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Chi è Salgari, l’uomo che inventò Sandokan (e la Malesia) dalla sua stanza

Pubblicato: 02/12/2025 11:45

Ci sono personaggi che invecchiano male, altri che svaniscono piano, e poi c’è Sandokan: l’eroe che non smette di tornare. Ogni volta in forma diversa, ogni volta adattato a un’epoca che non è più quella di prima. Eppure resta lì, come un faro acceso su un mare che lo scrittore non vide mai. Il ritorno televisivo della Tigre di Mompracem su Rai 1 ha riaperto una porta che, in fondo, non si è mai davvero chiusa. Ma prima ancora delle scenografie, degli attori e dei nostalgici, vale la pena tornare all’origine di tutto: Emilio Salgari, il creatore di quell’altrove in cui generazioni di lettori hanno trovato rifugio, avventura, desiderio.

Sandokan Salgari

Chi è Salgari, l’uomo che “navigava” senza muoversi

Emilio Salgari non conobbe il Borneo, né la Malesia, né i mari che ha raccontato con una precisione che imbarazzerebbe qualche travel blogger contemporaneo. Le sue mappe erano fatte di libri, appunti, ritagli, osservazioni maniacali. Lui, veronese trapiantato a Torino, viaggiava in biblioteca: biglietto del tram, taccuino, ore intere passate a setacciare enciclopedie. Da quel lavoro febbrile nasceva un mondo che sembrava reale proprio perché non lo era: era filtrato dal sogno, dalla fantasia, da una fame di vita che lo divorava più di qualsiasi tigre. Tant’è, non sarebbe azzardato scriverlo, negli anni, la sua Malesia immaginata è diventata più vera dell’originale. Senz’altro più duratura. Ben impressa nella mente dei più che ricollegano quella terra incantevole al principe pirata più famoso della letteratura.

Salgari

La fabbrica dell’avventura: disciplina, miseria e genio

Salgari non era un bohémien, né un dandy. Era un operaio della pagina: scriveva a cottimo, contratto dopo contratto, tre romanzi l’anno più quelli firmati con pseudonimo, perché bisognava mantenere la famiglia, pagare le cure della moglie che soffriva di fragilità mentali, stare a galla in una vita piena di frustrazioni. Produceva storie con la stessa ripetizione di un turno in fabbrica. Forse chi lavora oggi nelle grandi redazioni può comprenderlo meglio di chiunque altro. Ma dentro quella routine impietosa costruiva meraviglie. La sua scrittura era un misto di azione e geografia, di mistero e zoologia, di duelli e botanica. Ogni romanzo conteneva una piccola enciclopedia travestita da avventura. Nei suoi appunti, quelli conservati, pieni di elenchi, misure, prezzi, aneddoti, c’è il cuore del suo metodo: far sembrare naturale ciò che non lo era affatto. Ecco perché Sandokan funziona ancora: dietro i colpi di sciabola c’è un mondo estremamente coerente.

Emilio Salgari e la nascita di Sandokan 

Quando Salgari inventa Sandokan, non sta solo creando un personaggio. Sta inventando un archetipo. Il pirata romantico. Il ribelle anticoloniale. L’uomo ferito che sceglie di combattere anziché sparire. Sandokan è insieme violento e leale, feroce e gentile, dominato da sentimenti che oggi definiremmo «larger than life». È un eroe che non chiede di essere amato, lo diventa suo malgrado. La sua forza sta proprio nella contraddizione: è un principe esiliato che vive come un fuorilegge, un leader che non ha brame di potere, un innamorato disposto a tutto pur essendo consapevole dei rischi che certi sentimenti comportano. E poi c’è l’amico Yanez, la “spalla” (che tanto spalla non è): incarna l’intelligenza, ma soprattutto la luce che rende umano il re delle ombre. Una delle amicizie maschili forse più belle della letteratura italiana.

Salgari

Il mito che attraversa un secolo

Quando nel 1976 arriva lo sceneggiato Rai, l’Italia si ferma. Letteralmente. Il Paese ha bisogno di evasione, di un altrove che sospenda la vita quotidiana. Kabir Bedi diventa un’icona, Marianna un ideale, Yanez una filosofia di vita. E oggi, quasi cinquant’anni dopo, Sandokan torna di nuovo. Perché? Perché certi miti rimangono. Aspettano soltanto che qualcuno li risvegli. La serialità contemporanea ha gli strumenti tecnici per ricreare mari, tempeste, navi e giungle. Ma ciò che davvero si eredita non è la forma: è il bisogno di avventura. Quello che Salgari, chiuso nella sua stanza, aveva capito prima di tutti. E non si può negare che la nuova serie tv con protagonista Can Yaman sia un gioiello per gli amanti dell’avventura.

salgari

Un’eredità viva, a volte ignorata, spesso fraintesa

Salgari non morì da vincitore. Morì povero, sfruttato, stremato. Ma i suoi mondi, quelli sì, continuarono a vivere. È il miracolo della letteratura che sopravvive ai suoi autori.  Ogni volta che Sandokan torna in libreria o in tv, ogni volta che un ragazzino sfoglia Le tigri di Mompracem, ogni volta che un lettore adulto riscopre il piacere di perdersi in un luogo che non esiste, il debito però si rinnova. Non verso il personaggio, ma verso l’uomo che l’ha costruito con la dovizia di un artigiano, mentre la sua stessa vita andava in pezzi. Ed è forse per questo che Sandokan ci parla ancora: perché dietro l’eroe c’è lo scrittore che lo ha inventato per salvarsi, per uscire dal tran tran quotidiano che l’ha consumato giorno dopo giorno. E almeno in parte, c’è riuscito.

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