
La giustizia ha emesso una pesante sentenza di primo grado a carico di un ex allenatore triestino accusato di abusi sessuali su baby calciatori a lui affidati. L’uomo è stato condannato a 6 anni e 8 mesi di carcere per il reato di violenza sessuale aggravata su minori, in seguito a fatti contestati che risalgono al biennio 2019-2020. La notizia ha riportato in primo piano un caso di cronaca giudiziaria che aveva scosso profondamente la comunità sportiva locale, evidenziando la vulnerabilità dei giovanissimi atleti.
Le accuse mosse all’imputato sono particolarmente gravi e dettagliate, descrivendo una serie di episodi in cui l’uomo avrebbe approfittato della sua posizione di autorità. Secondo quanto emerso dalle indagini, l’ex tecnico avrebbe palpeggiato ripetutamente e per un lungo periodo i giovani calciatori nelle loro parti intime. Questi atti sarebbero avvenuti in diverse circostanze, sfruttando momenti di minore sorveglianza e confidenza, come all’interno degli spogliatoi della squadra e persino a bordo della sua automobile, mentre riaccompagnava i ragazzini alle loro abitazioni.
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I dettagli delle accuse e le vittime
L’inchiesta e il successivo processo hanno portato all’identificazione di quattordici vittime, tutte di sesso maschile e all’epoca dei fatti di età compresa tra i 12 e i 13 anni. Si trattava dei giovani calciatori che militavano nella squadra di calcio che l’imputato allenava. La fiducia riposta dalle famiglie e dai ragazzi stessi nell’adulto preposto alla loro educazione sportiva è stata drammaticamente tradita da queste condotte.
Il processo ha visto la costituzione di parte civile da parte di numerosi genitori e legali in rappresentanza dei minori abusati. Questa partecipazione attiva è un segnale della determinazione delle famiglie a ottenere giustizia e un risarcimento per il trauma subito dai figli. A seguito della condanna in primo grado, le parti civili hanno ottenuto una provvisionale per il danno subito, con somme variabili tra i 3mila e i 10mila euro. Questo risarcimento, sebbene importante, non può lenire il profondo dolore causato dagli abusi.
L’iter giudiziario: tra annullamenti e rito abbreviato
L’epilogo giudiziario di questa vicenda è arrivato dopo un complesso iter processuale. Come riportato dal quotidiano locale Il Piccolo, la sentenza di condanna attuale segue un primo giudizio per lo stesso imputato che si era concluso con una pena ben più severa, pari a dieci anni di reclusione. Tuttavia, quella prima condanna era stata successivamente annullata a causa di un vizio procedurale, rendendo necessario un nuovo svolgimento del processo.
La pena definitiva di 6 anni e 8 mesi è stata raggiunta dopo che l’imputato ha scelto il rito abbreviato, un procedimento speciale che consente di definire il processo allo stato degli atti e che, in caso di condanna, prevede per legge uno sconto di pena pari a un terzo. Il giudice per l’udienza preliminare (GUP) ha accolto pienamente le richieste formulate dal pubblico ministero (PM), pur con la riduzione prevista dal rito scelto. L’imputato, che continua a dichiararsi innocente, ha già annunciato l’intenzione di presentare ricorso in appello contro la decisione.
Nonostante l’esito del processo, il verdetto ha suscitato reazioni contrastanti. Molti famigliari dei ragazzi abusati hanno espresso profondo amaro in bocca, ritenendo la pena inflitta insufficiente e troppo leggera in rapporto alla gravità dei reati contestati. La percezione diffusa è che la tutela dei minori richieda sanzioni più severe per crimini che minano l’integrità psicofisica dei giovanissimi.

L’emersione del caso e le testimonianze protette
Il caso di abusi sui baby calciatori è venuto alla luce nel 2021. L’emersione della verità è stata innescata dal coraggio di alcuni ragazzini che, superando il timore e la vergogna, hanno confessato ai propri genitori le “attenzioni particolari” ricevute dall’allenatore. Queste confidenze hanno immediatamente fatto scattare le denunce e hanno dato il via all’ inchiesta da parte delle autorità competenti.
Fondamentale per l’accusa è stato il racconto degli adolescenti. Le vittime sono state ascoltate in un contesto protetto, sia dalla Polizia che dai magistrati, con l’ausilio di uno psicologo. Questa procedura è essenziale per non ritraumatizzare i minori e garantire la validità delle loro testimonianze. I resoconti dei ragazzi hanno confermato la sistematicità degli abusi, non limitati solo agli spogliatoi e alle auto, ma estesi anche ad altri momenti di aggregazione sportiva, come le docce e persino durante un ritiro della squadra. La condanna in primo grado rappresenta un primo, significativo passo per le vittime sulla strada verso la riabilitazione e la ricerca di giustizia.


