
Il silenzio improvviso fu rotto solo dal calore crescente e dal panico sussurrato. Erano le 17:20 circa quando un violento boato squarciò la monotonia del viaggio, seguito da un brusco e inaspettato arresto. Immersi nell’oscurità più totale, i passeggeri si ritrovarono intrappolati in un guscio d’acciaio immobilizzato. La corrente era svanita, portando via con sé non solo la luce e la ventilazione, ma anche la possibilità di usare i servizi igienici, rendendo l’ambiente velocemente opprimente e irrespirabile.
Quello che doveva essere un tranquillo tragitto si era trasformato in una prigione: sette lunghe ore di abbandono e incertezza, con il caldo che stringeva la gola e la frustrazione che montava. L’esperienza, come avrebbe raccontato una delle persone coinvolte, non fu un semplice ritardo, ma una vera e propria tortura psicofisica, un “sequestro di persona” in condizioni di estrema vulnerabilità. Questo dramma, avvenuto a bordo del treno Italo Alta Velocità 8920 in partenza da Napoli e diretto a Udine, è l’emblema di una giornata di caos ferroviario che ha visto ritardi fino a 150 minuti su diverse tratte in Italia, evidenziando le croniche criticità del sistema di trasporto su rotaia.
Il boato e l’interruzione improvvisa
L’inizio del calvario si è verificato intorno alle 17:20, mentre il treno Italo Alta Velocità 8920 si trovava nei pressi di Roma Tiburtina, in direzione Orte. Un fortissimo boato, seguito da alcune scintille visibili vicino alle carrozze, ha preceduto l’arresto brusco del convoglio all’interno di una galleria. Anna, una delle passeggere, ha raccontato i momenti di panico e confusione che hanno immediatamente seguito l’imprevisto. Il danno non ha interrotto solo la marcia, ma ha causato il blackout completo del treno: l’elettricità è saltata, rendendo inutilizzabile l’aria condizionata e, in un dettaglio particolarmente grave per la dignità e la salute dei viaggiatori, i bagni sono risultati fuori uso. L’assenza di corrente ha anche impedito qualsiasi forma di connessione, isolando ulteriormente i passeggeri e rendendo vana ogni possibilità di ricerca autonoma di informazioni o di contatto con l’esterno.
Secondo la testimonianza di Anna, la gestione dell’emergenza da parte di Italo è stata lenta e inefficace. Il primo aggiornamento ufficiale è arrivato solo dopo mezz’ora dall’arresto, un laconico comunicato che parlava genericamente di un problema tecnico che sarebbe stato risolto in breve tempo, una promessa che si è rivelata completamente fallace. Le ore trascorrevano, e i passeggeri erano costretti a rimanere al buio e in un caldo sempre più insopportabile. Anna sottolinea come le comunicazioni successive siano state scarse e superficiali. L’unica forma di assistenza fornita dal personale di bordo, in quelle lunghe ore di blocco, è consistita nella distribuzione di acqua in bicchieri di carta, per di più avvenuta una sola volta, un gesto insufficiente a mitigare il disagio di centinaia di persone.
Condizioni critiche e l’arrivo dei soccorsi
Con il passare delle ore, la situazione a bordo è precipitata, raggiungendo condizioni critiche. Il caldo, in assenza di aria condizionata, è diventato estremo, aggravando la condizione di tutti i passeggeri, in particolare dei soggetti più vulnerabili. Anna ricorda che a bordo vi erano anziani, disabili e persino due neonate, la cui salute era particolarmente a rischio in quel contesto di estremo disagio. I passeggeri hanno chiesto ripetutamente al personale di bordo di aprire le porte per far circolare l’aria, ma il flusso d’aria che entrava era insufficiente per l’intera carrozza. Soltanto ore dopo l’incidente, intorno alle 22:00, quando la situazione era ormai al limite, sono finalmente giunti i soccorsi esterni. L’intervento di Protezione Civile, Polizia Ferroviaria e personale sanitario è stato cruciale per prestare assistenza immediata alle persone più fragili e bisognose di cure.
La ripresa del viaggio e il ritardo monumentale
Il treno sostitutivo, atteso con ansia per ore, è arrivato solamente alle 23:30, un ritardo di ben sei ore e dieci minuti rispetto all’orario dell’incidente. Tuttavia, la ripartenza non ha significato la fine dell’odissea: il nuovo convoglio ha riportato i passeggeri indietro, a Roma Tiburtina, invece di proseguire verso la destinazione finale. Solo all’1:30 di notte, dopo un’attesa estenuante, la corsa ha potuto riprendere il suo cammino verso Nord. La passeggera Anna è arrivata a Bologna Centrale alle 4:30 del mattino, con un ritardo colossale che ha scompaginato ogni piano di viaggio. Il suo percorso finale l’ha vista giungere a Bolzano solamente alle 8:00 del mattino, più di dodici ore dopo l’orario previsto di arrivo a Udine, un ritardo che testimonia la gravità della gestione dell’emergenza.
Un senso di abbandono e la denuncia
L’esperienza vissuta da Anna e dagli altri passeggeri è stata segnata da un profondo senso di abbandono. Le parole della passeggera, che ha definito l’accaduto un “sequestro di persona”, sono una dura accusa alla compagnia e alle autorità responsabili. La critica principale riguarda la totale mancanza di comunicazione trasparente e tempestiva, che ha lasciato i viaggiatori nell’incertezza e nel disagio per ore. L’essere stati “lasciati a noi stessi in condizioni di estremo disagio” è l’elemento che ha reso l’esperienza inaccettabile. Un’emergenza ferroviaria può accadere, ma è la gestione post-incidente e l’assenza di un’assistenza adeguata e professionale che hanno trasformato un guasto in un trauma collettivo. La passeggera ha concluso la sua testimonianza affermando di non aver mai vissuto niente di simile, sottolineando la singolare e drammatica eccezionalità dell’evento.


