
La vicenda di Hanieh Shariati, atleta iraniana specializzata nel taekwondo, rappresenta l’ennesima e drammatica manifestazione della stretta imposta dalle autorità iraniane sulle libertà personali delle donne, in particolare in relazione all’obbligo del velo, l’hijab. La sportiva è finita nel mirino delle forze di sicurezza dopo aver pubblicato sui suoi canali social, seguitissimi, alcuni video che la ritraevano mentre si allenava in pubblico senza indossare il velo, un gesto considerato dalle leggi della Repubblica Islamica una grave violazione delle norme vigenti sull’abbigliamento femminile. Questa azione, percepita come una forma di resistenza pacifica e di espressione della libertà individuale in un contesto fortemente repressivo, ha innescato una reazione immediata e severa da parte dello stato.
L’arresto e la sparizione
Secondo le informazioni fornite da Hengaw, un’organizzazione per i diritti umani con sede in Norvegia e specializzata nel monitoraggio della situazione in Iran, l’atleta Hanieh Shariati è stata fermata e arrestata nella serata di domenica 9 novembre. Le circostanze del fermo sono state immediate e drastiche, tipiche degli interventi delle forze di sicurezza iraniane in casi di presunta violazione delle leggi statali. Immediatamente dopo l’arresto, Shariati è stata trasferita in una località sconosciuta. La prassi di portare gli individui arrestati in luoghi non divulgati è una tattica spesso utilizzata dalle autorità per isolare i detenuti, limitare il supporto legale e familiare e potenzialmente intensificare la pressione psicologica. Alla famiglia dell’atleta sarebbe stata concessa soltanto una brevissima comunicazione telefonica, un contatto fugace e insufficiente a fornire rassicurazioni complete sul suo stato di salute e sulle condizioni di detenzione, alimentando così la preoccupazione dei suoi cari e della comunità internazionale.
Il controllo e l’oscuramento dei social media
Un elemento cruciale e distintivo di questa vicenda è la rapidità con cui le autorità iraniane hanno agito per prendere il controllo dei canali di comunicazione dell’atleta. Hanieh Shariati possedeva una notevole piattaforma, in particolare su Instagram, dove contava circa 160 mila follower. Questi account non erano solo un veicolo per la sua carriera sportiva, ma anche uno spazio in cui l’atleta condivideva i video che hanno portato al suo arresto, trasformandoli di fatto in strumenti di disobbedienza civile. Le autorità di sicurezza iraniane hanno assunto il controllo di questi profili social e li hanno successivamente disattivati o bloccati. La manovra di oscuramento è stata resa esplicita: al posto del contenuto dell’atleta, è apparso un messaggio riconducibile alla polizia informatica del Paese. Questa azione non è solo una censura, ma un chiaro segnale di intimidazione e di dimostrazione di forza da parte dello stato, che mira a eliminare ogni traccia della disobbedienza e a scoraggiare chiunque altro voglia seguire l’esempio di Shariati. L’eliminazione della sua presenza online non solo la isola ulteriormente, ma serve anche a cancellare la visibilità del suo atto di protesta.
Il contesto più ampio della repressione
L’arresto di Hanieh Shariati si inserisce in un contesto molto più ampio di repressione e di ferrea applicazione delle leggi sull’hijab obbligatorio in Iran. La repubblica islamica, in particolare dopo le massicce proteste nate a seguito della morte di Mahsa Amini, ha intensificato i controlli e le sanzioni contro le donne che scelgono di non indossare il velo. Atlete, artiste e figure pubbliche che hanno sfidato apertamente la normativa sono state sistematicamente prese di mira, arrestate o costrette all’esilio. Il caso di Shariati sottolinea la tolleranza zero dello stato nei confronti di qualsiasi forma di dissenso visivo o simbolico che metta in discussione i pilastri ideologici del regime. L’uso dei video di allenamento, che esaltano la forza e l’autonomia fisica della donna senza l’imposizione del velo, è stato percepito come un atto altamente provocatorio e pericoloso per la narrativa ufficiale. L’intervento di organizzazioni per i diritti umani come Hengaw è fondamentale per mantenere viva l’attenzione internazionale su questi abusi e per tentare di fornire supporto e visibilità a coloro che vengono incarcerati per la loro libertà di scelta. Il futuro dell’atleta rimane incerto, ma il suo caso si aggiunge alla lunga lista di donne iraniane che pagano un prezzo altissimo per la semplice rivendicazione della propria autodeterminazione.


