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Lega, scoppia il caso Vannacci: “Cacciarlo? Cosa buona e giusta”

Pubblicato: 12/11/2025 06:57

Nel quartier generale del partito si respira tensione. Le dichiarazioni del generale, oggi tra le figure più visibili della Lega, hanno scatenato un dibattito interno destinato a lasciare il segno. Alcune frasi, giudicate ambigue e fuori tono rispetto alla linea ufficiale, sono finite al vaglio dei vertici, che stanno valutando se si tratti di una semplice uscita infelice o di una violazione vera e propria dello statuto. L’articolo 34, quello che regola i comportamenti lesivi dell’immagine del movimento, è tornato improvvisamente al centro della discussione.

Il nodo è politico prima ancora che disciplinare. Da giorni i dirigenti si interrogano su come gestire un caso che rischia di minare la credibilità del partito proprio mentre si avvicinano le elezioni regionali. Salvini, pur evitando di citare il generale, ha chiesto ai suoi di “guardare avanti” e non rievocare il passato, segno di una preoccupazione concreta per gli effetti che lo scontro potrebbe avere sull’elettorato moderato.

Tensione tra linea politica e immagine pubblica

Le reazioni non si sono fatte attendere. I governatori e gli amministratori locali più radicati nel Nord hanno preso le distanze, richiamando la necessità di difendere l’identità democratica e moderna della Lega. Al Sud, invece, prevale il silenzio: la priorità è non danneggiare il partito in una fase in cui la crescita nei nuovi territori è ancora fragile. Tra le righe si legge però una frattura profonda, tra chi chiede una presa di posizione netta e chi teme che la vicenda si trasformi in una resa dei conti interna.

Dietro le dichiarazioni ufficiali si muovono dinamiche più sottili. Alcuni esponenti temono che un intervento troppo duro possa spaccare la base, altri ritengono invece che tacere equivarrebbe ad approvare. Il dilemma è tutto politico: difendere la libertà di parola o riaffermare un confine etico.

Il rischio di una crisi d’immagine

La Lega si trova ora davanti a un bivio. Da una parte c’è la necessità di preservare la compattezza del gruppo dirigente, dall’altra la consapevolezza che certi messaggi non possono passare inosservati in un partito che si propone come forza di governo e che cerca credibilità in Europa. Il rischio di un danno d’immagine è concreto, e non solo in termini elettorali.

Se il richiamo formale restasse confinato dietro le porte di via Bellerio, la vicenda potrebbe chiudersi in fretta. Ma se il caso dovesse allargarsi, il partito sarebbe costretto a dare un segnale pubblico, mostrando che esiste una linea invalicabile tra libertà di opinione e revisionismo. Una distinzione che, in tempi di campagne elettorali permanenti, pesa più di qualsiasi slogan.

La partita, per ora, resta aperta. I vertici osservano e misurano le parole, consapevoli che ogni decisione avrà un valore politico più ampio del singolo episodio. La Lega sa che il consenso si costruisce anche con la coerenza, e che certe ombre del passato, se non chiarite, rischiano di oscurare il futuro.

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