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Pace o guerra totale? Il fallimento del piano Trump, l’Europa sul baratro

Pubblicato: 09/12/2025 11:43
Immagine a solo scopo illustrativo creata con l’ausilio dell’IA

Russia-Ucraina, la trattativa di pace mediata dagli Stati Uniti sta vacillando a causa delle condizioni fortemente sbilanciate a favore di Mosca e dell’ovvia riluttanza di Ucraina ed Europa ad accettarle. Il cosiddetto “piano Trump” in 28 punti – consegnato a Kiev il 20 novembre – recepisce praticamente tutte le richieste russe, ignorando le esigenze ucraine. Tra i punti salienti figurano la cessione alla Russia di tutto il Donbass (comprese le zone ancora controllate da Kiev) e delle aree occupate di Kherson e Zaporizhzhia, il riconoscimento dell’annessione della Crimea, il drastico dimezzamento e disarmo dell’esercito ucraino, la rinuncia di Kiev alla NATO (in cambio solo di vaghe “garanzie” ispirate all’Articolo 5) e perfino la cessione a Mosca di metà dell’energia prodotta dalla centrale nucleare di Zaporizhzhia. Inoltre, il piano prevede un’amnistia generale per tutti i crimini di guerra (beneficiando in primis Putin) e l’esenzione della Russia da futuri risarcimenti. In pratica, all’Ucraina verrebbe imposta una capitolazione mascherata: queste condizioni priverebbero Kiev della sua integrità territoriale e capacità difensiva, rendendola economicamente insostenibile e subordinata a Mosca. Non sorprende che a Kiev molti lo abbiano definito un “piano di resa” e una “pace ingiusta e incerta”.

Russia-Ucraina, la pace che pare impossibile: la posizione di Kiev

L’Ucraina ha reagito con fermezza. Il presidente Zelensky, in un messaggio accorato al popolo, ha dichiarato che “dobbiamo scegliere se perdere la dignità o il nostro alleato chiave”, giurando di non tradire mai la patria pur cercando un compromesso accettabile. L’Europa si è subito allineata a Kiev su questa linea: durante il G20 di Johannesburg i leader UE hanno redatto un documento con osservazioni e controproposte al piano americano. In un successivo tavolo negoziale a Ginevra con delegati USA, UE e ucraini, si è lavorato a correzioni che smussassero i punti più inaccettabili. Il risultato è stato un piano ridotto prima a 19 e poi a 20 punti, frutto dei contributi europei. Le controposte UE insistono sul mantenimento dell’integrità territoriale dell’Ucraina e sul suo diritto sovrano di scegliere il proprio destino europeo.
Ad esempio, non si esclude più a priori una futura adesione di Kiev alla NATO (subordinandola al consenso interno all’Alleanza) e si propone di estendere all’Ucraina una sorta di “ombrello” ispirato all’Art.5 della NATO per garanzia. Inoltre, l’Europa chiede di non ridurre l’esercito ucraino sotto gli 800 mila effettivi (ritenuti il minimo necessario da Kiev stessa) invece dei 600 mila suggeriti dagli americanicdt.ch, e nega esplicitamente che gli ucraini debbano ritirarsi dalle porzioni di Donbass ancora libere (le proposte USA chiedevano a Kiev di abbandonare persino le aree di Donetsk non ancora occupate dal Cremlino, cosa che il piano UE al punto 17 rifiuta). Sul piano economico, Bruxelles propone che i beni russi congelati siano destinati interamente alla ricostruzione/riparazione dell’Ucraina e non fungano da “ricompensa” per il mediatore americanocdt.ch (come invece prevedeva la bozza Trump, che riserva agli USA il 50% dei profitti di un fondo ricostruzione finanziato con gli asset russi). Queste modifiche mirano a evitare una “pace” che annienti l’Ucraina: come ha ribadito la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, “per una pace giusta e duratura i confini non possono essere cambiati con la forza, né possono esservi limitazioni alle forze armate ucraine che la renderebbero vulnerabile a futuri attacchi”.

Russia-Ucraina, il negoziato resta difficilissimo

Nonostante alcuni progressi, il negoziato resta difficilissimo e rischia di naufragare. Putin, fiutando la debolezza, pretende ancora di più: ha già dichiarato inaccettabile la sola “annessione di fatto” e esige il Donetsk interamente, con annessione formale, altrimenti continuerà la guerra fino a ottenerlo con la forza. Trump, dal canto suo, ha reagito stizzito allo stop imposto da Bruxelles e Kiev: sui social ha accusato Zelensky di ingratitudine e l’UE di finanziare ancora Mosca col petrolio, vantandosi che una guerra così “terribile” non sarebbe mai iniziata se lui fosse rimasto presidente dal 2020. Ha anche minacciato di tagliare l’intelligence e le armi a Kiev se l’Ucraina non accetterà il suo diktat.
Il clima è teso: Zelensky, isolato dalla pressione USA, cerca sponda in Europa. In queste ore cruciali il presidente ucraino è impegnato in un tour frenetico tra le capitali europee (ha appena incontrato Papa Leone XIV e incontrerà oggi Giorgia Meloni) per rinsaldare l’unità degli alleati e “uscire dall’angolo” in cui l’ha messo Trump. Ieri a Londra Zelensky ha incontrato il premier britannico Keir Starmer, il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il presidente francese Emmanuel Macron, ottenendo un fronte compatto: nessuna pressione su Kiev perché accetti supinamente il piano USA ha assicurato Starmer, mentre Merz ha espresso scetticismo su diverse proposte americane e Macron ha sottolineato che “l’Europa ha molte carte in mano”, ricordando l’impatto delle sanzioni sull’economia russa.
L’obiettivo europeo è chiaro: trovare una soluzione di pace che non equivalga alla distruzione dell’Ucraina. Anche la cosiddetta “Coalizione dei Volenterosi” – i 26 Paesi (tra cui Italia, Francia, Germania, UK, Polonia e altri) che stanno elaborando garanzie di sicurezza per Kiev – lo ha ribadito di recente. In un vertice a Parigi, i Volenterosi hanno concordato sulla necessità di una “pace giusta e duratura” raggiunta senza annientare l’Ucraina, combinando continuo supporto militare a Kiev con pressione diplomatica e sanzioni su Mosca. Non a caso, questi Paesi si sono detti pronti a inviare truppe di supporto in Ucraina dopo un eventuale accordo di pace, come forze di “riassicurazione” per garantire la sicurezza del paese – impegno simbolico ma indicativo della volontà di non abbandonare Kiev al suo destino.

In questo contesto nasce l’incontro non programmato di Zelensky con Papa Leone XIV a Castel Gandolfo, per chiedere l’aiuto della Santa Sede per percorrere “sentieri di pace giusti e duraturi” e per riportare a casa i bambini ucraini deportati in Russia. Il ricorso alla moral suasion vaticana evidenzia quanto sia disperata la ricerca di una soluzione equa. Tuttavia, sul terreno la guerra infuria senza segnali di attenuazione – anzi, le forze russe stanno avanzando nel Donbass (Pokrovsk/Mirnograd) e accumulando pressioni per ottenere sul campo ciò che non ottengono al tavolo. Se questo negoziato dovesse fallire, l’alternativa sarebbe drammatica: o l’Ucraina viene lasciata cadere sotto i colpi di Mosca, con conseguenze geopolitiche catastrofiche per l’Europa, oppure il conflitto potrebbe allargarsi ulteriormente. Proprio questo timore – di una “pace del più forte” che incoraggi Putin ad andare oltre – sta spingendo l’Europa a prepararsi per lo scenario peggiore: un conflitto diretto Europa-Russia. Di seguito analizziamo tale scenario, valutando le forze in campo, le possibili conseguenze nel breve e medio termine, le capacità militari e le posizioni dei Paesi NATO (e degli USA) di fronte a questa prospettiva.

E se fosse guerra? Forze in campo: Europa vs Russia

Dopo decenni di pace e spese militari calanti, l’Europa si è risvegliata bruscamente di fronte alla minaccia russa, soprattutto in seguito all’invasione dell’Ucraina nel 2022 e – più di recente – al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Per trent’anni gli europei hanno goduto dei “dividendi di pace” seguiti alla Guerra Fredda, adagiandosi sotto l’ombrello protettivo degli USA: bilanci della difesa ridotti, organici e arsenali tagliati al minimo. Ora, con campanelli d’allarme che suonano senza sosta, è in atto una corsa al riarmo (seppur con intensità variabile da paese a paese) per colmare il divario accumulato. Dal massiccio aumento dei budget militari ai dibattiti sulla reintroduzione della leva obbligatoria, fino a veri e propri piani di mobilitazione (come quello tedesco “Oplan Deutschland” da 1200 pagine, per trasportare fino a 800 mila soldati alleati sul fronte orientale in caso di guerra) – è evidente che i governi europei stanno gettando le basi per poter reggere un conflitto con la Russia. Secondo il Wall Street Journal, Berlino ritiene addirittura possibile un attacco russo alla NATO entro il 2029, se non prima, dati i ripetuti episodi di spionaggio, sabotaggio e intrusioni di droni in Europa attribuiti a Mosca. Un recente allarme è giunto dall’avvistamento di droni su siti infrastrutturali sensibili in vari Paesi UE, segno che la “guerra ibrida” russa va oltre l’Ucraina. Analisti avvertono che, paradossalmente, un cessate-il-fuoco in Ucraina potrebbe dare a Mosca il tempo e le risorse per preparare azioni aggressive contro membri NATO in Europa. In altre parole, l’Europa deve armarsi anche per dissuadere Putin da possibili allargamenti del conflitto.

Ma quali sono le forze in campo in uno scontro diretto Europa-Russia? Sul piano convenzionale, la NATO nel suo insieme mantiene una netta superiorità numerica e tecnologica, ma tale vantaggio dipende in larga misura dal contributo degli Stati Uniti. Attualmente, l’esercito russo – pur logorato da quasi quattro anni di guerra in Ucraina – resta il più grande del continente con circa 1,3 milioni di effettivi attivi, in crescita fino a 1,5 milioni per volontà di Putin. La Russia può inoltre mobilitare fino a 2 milioni di riservisti, portando la forza totale teorica a oltre 3,3 milioni di uomini. Dall’altra parte, i Paesi europei della NATO stanno lentamente aumentando i propri ranghi: nell’ultimo anno la Polonia, ad esempio, ha annunciato piani per portare il suo esercito a 300 mila unità e ha investito pesantemente in carri armati e artiglierie moderni; la Finlandia e gli stati baltici mantengono la coscrizione e un livello elevato di addestramento della popolazione. Collettivamente, gli alleati NATO (esclusi gli USA) potrebbero teoricamente schierare circa 1,8–2 milioni di militari attivi e vari milioni di riservisti, seppure non tutti con lo stesso grado di prontezza al combattimento. In termini di mezzi: sommando gli arsenali europei, la NATO in Europa dispone di oltre 14.000 carri armati e veicoli corazzati (contro circa 12.000 russi) e di circa 20–21.000 aerei militari (caccia, droni, elicotteri) contro i ~4.500 schierati dalla Russia.
Questo equilibrio, tuttavia, va letto con cautela. La spesa militare complessiva dei Paesi NATO europei nel 2025 è stimata intorno ai 600 miliardi di dollari annui, circa 4 volte il budget ufficiale russo di ~$145 miliardi. Di per sé, ciò suggerisce una potenza industriale e tecnologica molto superiore. Ma la realtà è più complessa: gli eserciti europei soffrono di eterogeneità di equipaggiamenti e dottrine (ciò che può creare inefficienze), nonché di scorte limitate dopo anni di under-investment. La guerra in Ucraina ha evidenziato le carenze occidentali in munizioni, pezzi di ricambio e capacità di produzione su larga scala – problemi che l’UE sta cercando di risolvere avviando iniziative per rafforzare la base industriale difensiva comune. Nell’immediato, però, la prontezza effettiva delle forze europee è inferiore al potenziale teorico. Basti pensare che alcuni grandi Paesi (Germania in primis) hanno scorte di munizioni sufficienti per poche settimane di guerra ad alta intensità, e stanno correndo ai ripari solo ora.

Un fattore cruciale è il sostegno degli Stati Uniti. Con Washington pienamente impegnata, il bilancio delle forze NATO sarebbe schiacciante: 3,14 milioni di effettivi attivi in totale (USA+Europa), quasi 6 milioni includendo le riserve, con una capacità di proiezione globale che la Russia non può eguagliarethe-independent.com. Ma se gli USA non intervenissero direttamente (ipotesi che considereremo più avanti), l’Europa dovrebbe contare solo sulle proprie forze. Anche in questo caso, almeno sulla carta, le risorse per prevalere non mancherebbero: i soli europei spendono comunque quattro volte Mosca in armamentithe-independent.com e dispongono di economie collettivamente 10 volte più grandi. Tuttavia, l’esperienza storica insegna che numeri e ricchezza non garantiscono vittoria rapida senza volontà politica e preparazione adeguata. Proprio la volontà di combattere è un’incognita per l’Europa: un recente sondaggio Gallup ha rilevato che in media meno di un terzo dei cittadini UE sarebbe disposto a “combattere per il proprio Paese” in caso di guerra, percentuali ben più basse rispetto agli USA (41%) o ad altri Paesi come l’Indiaispionline.it. Questo dato riflette decenni di pace e una minore abitudine al sacrificio militare nelle società europee. Non a caso ha fatto scalpore l’avvertimento del generale francese Fabien Mandon, che ha esortato i connazionali ad essere pronti ad “accettare di perdere i propri figli” di fronte alla minaccia russa – parole shock che hanno svegliato bruscamente l’opinione pubblica ma evidenziano una scomoda veritàispionline.it. In parallelo, molti governi stanno cercando modi per reperire più soldati: reintrodurre la leva è stato discusso (in Germania è stato bocciato dopo polemicheispionline.it, in Francia Macron ha lanciato un nuovo servizio militare volontario, mentre Paesi vicini alla Russia come Finlandia, Estonia, Lituania, Norvegia, Danimarca già hanno forme di coscrizione anche femminileispionline.it). Insomma, l’Europa sta ricostruendo capacità militari e deterrenza, ma parte in ritardo e con opinioni pubbliche non preparate a una guerra su vasta scala.

Un altro elemento decisivo è la dimensione nucleare. Sia la Russia che la NATO dispongono di imponenti arsenali nucleari. Mosca ha circa 6.000 testate nucleari (di cui ~1.600 schierate strategicamente), e una dottrina che contempla l’uso di armi nucleari tattiche se il territorio russo o la sopravvivenza dello Stato fossero minacciati. In Europa, due potenze NATO – Francia e Regno Unito – possiedono arsenali nucleari (circa 300 testate francesi e 225 britanniche), assicurando una capacità di ritorsione autonoma in caso di attacco nucleare russo. Inoltre, testate americane sono dispiegate in cinque Paesi europei (con il sistema di “nuclear sharing”). Questo equilibrio del terrore significa che un conflitto totale Europa-Russia rischierebbe sempre di escalare fino all’olocausto nucleare, evenienza che tutti vorrebbero evitare. La deterrenza nucleare NATO è un forte freno alle ambizioni di Putin – ma allo stesso tempo, la retorica russa sempre più aggressiva desta preoccupazione. Di recente Putin ha minacciato l’Europa in termini inquietanti, affermando che se “l’Europa vuole la guerra, la Russia è pronta” e che colpirà con tale forza da non lasciare “nessuno con cui negoziare la pace”. Parole apocalittiche come queste lasciano intendere la disponibilità di Mosca ad azioni estreme (sottinteso: anche nucleari) se venisse spinta a un confronto diretto con la NATO. D’altro canto, la NATO ribadisce che qualsiasi uso di armi nucleari da parte russa avrebbe conseguenze “devastanti” per la Russia stessa. In pratica, entrambe le parti hanno la capacità di distruggersi a vicenda – uno scenario da incubo che finora ha assicurato 75 anni di deterrenza efficace, ma che in una crisi acuta metterebbe il mondo a un passo dalla catastrofe.

In sintesi, sul piano militare convenzionale l’Europa (con la NATO) è globalmente superiore alla Russia, ma deve fare i conti con la frammentazione e la non piena prontezza delle sue forze armate, nonché con la possibile assenza (o ritardo) di un impegno diretto americano. La Russia, dal canto suo, ha l’esercito più numeroso d’Europa e, pur avendo subito perdite enormi in Ucraina, lo sta ricostituendo e ammodernando sfruttando la mobilitazione interna e la produzione bellica accelerata. Mosca inoltre, a differenza di molti Paesi europei, ha preparato la propria economia alla guerra: dopo il 2014 il Cremlino ha rafforzato l’autarchia e le riserve valutarie, rendendosi più resiliente alle sanzioni. L’Europa solo ora sta correndo ai ripari – ma l’unità e la determinazione politica saranno tanto importanti quanto i carri armati e gli aerei. Una NATO coesa può vincere; un’Europa divisa o incerta rischia invece di venire sopraffatta nonostante la superiorità materiale. Nei paragrafi seguenti vedremo quali potrebbero essere gli sviluppi immediati e nel medio periodo se, sciaguratamente, scoppiasse davvero un conflitto armato diretto tra Russia ed Europa.

Conseguenze immediate di un conflitto totale Europa-Russia

Lo scoppio di una guerra aperta tra Russia e NATO in Europa avrebbe conseguenze immediate gravissime, sia sul campo di battaglia sia per le popolazioni civili e l’economia globale. In primo luogo, bisogna considerare dove e come potrebbe esplodere il conflitto. Molti analisti ipotizzano che Mosca, qualora decidesse l’azzardo di attaccare direttamente l’Alleanza, punterebbe a un colpo fulmineo sul fianco orientale: ad esempio un’operazione rapidissima nei Paesi Baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) o in Polonia, magari preceduta da un pretesto o incidente fabbricato. Un rapporto del ex vicecomandante NATO Sir Richard Shirreff, molto discusso sui media, ha delineato uno scenario “da Terza Guerra Mondiale” in cui la Russia lancia un attacco a sorpresa ai Baltici col tacito appoggio della Cina, riuscendo a travolgere la resistenza in pochi giorni e infliggendo una sconfitta strategica all’Occidente. Altri hanno indicato come possibile casus belli la contesa sul corridoio di Suwałki (striscia di territorio polacco-lituano tra Bielorussia e Kaliningrad) o sul transito ferroviario da Mosca all’enclave di Kaliningrad.
In qualunque caso, l’elemento sorpresa e velocità sarebbero le armi iniziali di Putin: colpire duro e subito, per presentare alla NATO un fait accompli e magari sperare di dividere le reazioni politiche occidentali. La dottrina russa prevede massicci attacchi missilistici e aerei nelle primissime fasi, per accecare e paralizzare i centri di comando nemici. Dunque è verosimile che, all’alba di un conflitto, decine di missili russi (da terra, aria, mare) bersaglierebbero basi NATO, depositi, aeroporti, nodi di comunicazione nell’Europa orientale – in Polonia, Romania, nei Baltici – ma possibilmente anche più a ovest (Germania, Italia, persino basi strategiche in UK) nel tentativo di rallentare l’afflusso di rinforzi. Putin ha esplicitamente avvertito che l’esercito russo, che in Ucraina si è mosso “chirurgicamente” per evitare di impegnarsi su troppi fronti contemporaneamente, non mostrerebbe la stessa moderazione contro la NATO. In altre parole, Mosca ricorrerebbe fin da subito alla massima potenza di fuoco disponibile. Ciò potrebbe includere l’impiego tattico di armi non convenzionali: non si può escludere il ricorso ad armi chimiche su obiettivi militari/localizzati (uno scenario già temuto in Ucraina) o addirittura l’uso dimostrativo di un’arma nucleare tattica a bassa potenza in un’area limitata, come estrema mossa intimidatoria. Quest’ultima opzione – per quanto estrema e suicida – è contemplata dalla dottrina russa di “escalate to de-escalate”, ossia alzare la posta drasticamente per costringere il nemico a fermarsi. Se Putin percepisse il regime in pericolo esistenziale, potrebbe considerare questa terribile carta. Le sue dichiarazioni (“non rimarrà nessuno con cui negoziare”) lasciano volutamente aleggere l’ombra nucleare.

Le forze NATO, da parte loro, attiverebbero immediatamente l’Articolo 5 del Trattato – la mutua difesa collettiva – considerando ogni attacco russo a un membro come un attacco a tutti. Ciò significherebbe che anche Paesi inizialmente lontani dal fronte (come Italia, Francia, Spagna, ecc.) entrerebbero formalmente in guerra, contribuendo come possibile allo sforzo bellico. Sul terreno però, nelle prime ore/giorni, a sostenere l’urto vi sarebbero essenzialmente gli alleati schierati a est: la Polonia (che dispone dell’esercito più grande e armato dell’Est Europa), le brigate NATO multinazionali già presenti nei Paesi baltici e in Romania, e le forze americane di stanza in Europa (oltre 70.000 soldati USA in basi dal Baltico al Mediterraneo). Subito, quindi, scoppierebbero violenti combattimenti terrestri e aerei sul fianco orientale: l’esercito polacco, affiancato da britannici, americani, tedeschi, francesi e altri presenti nell’ambito della “Enhanced Forward Presence” NATO, affronterebbe le armate russe eventualmente penetrate nei Paesi baltici o in Polonia nord-orientale. Gli scontri sarebbero su una scala mai vista in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale, con l’impiego massiccio di carri armati, artiglierie, missili balistici e difese aeree avanzate. È facile immaginare perdite pesantissime da entrambe le parti sin dai primi giorni. L’aria sarebbe uno scenario altrettanto conteso: stormi di caccia NATO (F-35, Eurofighter, Rafale, ecc.) cercherebbero di conquistare la superiorità aerea, affrontando i caccia russi (Su-35, Mig-31, ecc.) e tentando di abbattere i missili e i bombardieri in arrivo. Anche il cyberspazio e lo spazio extra-atmosferico diventerebbero campi di battaglia: possiamo aspettarci attacchi cyber russi su larga scala contro reti elettriche, telecomunicazioni, banche e infrastrutture civili europee, nonché tentativi di accecare i satelliti NATO (con armi antisatellite o cyberattacchi).

Per i civili europei, le conseguenze immediate sarebbero sconvolgenti. Le popolazioni nelle zone di guerra – ad esempio nei Paesi baltici o in Polonia orientale – subirebbero un’impennata di bombardamenti e violenze, con inevitabili vittime tra i civili nonostante gli sforzi di evitarle. In poche ore si innescherebbe un esodo di massa dalle regioni minacciate verso l’Europa occidentale: milioni di profughi cercherebbero salvezza spostandosi all’interno dell’UE. Le autorità dei Paesi limitrofi (Germania, Repubblica Ceca, ecc.) dovrebbero fronteggiare un’emergenza umanitaria improvvisa, mentre nel resto d’Europa verrebbero proclamati stati di emergenza o legge marziale per gestire la sicurezza interna e la mobilitazione. Infatti, la macchina della mobilitazione generale partirebbe immediatamente: i riservisti verrebbero richiamati in servizio, ai civili potrebbero essere richiesti razionamenti e misure di blackout (per precauzione contro attacchi aerei). Le città europee potrebbero subire black-out elettrici e interruzioni nei servizi essenziali, sia per il sovraccarico che per possibili sabotaggi russi (ad esempio tramite attacchi hacker alle reti elettriche). Non è da escludere anche l’infiltrazione di unità di sabotaggio russe (Spetsnaz o agenti) nelle retrovie europee per compiere attentati mirati a depositi logistici, snodi ferroviari o figure chiave. Già oggi i servizi occidentali monitorano elementi ostili “dormienti” presenti sul suolo europeo.

Sul piano economico-finanziario, uno scoppio della guerra totale genererebbe uno shock immediato globale: crolli delle borse, impennata dei prezzi di gas e petrolio, fuga degli investitori verso beni rifugio. Le linee di approvvigionamento energetico dell’Europa rischierebbero di essere interrotte: ad esempio, la Russia potrebbe tagliare le ultime forniture di gas o compiere sabotaggi su infrastrutture energetiche (oleodotti, rigassificatori, cavi sottomarini). Anche se l’UE nel 2025 è ormai poco dipendente dal gas russo rispetto al passato, un conflitto diretto farebbe esplodere comunque i prezzi e potrebbe causare razionamenti energetici invernali. In parallelo, la produzione industriale verrebbe riconvertita allo sforzo bellico, causando carenze di prodotti civili e probabilmente blocco dei commerci con l’Asia (una guerra NATO-Russia implicherebbe ad esempio la chiusura immediata di tutte le rotte commerciali via Russia, e il traffico in Europa dell’est verrebbe devastato). L’Europa entrerebbe in recessione lampo: le imprese, molte ancora in fragile ripresa post-Covid, subirebbero un colpo durissimo con costi energetici alle stelle e mercati in agitazione. Allo stesso tempo, paradossalmente, l’economia di guerra potrebbe ridurre la disoccupazione (molte braccia servirebbero nell’industria bellica e nella logistica) – ma a costo di un’inflazione galoppante e di un drastico calo del tenore di vita. In sintesi, nelle prime settimane di conflitto l’Europa sperimenterebbe scene che non vedeva da generazioni: città sotto coprifuoco, colonne di profughi verso ovest, sirene antiaeree nelle capitali, razionamento di carburante e derrate, e un senso di crisi esistenziale. La rapidità con cui la NATO riuscirà a rispondere e bloccare l’offensiva russa (o viceversa l’efficacia del blitz di Putin) determinerà se questo shock iniziale troverà un contenimento oppure precipiterà verso un’escalation ancora più pericolosa.
Va infatti sottolineato che entrambe le parti avrebbero interesse a forzare una conclusione rapida: la Russia per capitalizzare il vantaggio iniziale e piegare la volontà occidentale, la NATO per evitare di dare a Mosca l’impressione di poter continuare indisturbata. Se nessuno dei due ci riuscisse entro poco, il conflitto entrerebbe in una fase prolungata – ed è qui che si collocano le considerazioni sul medio termine.

Conseguenze nel medio termine

Se la guerra tra Russia ed Europa dovesse protrarsi oltre le prime settimane in uno scontro non decisivo, ci troveremmo in un conflitto prolungato dai costi enormi e dagli esiti incerti. Nel medio termine (mesi o pochi anni), si delineano vari scenari, tutti comunque foschi per la stabilità europea.

Un primo effetto sarebbe la completa militarizzazione della società e dell’economia europee. I governi dovrebbero passare a un’economia di guerra: conversione industriale, controllo pubblico della produzione strategica, razionamento di beni critici. Secondo alcune stime, mantenere lo sforzo bellico richiederebbe all’Europa spese aggiuntive nell’ordine di centinaia di miliardi all’annolinkiesta.it – fondi da reperire con tasse straordinarie o indebitamento comune. Questo potrebbe paradossalmente dare una spinta temporanea a settori industriali stagnanti (cantieri navali, acciaierie, produzioni high-tech militari), ma presto il protrarsi del conflitto distruggerebbe ricchezza: il commercio internazionale verrebbe sconvolto, molti investimenti esteri fuggirebbero dall’Europa, intere filiere produttive collasserebbero per mancanza di componenti. Una guerra prolungata disgregherebbe anche la globalizzazione così come la conosciamo, frammentando il mondo in blocchi ostili. L’Europa, epicentro di combattimenti, si troverebbe a vivere un periodo di austerità e sacrifici senza precedenti dal 1945.

Socio-politicamente, la coesione dell’Unione Europea sarebbe messa a dura prova. Già oggi si intravedono divergenze tra gli Stati membri rispetto alle priorità: un conflitto di lunga durata esacerberebbe queste differenze. I Paesi dell’Europa orientale, direttamente minacciati dalla Russia, tenderebbero a spingere per il massimo impegno militare fino alla vittoria, mentre alcuni Paesi dell’Europa meridionale (più lontani dal fronte e preoccupati anche da altre crisi come migrazioni dal Nord Africa o instabilità nel Mediterraneo) potrebbero mostrare segni di stanchezza e desiderio di un compromesso. Questo fossato Est-Sud nell’UE potrebbe diventare profondo. Inoltre, al crescere delle privazioni belliche, le opinioni pubbliche europee potrebbero radicalizzarsi: movimenti populisti e antisistema ne approfitterebbero per accusare i governi di aver trascinato i Paesi nel disastro. Esperti avvertono che in uno scenario di guerra prolungata “il populismo e persino la corruzione nell’UE aumenterebbero, mentre l’Unione tenterebbe di gestire divisioni interne crescenti”. Governi democratici potrebbero cadere, sostituiti da esecutivi di unità nazionale o, in casi estremi, da regimi di emergenza meno liberali. La propaganda russa sfrutterebbe certamente le difficoltà, alimentando disinformazione per spaccare l’unità occidentale – ad esempio diffondendo narrazioni complottiste o promesse di pace separata in cambio di concessioni. Nel frattempo, l’UE vedrebbe quasi certamente arrestarsi (se non regredire) il suo processo di allargamento e integrazione: difficilmente in piena guerra i Paesi membri acconsentirebbero ad accogliere nuovi stati (pensiamo all’Ucraina stessa o ai Balcani), e anzi la solidarietà intra-europea sarebbe sotto stress per via delle disparità nei costi sopportati (i Paesi del fronte est pagherebbero un prezzo di sangue più alto, quelli occidentali subirebbero magari più shock economici). Questo potrebbe portare a litigi sulla ripartizione delle risorse comuni, indebolendo ulteriormente il progetto europeo. Insomma, una “guerra lunga” rischia di logorare ciò che tiene unita l’Europa, trasformando l’UE da un’unione di valori in una più fragile confederazione di circostanza.

Sul fronte militare, se il conflitto persiste, vedremmo probabilmente un’escalation progressiva nell’impiego di armamenti sempre più distruttivi. Da entrambe le parti vi sarebbe pressione per “vincere” entro una certa finestra temporale, prima che lo sfinimento totale subentri. Ciò potrebbe significare ad esempio: la NATO potrebbe valutare di impiegare la sua schiacciante superiorità aerea per colpire obiettivi strategici all’interno della Russia (comunicazioni, basi di lancio missilistico) – un passo molto rischioso perché Mosca l’equiparerebbe a un’escalation decisiva. La Russia, se messa alle corde, potrebbe intensificare bombardamenti indiscriminati sulle città europee con missili a lunga gittata (già oggi sviluppa missili ipersonici in grado di colpire ovunque in Europa). L’incubo nucleare resterebbe costantemente all’orizzonte: la soglia di utilizzo potrebbe abbassarsi col passare del tempo, specialmente se una delle parti intravede la sconfitta. Gli esperti temono uno scenario da “5 minuti a mezzanotte” permanente: allerta nucleare altissima, missili pronti a partire, incidenti o errori di calcolo sempre possibili. Anche se nessuno volesse davvero premere il pulsante, l’elevatissima tensione aumenterebbe le probabilità di un incidente catastrofico (un falso allarme, un lancio accidentale interpretato male, ecc.). In parallelo, una guerra di attrito prolungata vedrebbe certamente una corsa agli armamenti mai vista dal periodo della Guerra Fredda: sia la Russia che l’Occidente moltiplicherebbero la produzione di missili, carri, droni, forse sviluppando in fretta nuovi tipi di armi (es. droni autonomi avanzati, cyber-armi più aggressive). Questo alimenterebbe il conflitto in un circolo vizioso. Sul terreno, se nessuno prevalesse nettamente, si potrebbero creare delle linee di fronte statiche – magari lungo i confini dei primi Paesi NATO invasi (ad esempio la linea dell’Oder-Neisse se la Polonia fosse parzialmente occupata, o il confine lituano) – simili alle trincee dell’Ucraina ma su scala più ampia. Ciò segnerebbe l’inizio di un inverno di guerra in Europa, con trincee, città divise e territori contesi.

Russia-Ucraina, guerra estesa all’Europa: ripercussioni globali

Le ripercussioni globali a medio termine sarebbero ugualmente rilevanti. Un’Europa invischiata in guerra e indebolita perderebbe molto peso sulla scena internazionale: la sua voce nelle istituzioni multilaterali si affievolirebbe mentre altre potenze ne approfitterebbero. Cina e forse anche India si rafforzerebbero in relative influence, potendo presentarsi come mediatori o semplicemente beneficiando del logoramento reciproco di Occidente e Russia. In particolare, Pechino – liberata dall’attenzione occidentale, concentrata sul conflitto europeo – potrebbe sentirsi più libera di agire nel Pacifico (ad esempio verso Taiwan). Inoltre, con Mosca ed Europa esauste, altri conflitti regionali potrebbero esplodere (in Medio Oriente, in Asia) approfittando del “vuoto” di un Occidente distrattoeuropeanleadershipnetwork.org. L’economia mondiale subirebbe un riassestamento: probabilmente emergerebbero “blocchi” economici separati (Occidente vs asse sino-russo) con catene di approvvigionamento distinte. Il dollaro ed euro potrebbero perdere terreno come valute internazionali a vantaggio di nuovi sistemi di pagamento sino-centrici.

Infine, c’è l’eventualità che la guerra prolungata sfoci in un collasso interno di una delle parti. Se la Russia non riuscisse a rompere il fronte NATO e subisse perdite inaccettabili, potrebbe andare incontro a crisi politica interna (colpi di stato, frammentazione del potere centrale). Allo stesso modo, se l’Europa (o l’America) cedessero per stanchezza, potrebbero apparire governi disposti a un accordo di pace sfavorevole pur di fermare la devastazione. Qualunque di queste eventualità segnerebbe la fine della guerra, ma con conseguenze di lungo periodo: un collasso russo potrebbe aprire una fase caotica con armi nucleari fuori controllo; un cedimento occidentale inaugurerebbe un’era di egemonia russa in Europa orientale e di credibilità perduta della NATO. Entrambe le prospettive fanno capire quanto sia alto il rischio storico. Come ha ricordato la storia del XX secolo, anche se si evitasse il peggio (guerra nucleare), una guerra convenzionale su suolo europeo sarebbe sufficiente a mutare per sempre l’ordine mondiale. L’Europa del dopoguerra sarebbe probabilmente più povera, più autoritaria e segnata da nuovi muri e fratture – l’opposto del sogno di pace e unità su cui si fonda l’UE.

Russia-Ucraina, le posizioni dei Paesi NATO e degli Stati Uniti

Di fronte allo scenario di un conflitto aperto con la Russia, i vari Paesi della NATO avrebbero approcci e sensibilità differenti, pur entro l’impegno comune sancito dal Trattato atlantico. Vediamo le posizioni dei principali alleati europei e il ruolo chiave degli USA.

In linea generale, tutti i Paesi NATO in Europa considererebbero un’aggressione russa come una minaccia esistenziale alla sicurezza del continente. Tuttavia, le sfumature nelle loro politiche e nelle opinioni pubbliche potrebbero influire sul modo di affrontare la guerra.

  • Europa orientale (Polonia, Stati baltici, Finlandia): Questi Paesi sono i più direttamente minacciati e i più determinati a opporsi alla Russia. La Polonia, in particolare, si è preparata attivamente a uno scenario di guerra: ha aumentato la spesa militare oltre il 4% del PIL, ordinato centinaia di nuovi carri armati e jet e promosso volontariamente l’addestramento militare dei cittadini. Varsavia ha fin dall’inizio del conflitto ucraino assunto una linea durissima contro Mosca, offrendo massiccio aiuto a Kiev. In caso di guerra, i polacchi combatterebbero con estrema risolutezza per difendere il proprio territorio e quello degli alleati. Tuttavia, la Polonia – come emerso anche nelle discussioni sulle garanzie post-conflitto – non intende inviare truppe fuori area (ad esempio in Ucraina come peacekeepers) nemmeno dopo una pacetg24.sky.it, preferendo concentrarsi sulla difesa del proprio suolo. Ciò indica che pur essendo militarmente aggressivi contro la Russia, i polacchi sono cauti nel non disperdere le forze. I Paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) hanno eserciti minuscoli, ma popolazioni molto motivate a resistere. Tutti e tre hanno reintrodotto o ampliato la coscrizione e preparato strategie di difesa territoriale anche in caso di occupazione (guerra partigiana). Essendo i più vulnerabili (i Baltici potrebbero essere invasi in poche giorni, data la contiguità geografica con la Russia), chiedono da anni un maggiore dispiegamento di truppe NATO sul loro territorio. Infatti, la presenza attuale di battaglioni alleati è considerata “sufficiente per fungere da tripwire, non per difendere a oltranza”. In guerra, la leadership baltica farebbe affidamento sul rapido arrivo di rinforzi NATO (soprattutto dagli Stati Uniti e da Polonia/Germania) e sul supporto aereo/navale alleato, mentre popolazione e forze locali intralcerebbero l’occupante. La Finlandia (entrata nella NATO nel 2023) è un caso a parte: con i suoi 280.000 riservisti prontamente mobilitabili e un arsenale moderno, i finlandesi hanno capacità difensive fortissime sul loro territorio. La dottrina finlandese storica è “difesa totale” – ogni cittadino pronto a contribuire. Avendo 1300 km di confine con la Russia, la Finlandia sarebbe fondamentale in un conflitto: Helsinki coopererebbe strettamente con gli scandinavi e con l’UK (che guida una Joint Expeditionary Force regionale). Anche la Svezia (che al 2025 dovrebbe essersi unita alla NATO) porterebbe in dote una buona aviazione e marina per controllare il Baltico. In generale, l’Europa nord-orientale sarebbe il fulcro della resistenza, con governi molto risoluti (spesso guidati da partiti trasversali di unità nazionale) e opinioni pubbliche disposte a grandi sacrifici, memori delle passate aggressioni sovietiche.
  • Gran Bretagna: Il Regno Unito, pur non essendo più nell’UE, rimane un pilastro della NATO in Europa. Già durante la guerra in Ucraina, Londra è stata tra i più attivi sostenitori di Kiev, e anche sotto il governo laburista di Starmer ha mantenuto un impegno forte. Nel vertice di Londra, Starmer ha garantito che il Regno Unito non farà pressioni per compromessi al ribasso e sosterrà l’Ucraina quanto necessariorainews.it. Gli inglesi tradizionalmente assumono un ruolo di primo piano nelle crisi europee: dispongono di forze armate ben equipaggiate (anche se ridimensionate negli ultimi anni) e dell’arma nucleare. In caso di conflitto NATO-Russia, contribuirebbero con la loro eccellente aeronautica e marina (ad esempio per pattugliamento Atlantico e Artico, protezione dei convogli dagli USA) e potrebbero guidare operazioni speciali. La politica britannica, al di là dei partiti, è fortemente atlantista: difficilmente il Regno Unito cercherebbe accomodamenti separati. Semmai potrebbe fungere da ponte con gli Stati Uniti, spronando Washington a intervenire con decisione. L’opinione pubblica inglese, pur stanca di guerre dopo Iraq/Afghanistan, di fronte a una minaccia esistenziale all’Europa tenderebbe a seguire il governo (soprattutto se supportato dal consenso bipartisan come sarebbe in questo caso).
  • Francia: La Francia è l’altra potenza nucleare europea e storicamente cerca una propria autonomia strategica. Il presidente Macron negli ultimi anni ha oscillato tra il dialogo con Putin e il sostegno militare all’Ucraina, ma dopo l’aggressione russa l’orientamento francese si è nettamente spostato verso il sostegno all’alleanza. Macron ha recentemente affermato che di fronte alla situazione “la sicurezza di tutto il continente è in gioco” e che l’Europa sarà “implacabile nei suoi sforzi per mantenere l’Ucraina forte e l’Europa sicura”. Questo indica che Parigi è consapevole della posta storica. In caso di guerra, la Francia metterebbe in campo la Force de Frappe (la sua deterrenza nucleare a scopo di dissuasione) e fornirebbe ampie forze convenzionali – la Francia ha l’esercito professionale più grande dell’Europa occidentale e forze ben addestrate, anche se impegnate in Africa fino a poco tempo fa. Un punto chiave: quanto la Francia sarebbe disposta a subordinare il suo comando militare a quello NATO/USA. È probabile che, di fronte all’emergenza, Parigi cooperi pienamente nel comando integrato NATO (di cui peraltro fa parte ufficialmente). Sul fronte interno, i francesi potrebbero inizialmente essere divisi (la tradizione pacifista è forte in alcuni segmenti politici), ma un attacco russo su scala continentale ricompatterebbe verosimilmente il Paese dietro al governo, come avvenne nelle guerre mondiali. La Francia inoltre vedrebbe confermato il suo ruolo di leader militare europeo, il che la motiverebbe a non tirarsi indietro.
  • Germania: La Germania è un caso particolare. Per decenni berlino ha mantenuto un profilo basso negli affari militari, complici la storia e una certa dipendenza economica dall’export verso la Russia/Cina. Tuttavia, l’invasione dell’Ucraina ha prodotto la famosa Zeitenwende (svolta epocale) annunciata dall’ex cancelliere Scholz: 100 miliardi straordinari per la difesa e impegni a salire al 2% del PIL in spese militari Nel 2025 il nuovo cancelliere Friedrich Merz (leader conservatore) sembra continuare su questa linea di riarmo prudente ma costante. Merz ha espresso “scetticismo” su alcune proposte USA nel piano di pace, segno che la Germania attuale non intende allinearsi ciecamente a Washington qualora ciò significhi sacrificare principi come l’integrità ucraina. In caso di guerra, la Germania sarebbe logisticamente cruciale (base di rifornimento e transito truppe USA verso il fronte) e dovrà probabilmente abbandonare gli ultimi complessi. Già ora la Bundeswehr sta predisponendo piani per scenari peggiori (come citato, l’Oplan Deutschland per movimentare centinaia di migliaia di alleati attraverso il suo territorio). Il problema tedesco è la scarsa prontezza attuale: molti reparti tedeschi non sono pienamente operativi, e la ricostituzione di un esercito robusto richiede tempo. Nel breve periodo, Berlino contribuirebbe soprattutto con l’aviazione (gli Eurofighter tedeschi pattugliano regolarmente i cieli della Polonia e Baltico) e con la difesa anti-aerea per proteggere il cielo alleato. La Germania ha investito nei sistemi anti-missile Arrow-3 israeliani e in Patriot aggiuntivi dopo l’inizio della guerra ucraina. Politicamente, la popolazione tedesca è una delle più pacifiste d’Europa, ma di fronte a una guerra dichiarata dalla Russia probabilmente accetterebbe, seppur con angoscia, la necessità di combattere. È possibile che a Berlino emergano comunque spinte “negoziali” (ricerca di una tregua) se il conflitto si trascinasse, per via dell’orrore storico dei tedeschi verso la guerra. Questo dualismo (impegno NATO ma allo stesso tempo ansia pacifista) sarà una caratteristica della posizione tedesca.
  • Italia e Europa meridionale: L’Italia, insieme ad altri Paesi del sud Europa (Spagna, Grecia, ecc.), ha sostenuto l’Ucraina e condannato fermamente l’aggressione russa, ma la sua opinione pubblica è apparsa spesso più tiepida rispetto al Nord-Est europeo. Il governo italiano di Giorgia Meloni è fortemente atlantista: Meloni ha ripetuto più volte che “la posta in gioco è la sicurezza dell’intero continente” e che l’Italia farà la sua parte. Tuttavia, Roma ha anche chiarito alcuni limiti: ad esempio, ha escluso l’invio di truppe italiane in Ucraina in qualsiasi circostanza, preferendo offrire contributi di addestramento e supporto fuori dai confini ucraini. In caso di guerra NATO-Russia, l’Italia metterebbe a disposizione le sue basi strategiche (Sigonella, Aviano con forze USA, ecc.), la sua Aeronautica (caccia F-35 italiani contribuirebbero alla difesa aerea NATO) e parte della Marina (nel Mediterraneo potrebbe proteggere i flussi logistici o dissuadere la flotta russa del Mar Nero). Le truppe di terra italiane sarebbero presumibilmente impiegate come forze di rinforzo secondarie o in compiti di sicurezza interna, più che sul fronte principale, data anche la volontà politica di evitare perdite massicce. L’opinione pubblica italiana è notoriamente scettica verso coinvolgimenti bellici: negli ultimi anni solo una minoranza è favorevole ad aumentare le spese militari. Pertanto, è prevedibile che in Italia il governo dovrebbe gestire con cautela la partecipazione alla guerra, spiegando chiaramente la necessità di difendere la NATO per non perdere il sostegno popolare. La Spagna e il Portogallo, geograficamente lontani dalla Russia, sarebbero anch’essi sul lato prudente: fornirebbero asset navali (Spagna) e aerei, ma internamente potrebbero vivere meno direttamente l’urgenza percepita in Polonia o nelle repubbliche baltiche. In generale, l’Europa meridionale parteciperebbe lealmente allo sforzo comune (ricordiamo che Turchia e Grecia, pur con i loro dissidi, sono anch’esse membri NATO e contribuirebbero: ad esempio la Grecia potrebbe aiutare a contenere la flotta russa nel Mediterraneo orientale), ma col passare del tempo potrebbe spingere per focalizzarsi su cessate il fuoco e soluzioni diplomatiche per alleviare il peso sulle proprie economie e società già provate.
  • Turchia: Membro atipico della NATO, la Turchia di Erdoğan (o del suo successore) giocherebbe un ruolo duplice. Da un lato, Ankara ha rapporti complessi con Mosca (cooperazione in alcuni campi, rivalità in Siria e Caucaso). In un conflitto NATO-Russia, la Turchia dovrebbe rispettare l’alleanza e potrebbe chiudere il Bosforo alle navi da guerra russe (come da convenzione di Montreux, già fatto per la guerra in Ucraina). Inoltre potrebbe impegnarsi a contenere eventuali mosse russe in Medio Oriente/Caucaso. Tuttavia, Erdoğan ha in passato bloccato decisioni NATO e mantenuto una certa ambiguità. È plausibile che la Turchia cerchi di mediare per un cessate il fuoco se il conflitto si incagliasse, sfruttando i suoi canali con Putin. In uno scenario estremo di escalation nucleare, potrebbe persino minacciare di veto all’uso di basi NATO sul suo territorio per attacchi (ad esempio Incirlik) se ritenesse la strategia alleata troppo pericolosa per la Turchia stessa. La sua posizione quindi sarebbe allineata formalmente alla NATO, ma con un occhio ai propri interessi regionali.

Riassumendo, la NATO europea in guerra resterebbe ufficialmente unita, ma le differenze nazionali emergerebbero in termini di contributi e soglie di rischio accettate. I Paesi dell’est e del nord sarebbero i più intransigenti e disposti a qualsiasi sacrificio per sconfiggere la Russia, mentre quelli dell’ovest/sud – pur impegnati a difendere gli alleati – potrebbero cercare vie per limitare l’espansione del conflitto o raggiungere tregue qualora la situazione si prolungasse troppo. Questo equilibrio interno è già percepibile nelle discussioni attuali: ad esempio, la presenza di leader europei a fianco di Zelensky (come Macron, Starmer, Merz) serve anche a rassicurare i più esposti che “non vi lasceremo soli, l’unità tra alleati è fondamentale”rainews.it. Il rischio, evidenziato da think tank e storici, è che se l’Europa desse anche solo l’impressione di esitare o dividersi, Putin potrebbe sfruttarlo per spezzare la NATO. L’ISPI ha avvertito che se l’Europa rinunciasse a difendere l’Ucraina, la fiducia di polacchi, baltici e scandinavi nella difesa comune crollerebbe, innescando una crisi esistenziale nell’integrazione europeaispionline.it. Allo stesso modo, durante la guerra, qualunque segnale di frattura (ad esempio un Paese NATO che negozia separatamente con Mosca) potrebbe far saltare l’Alleanza. I leader attuali sembrano consapevoli di ciò e – almeno a parole – dichiarano che “nessuno può voltare la testa dall’altra parte” e che occorre restare uniti fino in fondo. In pratica, quindi, ci si attende che finché la minaccia è attiva, anche Paesi restii seguiranno la linea dura, salvo poi magari differenziarsi nelle fasi negoziali finali.

La posizione degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti d’America restano l’attore indispensabile di qualunque scenario di sicurezza europeo. La loro posizione, tuttavia, appare la più incerta, legata alle vicende politiche interne (il secondo mandato Trump) e a un potenziale disimpegno. Attualmente, con Donald Trump alla Casa Bianca, Washington ha adottato un approccio molto diverso rispetto al 2022-2023: l’obiettivo prioritario di Trump è “finire la guerra in Ucraina in fretta”, anche a costo di imporre una pace sfavorevole a Kiev. Trump vede la questione principalmente in termini di interessi americani (ridurre spese e distrazioni in Europa, concentrarsi su Cina e affari interni). Per questo ha esercitato forti pressioni su Zelensky perché accetti le condizioni del piano – minacciando in caso contrario il disimpegno totale degli USA dal supporto all’Ucraina. Già ora, infatti, l’aiuto militare americano a Kiev è stato drasticamente ridotto (“fine degli aiuti americani”), lasciando intendere che la pazienza di Washington è terminata. In parallelo, Trump ha chiesto agli alleati europei di “fare di più” e addirittura di azzerare le importazioni di petrolio russo immediatamente per strangolare economicamente Mosca – mossa che l’Europa ha giudicato impraticabile nel breve termine. Insomma, gli USA trumpiani stanno lanciando messaggi contraddittori: da un lato vogliono chiudere la partita ucraina avvantaggiando Putin (per togliersela dai piedi), dall’altro spronano l’Europa a essere più dura nelle sanzioni. Questa linea ha creato forti frizioni transatlantiche: Ursula von der Leyen ha avvertito che la sicurezza dell’Europa è anche quella degli USA e che non bisogna illudersi di poter “abbandonare” l’Ucraina senza conseguenze globali. Tuttavia, la grande incognita è proprio l’atteggiamento che Trump terrebbe in caso di conflitto diretto NATO-Russia. Allo stato attuale, non è chiaro quale strategia sceglierebbe il presidente americano. Trump ha oscillato tra dichiarazioni di ammirazione per Putin e promesse di non far trascinare gli USA in “guerre inutili”. Se la Russia dovesse attaccare un Paese NATO (ad esempio i Baltici), i trattati obbligherebbero gli Stati Uniti a intervenire in difesa degli alleati. La credibilità della NATO e della stessa America come superpotenza sarebbero in gioco. Ma con Trump al comando, c’è il timore che possa inizialmente esitare o cercare “un accordo con Putin” anziché rispondere militarmente con prontezza. L’ISPI sottolinea che il “voltafaccia” di Trump ha colto l’Europa impreparata e in difficoltà nel contrastare la Russia sul piano militare senza supporto americano. Ciò implica che se Washington non onorasse appieno l’Articolo 5, l’Europa subirebbe probabilmente sconfitte importanti. D’altro canto, bisogna considerare che negli USA non c’è solo la Casa Bianca: il Pentagono e il Congresso (anche a maggioranza repubblicana) hanno in gran parte posizioni tradizionalmente filo-NATO. In caso di aggressione russa palese, è difficile immaginare che l’apparato militare-diplomatico USA resti inerte. Più probabile è che, anche con riluttanza di Trump, gli Stati Uniti fornirebbero inizialmente enorme supporto materiale (armi, intelligence, copertura aerea con missili e difese) cercando magari di evitare l’invio di truppe sul terreno immediatamente. Trump potrebbe rivendicare di voler “armare gli europei” lasciando a loro il compito di fare da fanteria. Già oggi, gli USA coprono circa $980 miliardi su $1.59 trilioni di spesa NATO, quindi qualsiasi riduzione dell’impegno americano sarebbe critica. Se Washington non inviasse le proprie forze in caso di guerra, la potenza economico-militare combinata disponibile per l’Europa scenderebbe a ~$600 miliardi l’anno contro i ~$145 miliardi della Russia (valore nominale, sebbene a parità di potere d’acquisto il budget di Mosca equivalga forse a $300-400 mld). Ciò significa che l’Europa, pur superiore in risorse, sarebbe priva della tecnologia e capacità uniche americane (ad es. la logistica strategica, i sistemi di comando e controllo integrati, la ricognizione satellitare in tempo reale, ecc.). In sostanza, senza gli USA la guerra sarebbe molto più dura per la NATO, ed è esattamente lo scenario che Putin spererebbe di sfruttare.

Detto ciò, la posizione ufficiale degli Stati Uniti nella NATO rimane l’impegno alla difesa collettiva. Anche Trump non ha (finora) ritirato gli USA dalla NATO né disdetto l’Articolo 5 – mosse che probabilmente incontrerebbero opposizione nel suo stesso partito. Possiamo quindi immaginare due fasi: inizialmente, Trump cercherebbe di limitare l’intervento offrendo forse all’Europa supporto materiale ma invitando al negoziato (magari cercando di “cedere” qualcosa a Putin per fermarlo). Se però la guerra dovesse incancrenirsi e gli alleati europei resistessero, alla lunga anche gli Stati Uniti potrebbero essere trascinati più a fondo. L’entrata in campo massiccia degli USA – con divisioni di terra e forze anfibie – potrebbe avvenire solo se l’opinione pubblica americana la ritenesse necessaria. Inizialmente molti americani sarebbero contrari a “mandare i propri figli a morire in Europa” (un sentimento che Trump ha cavalcato), ma se l’aggressione russa venisse equiparata alle mire di Hitler nel 1940, l’atteggiamento potrebbe cambiare. Vale ricordare che anche nelle due guerre mondiali gli USA entrarono in ritardo ma poi furono decisivi.

In ogni caso, il ruolo americano sarebbe fondamentale sul fronte nucleare. Gli Stati Uniti sono l’unico alleato in grado di dissuadere Putin dall’uso dell’atomica grazie alla sua triade nucleare strategica. Una linea rossa assoluta per Washington è impedire escalation nucleari incontrollate: dunque, paradossalmente, Trump potrebbe diventare più interventista se Mosca brandisse seriamente l’arma atomica contro l’Europa, perché ciò costituirebbe una minaccia diretta anche per il territorio USA (nessuno può escludere che un ICBM russo lanciato in Europa non colpisca basi americane o addirittura gli States per errore). Perciò gli Stati Uniti potrebbero comunicare chiaramente a Putin, fin dall’inizio del conflitto, che qualsiasi uso di armi nucleari tattiche attiverebbe una risposta nucleare americana distruttiva. Questa garanzia, implicita nell’ombrello nucleare NATO, sarebbe cruciale per mantenere Putin “razionale”.

C’è da considerare poi l’orizzonte politico: nel novembre 2028 gli USA avranno nuove elezioni presidenziali. Se la guerra scoppiasse e durasse ancora in quella data, è possibile che la politica americana cambi ancora. Un presidente differente (democratico o un repubblicano tradizionale) potrebbe riportare gli USA a un ruolo più assertivo di guida NATO. Questo ovviamente Putin lo sa, e potrebbe calcolare i suoi tempi di conseguenza (ad esempio colpire prima che gli USA escano dall’attuale ambiguità strategica).

In conclusione, la posizione USA oggi è ambivalente: ufficialmente vincolata alla NATO ma praticamente attendista e “America first”. L’Europa ne è consapevole e questo, come visto, la costringe a prendere iniziative autonome di difesa. Una decisione chiave nel momento di crisi sarebbe se Washington “lasciar fare” l’Europa (supportandola dietro le quinte) oppure se prendere direttamente il comando delle operazioni belliche. Nel primo caso, vivremmo un inedito conflitto quasi Europa vs Russia, con gli USA spettatori armati; nel secondo caso, saremmo di fronte a una Terza Guerra Mondiale dichiarata con gli americani in prima linea. In entrambi gli scenari, però, il peso degli Stati Uniti rimane determinante: anche solo in termini di intelligence e logistica la macchina bellica americana renderebbe possibili le contromisure NATO. Per questo motivo, la diplomazia europea sta facendo di tutto in queste settimane per mantenere l’unità transatlantica. Zelensky stesso ha sottolineato che “l’unità tra alleati è fondamentale” e ha cercato mediazione con la Casa Bianca attraverso gli europei. Alla fine, se malauguratamente la guerra scoppiasse, ci si aspetta che – magari dopo iniziali tentennamenti – gli Stati Uniti si schierino pienamente a fianco dell’Europa, poiché la caduta dell’ordine di sicurezza europeo colpirebbe anche gli interessi americani nel mondo. La NATO verrebbe messa alla prova più grande della sua storia, ma come ha ammonito Ursula von der Leyen: “in gioco c’è il futuro e la sicurezza dell’intero continente”e, possiamo aggiungere, della leadership USA nel mondo libero.

In definitiva, lo scenario di un conflitto totale Europa-Russia rappresenta un salto nel buio dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche. L’attuale crisi attorno al piano di pace ne è uno snodo cruciale: se l’Europa riuscirà a scongiurare una “pace di capitolazione” e a mantenere un fronte unito con gli Stati Uniti, forse Putin sarà dissuaso dall’azzardare uno scontro diretto con la NATO. In caso contrario, il rischio è di ripetere gli errori degli appeasement passati (come Monaco 1938, citato non a caso dagli osservatori) che rinviano la guerra ma la rendono ancor più probabile e devastante. L’Europa si trova dunque di fronte a decisioni esistenziali: armarsi e prepararsi alla peggiore evenienza, senza perdere di vista la lezione della storia – ovvero che cedere ai ricatti di una dittatura aggressiva oggi potrebbe voler dire affrontarla in armi domani, da una posizione più sfavorevole. Preparare la difesa, rafforzare l’unità e mantenere i nervi saldi è la strada obbligata per l’Europa: sperando di non dover mai combattere questa guerra, ma pronta a vincerla se verrà imposta.

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Ultimo Aggiornamento: 09/12/2025 12:02

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