
La lunga notte elettorale in Iraq si è chiusa con un messaggio chiaro, quasi scolpito nella geografia politica del Paese: la coalizione Ricostruzione e Sviluppo del premier Mohammed Shia al-Soudani avanza in quasi tutte le province, segnando un ritorno di fiducia dopo anni di sconforto e astensione. Alle urne è tornato più di metà elettorato, con un’affluenza superiore al 56%, e per Baghdad come per l’intero Paese il dato è tutt’altro che scontato. In un contesto segnato da tensioni regionali, dalla guerra a Gaza e dalla competizione tra Iran e Stati Uniti, il voto iracheno trattiene il respiro di un’intera area sotto pressione.
Il secondo nome emerso con forza è quello di Taqaddum, il partito sunnita di Mohammed al-Halbousi, che proprio nella capitale trova il suo baricentro. Più a nord, nelle province del Kurdistan, la rivalità storica tra il Partito democraticato di Masoud Barzani e l’Unione patriottica curda ritrova il suo equilibrio: il PDK domina a Erbil, Dohuk e Ninive, l’UPK prevale a Sulaymaniyah e Kirkuk. A Bassora, invece, si impone il blocco Tasmeem di Asaad al-Eidani, confermando la frammentazione politica delle regioni meridionali.
Soudani tra vittoria e fragili equilibri
Il premier Soudani ha scelto toni inclusivi, assicurando che la formazione del prossimo governo terrà conto “degli interessi di tutto il nostro popolo, compresi quelli che hanno scelto di boicottare”. Parole rivolte soprattutto al leader sciita Moqtada Sadr, rimasto fuori dalla competizione e convinto che il voto fosse dominato da logiche settarie. Ma il dato politico è un altro: senza maggioranza assoluta, Soudani dovrà nuovamente federare le fazioni sciite all’interno del Quadro di coordinamento, lo stesso blocco che lo sostenne nel 2022 e che rappresenta l’area più vicina all’Iran.
Il nuovo Parlamento, come da tradizione, vedrà la presidenza assegnata a un curdo, il posto di primo ministro a uno sciita e la guida dell’aula a un sunnita. Gli Stati Uniti, che mantengono circa 2.500 soldati nel Paese, hanno già fatto sapere tramite l’inviato speciale Mark Savaya che Washington si aspetta una linea chiara contro i gruppi filo-iraniani, una richiesta ricorrente da oltre un decennio.
Il peso geopolitico e la posta in gioco
Il voto arriva mentre l’Iran tenta di preservare una rete di influenza indebolita dagli ultimi due anni di conflitti, dopo le difficoltà di Hezbollah, Hamas e degli Houthi, e la caduta di Bashar al-Assad nel 2024. L’Iraq, in questa scacchiera instabile, è ancora una cerniera: troppo grande per essere ignorato, troppo fragile per essere lasciato a sé stesso. Negli ultimi tre anni Soudani ha puntato su ricostruzione e infrastrutture, trasformando Baghdad in un cantiere diffuso tra nuovi tunnel, ponti e progetti di sviluppo. Ma il futuro dipenderà dalla capacità di tenere insieme le pressioni regionali con le aspettative interne, in un Paese che dopo decenni di guerre e repressioni oggi cerca un equilibrio che non può più permettersi di perdere.


