
Ci sono momenti in cui il silenzio pesa più di qualunque parola. Nel mondo del tennis italiano, la scomparsa di Nicola Pietrangeli, primo grande campione nazionale e figura simbolo di un’epoca in cui questo sport aveva ancora il sapore dell’eleganza e della tradizione, ha provocato un’ondata di commozione che ha attraversato appassionati, istituzioni e avversari di un tempo. A 92 anni, costretto da tempo a letto, l’ex leggenda non aveva preso parte alle ATP Finals di Torino, un’assenza che molti avevano interpretato come un segnale della fragilità crescente delle sue condizioni.
Mentre il mondo del tennis si è stretto attorno alla memoria del campione, una mancanza ha attirato l’attenzione generale: quella di Jannik Sinner, che non ha dedicato alcun messaggio pubblico alla scomparsa di Pietrangeli. Un’assenza che, nelle ultime ore, è diventata oggetto di interpretazioni, critiche e riflessioni più ampie sulla figura del tennista altoatesino e sul suo rapporto con il contesto italiano.

Il lutto per Nicola Pietrangeli e il silenzio di Sinner
Il cordoglio per Pietrangeli è stato unanime: ex campioni, dirigenti federali, avversari storici e migliaia di tifosi hanno voluto ricordare il campione definito da molti “l’icona del tennis italiano”. Tutti tranne Sinner. Il suo silenzio, che prosegue da ore, si presta a letture diverse: c’è chi lo attribuisce alle passate critiche ricevute da Pietrangeli, che più volte aveva commentato le sue scelte — dalle rinunce alla Davis alle assenze alle Olimpiadi — con la schiettezza che lo contraddistingueva.
Altri ancora ritengono che il distacco sia più profondo e radicato nella struttura stessa del “sistema Sinner”: un atleta globale, una macchina perfetta focalizzata su prestazioni, preparazione e gestione manageriale, con poco spazio per ciò che riguarda la comunicazione emotiva. Un modello di efficienza dove ogni parola pubblica è calibrata, e dove il ricordo di un grande del passato sembra non rientrare nelle priorità del team.
Sinner e l’immagine di un campione globale
Secondo molti osservatori, Sinner oggi è più un marchio internazionale che un simbolo nazionale. Di italiano, sottolineano in tanti, ha solo le origini — e nemmeno a lungo raggio, considerando i pochi chilometri che separano la sua terra dalla frontiera. Il suo staff è composto quasi interamente da professionisti stranieri, ad eccezione del coach Simone Vagnozzi, e la gestione comunicativa è spesso giudicata poco efficace.
L’episodio della Coppa Davis, quando l’altoatesino comunicò la sua rinuncia a poche ore dall’avvio della competizione senza fornire spiegazioni pubbliche, resta un esempio citato dagli appassionati. E ora, l’assenza di un semplice “RIP” sui social — un gesto minimo, quasi automatico — viene interpretata come una nuova conferma della scarsa attenzione verso il legame con il proprio Paese.
Mentre il mondo del tennis saluta Pietrangeli, Sinner si trova nel suo “buen retiro”, prima in compagnia del padre Hanspeter, poi raggiungendo la fidanzata Laila Hasanovic alle Maldive. Un periodo di pausa dopo una stagione ricca di successi, in cui il campione sembra aver temporaneamente spento il telefono — o forse la sua comunicazione pubblica.

Il rischio di diventare un campione distante
Le discussioni che attraversano le community sportive non riguardano soltanto il mancato saluto a Pietrangeli, ma un tema più ampio: quello dell’empatia. Nello sport contemporaneo i campioni non sono solo vincitori, sono anche personaggi pubblici, volti amati o discussi. E se è vero che i fuoriclasse, per definizione, generano antipatie insieme ai consensi, è altrettanto vero che una buona gestione comunicativa può fare la differenza.
Il paragone con Carlos Alcaraz, amatissimo ovunque per spontaneità e sorriso, ritorna spesso. Una genuinità che molti considerano uno dei tratti che lo rendono così popolare. Ed è qui che molti tifosi temono che Sinner, nella sua perfezione quasi robotica, possa perdere una parte importante del legame emotivo con il pubblico.
L’attesa di un gesto semplice
Intanto, il mondo del tennis italiano continua ad aspettare un gesto: poche parole, un omaggio, un saluto a Nicola Pietrangeli. Non per obbligo, ma per riconoscimento. Perché dietro la macchina perfetta che vince quasi sempre, resta comunque la figura di un giovane campione che porta sulla maglia — e nella storia — i colori dell’Italia.
Un gesto piccolo, ma capace di fare la differenza. E che molti sperano possa arrivare, anche solo per restituire il tributo che un grande del passato merita.


