
C’è un punto che va finalmente detto con chiarezza, senza più girarci attorno: è inutile che Elly Schlein e il suo gruppo continuino a ripetere la parola vassallaggio europeo rispetto agli Stati Uniti, se poi alla prima occasione utile si mettono di traverso quando si parla di armi, difesa comune e investimenti reali per un’Europa davvero forte e indipendente. È un cortocircuito politico evidente, che non può più essere nascosto dietro un lessico da convegno o dietro le formule vuote del “più Europa”, “più diritti”, “più solidarietà”. Perché l’Europa, se vuole smettere di essere un protettorato, deve prima di tutto saper difendere se stessa e accettare il prezzo della propria autonomia.
La verità è semplice: non puoi evocare la fantomatica ombra americana come limite alla sovranità europea e poi negare gli strumenti fondamentali che renderebbero l’Europa autonoma. Senza armamenti, senza industria militare, senza un sistema di sicurezza europea robusto, non esiste emancipazione dal potere americano. Esiste solo retorica. Ed è stupefacente vedere come chi, ogni giorno, punta il dito contro la destra accusandola di non essere abbastanza europeista, sia poi il primo a rifiutare le condizioni minime per creare un’Europa capace di stare in piedi da sola. Si continua a guardare il pelo nell’occhio del centrodestra, a distinguere tra sfumature ideologiche, a fare le pulci a qualunque proposta del governo in materia di difesa, ma non si guarda mai a ciò che davvero conta: la costruzione di una potenza europea credibile. E una potenza senza esercito non esiste, una potenza che non investe non esiste, una potenza che predica la pace ma non sa reggere la guerra che altri le portano addosso, semplicemente non è una potenza.
Europa non è solo burocrazia
L’Europa non può essere solo istituzioni, burocrazia, democrazia e il solito bla bla bla che riempie i documenti programmatici ma lascia il continente inerme sul piano strategico. Se il progetto è quello di un’Europa autonoma anche dagli USA, e Schlein questo lo ripete spesso nei suoi comizi, allora il percorso è obbligato: serve difesa, serve capacità militare, serve costruire un muscolo geopolitico che oggi non c’è. E sì, il contrappeso alla forza americana è inevitabile in questa traiettoria: ma chi parla di indipendenza senza voler pagare il prezzo dell’indipendenza racconta una fiaba, non un progetto politico. Certo, l’obiettivo finale resta quello di un esercito europeo, che richiede una politica estera unica e trattati completamente ripensati. È vero. Ma nel frattempo, come in ogni grande costruzione, il meglio è il nemico del bene: se aspettiamo l’unità perfetta prima di fare la prima mossa, l’Europa resterà un gigante normativo e un nano strategico.
Chi oggi ripete la solita frase “ci vorrebbe ben altro” è spesso lo stesso che poi si oppone persino ai primi passi. È il paradosso dell’antipolitica mascherata da europeismo: a parole si invoca un continente forte, nei fatti si blocca ogni tentativo di costruire una difesa comune. Ed eccoci al punto decisivo: se davvero c’è qualcuno che frena la nascita di un’Europa forte, armata, indipendente, non è Giorgia Meloni, non è il centrodestra, non sono i sovranisti che almeno la scelta di campo la compiono. Sono quelli che parlano di Europa come simbolo, ma la rifiutano appena diventa potere. Sono quelli che predicano autonomia e poi dicono no a ogni investimento. Sono quelli che evocano la pace come categoria morale, ma dimenticano che senza forza non esiste alcuna pace possibile.
Crosetto, Draghi e il coraggio di fare da soli
E allora risuona ancora più chiaramente ciò che Guido Crosetto ha ricordato nelle ultime ore: “Noi non dobbiamo investire in difesa perché ce lo chiede la Nato, ma per noi: il tempo non lo decidiamo noi.” È una frase che da sola basterebbe a chiudere molte discussioni astratte, perché sposta il discorso dalla sudditanza all’interesse nazionale ed europeo. Così come il suo avvertimento più politico, quasi brutale nella sua semplicità: “Se per Trump l’Europa non serve più, allora dobbiamo pensare noi alla nostra difesa.” Non c’è bisogno di aggiungere altro per capire dove stia la frattura tra chi parla di Europa e chi vuole davvero costruirla: o l’Europa diventa capace di provvedere alla propria sicurezza, oppure resterà legata per sempre alle scelte degli Stati Uniti, a prescindere da chi siede alla Casa Bianca.
Ed è qui che torna utile il ragionamento di Draghi, che spiega una cosa talmente semplice da risultare quasi rivoluzionaria per il dibattito pubblico europeo: l’Europa deve, finalmente, voler fare da sola. Non solo poterlo fare: volerlo. Il vero gap europeo oggi non è tecnologico, né industriale, né diplomatico. È psicologico. È la fatica di assumersi la responsabilità del proprio destino. È l’inerzia culturale di un continente che da decenni delega la propria sicurezza ad altri e poi si sorprende di essere percepito come un attore debole. Da adesso in poi la direzione deve essere una sola: un’Europa che vuole fare da sola, che si carica sulle spalle il peso della propria difesa, che smette di aspettare che siano gli Stati Uniti a decidere quando preoccuparsi e quando no, chi armare e chi proteggere, quali confini considerare vulnerabili e quali no.
Ecco perché è inutile che Schlein parli di vassallaggio americano e poi si opponga agli investimenti militari. Perché questa è la contraddizione che tiene il continente inchiodato alla sua eterna adolescenza geopolitica. L’Europa sarà forte solo quando deciderà di esserlo. E deciderlo significa assumersi il costo, la fatica e la responsabilità della forza. I veri anti-europei, oggi, non sono a destra. Sono tutti quelli che immaginano un’Europa disarmata in un mondo armato. Tutti quelli che vogliono un’Europa libera dagli Stati Uniti, ma non vogliono darle la forza per diventarlo. Tutti quelli che parlano, parlano, parlano — e intanto lasciano il continente nella condizione di dipendenza che dicono di voler superare.
Prima o poi questa contraddizione dovrà emergere in tutta la sua evidenza. Perché non c’è indipendenza senza potenza, non c’è sovranità senza difesa, non c’è Europa senza forza. Tutto il resto è propaganda. E, come sempre, propaganda controproducente per gli stessi che la producono: rumore di fondo che tiene buona una parte di opinione pubblica, mentre il mondo intorno si prepara a un ordine più duro in cui chi è disarmato non conta, subisce.


