparzialità e indipendenza delle Autorità Amministrative Indipendenti, come nel caso del Garante per la Privacy. David Parenzo ha introdotto la questione con una premessa di carattere generale e fondamentale per le democrazie liberali: un incarico in un’autorità di regolazione, pur potendo scaturire da una designazione partitica, dovrebbe comportare un cambiamento di prospettiva e un’assunzione di responsabilità che trascende l’appartenenza politica iniziale.

L’Autorità, infatti, è concepita come un organismo di garanzia, chiamato ad applicare la legge e a tutelare i diritti fondamentali (in questo caso, il diritto alla protezione dei dati personali) al di sopra degli interessi di parte. Il conduttore ha subito portato l’esempio specifico, identificando il presidente, Pasquale Stanzione, come espressione del Partito Democratico (Pd) e la vicepresidente, Ginevra Cerrina Feroni, come figura vicina alla Lega. L’uso dei “simboletti” in studio, come ammesso da Parenzo stesso, serviva a rendere visibile quello che è spesso definito il “segreto di Pulcinella” della spartizione politica degli incarichi apicali.

Il principio dell’indipendenza funzionale

La tesi centrale sostenuta da Parenzo si basa sul principio dell’indipendenza funzionale. Questo principio stabilisce che, una volta assunta la carica, il membro dell’autorità deve agire esclusivamente in nome della legge e nell’interesse pubblico, e non come rappresentante del partito che lo ha nominato. Il conduttore ha tentato di verificare la tenuta di questo principio nel caso specifico, interpellando direttamente il senatore leghista Claudio Borghi. L’incalzare di Parenzo è stato diretto, basato su un sottile ma significativo elemento di fatto: un contatto recente tra il senatore e la vicepresidente Feroni. “L’ha sentita di recente la Feroni lei?”, ha chiesto Parenzo, con l’implicita suggestione che un contatto potesse celare un rapporto di dipendenza o quantomeno un coordinamento politico non ammissibile per un’autorità indipendente. La risposta di Borghi, pur ammettendo di sentirla “ogni tanto”, ha subito virato sulla negazione dell’appartenenza partitica della giurista, cercando di smontare l’etichetta politica attribuita in studio.

L’argomentazione sulla competenza accademica

La strategia difensiva di Claudio Borghi si è concentrata sulla qualità accademica e professionale della vicepresidente Feroni. Di fronte all’insistenza del conduttore sulle presunte affinità politiche, Borghi ha ribadito con forza: “Ma non è della Lega. Vorrei che fosse chiaro…”. Per Borghi, l’etichetta partitica era un’eccessiva semplificazione che sminuiva il curriculum e la statura professionale della persona in questione. Il senatore ha enfatizzato la sua qualifica di “professoressa ordinaria di diritto costituzionale comparato“, definendola “una delle maggiori giuriste italiane“. Questa mossa argomentativa mira a spostare il focus dalla fonte della nomina (il potere politico, in questo caso la Lega, responsabile della designazione) alla qualificazione intrinseca del nominato. L’obiettivo è legittimare la scelta non come frutto di una spartizione di potere, ma come riconoscimento di un merito accademico e scientifico incontestabile, l’unico vero requisito, secondo la sua visione, che dovrebbe guidare l’operato dell’Autorità.

La netta distinzione tra nomina e mandato

Il culmine della discussione e il punto di scontro finale si è giocato sulla conseguenza della nomina politica. Parenzo, dopo aver accettato la premessa del contatto personale, ha cercato di ottenere una dichiarazione esplicita sul rapporto tra designazione e responsabilità: “Quindi il fatto che sia stata nominata dalla Lega non vuol dire che risponde alla Lega”, ha incalzato. La domanda mirava a chiarire se il patrocinio politico fosse un mero veicolo di accesso alla carica o, peggio, un vincolo di mandato occulto. La risposta di Borghi è stata categorica e senza ambiguità, allineandosi formalmente al principio istituzionale espresso inizialmente da Parenzo: “Ma certo che no, ma figurarsi…“. Questa risposta, sebbene netta, riassume la tensione irrisolta che caratterizza l’azione delle Autorità Garanti in Italia. Da un lato, la prassi della nomina risente inevitabilmente delle dinamiche politiche e delle logiche di bilanciamento tra maggioranza e opposizione; dall’altro lato, la normativa e l’etica istituzionale esigono una rottura totale con l’appartenenza partitica nel momento in cui si assume la funzione, garantendo la piena autonomia decisionale dell’organo a tutela dei diritti di tutti i cittadini. La questione di Parenzo, pertanto, non era solo sull’appartenenza, ma sulla percezione pubblica e sulla reale indipendenza del giudizio.

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