Aveva suscitato scalpore la protesta di tre gruppi ambientalisti americani in occasione della recente Cop24, la Conferenza sul cambiamento climatico tenutasi a Katowice in Polonia. Gli attivisti avevano protestato contro il servizio di catering della conferenza, colpevole di aver servito troppi piatti di carne. Così facendo si sarebbero prodotte 4000 tonnellate di CO2, un bel controsenso rispetto agli obiettivi dichiarati dalle istituzioni internazionali. In effetti, non è la prima volta che si mette in luce il legame tra produzione di carne e cambiamento climatico. Già altri studi avevano analizzato come gli allevamenti intensivi, soprattutto di bovini e suini, fossero responsabili di una gran parte delle emissioni di gas serra, legate in particolar modo al metano. Ora, due nuove ricerche rendono ancora più chiaro il problema, delineando al contempo possibili soluzioni.
Il cambiamento passa dall’evoluzione delle abitudini alimentari
Una delle ricerche più importanti è stata resa pubblica lo scorso 28 novembre ed è firmata da 130 istituzioni accademiche di tutto il mondo, attraverso la InterAcademy Partnership. Nel documento, realizzato appositamente per sollecitare un cambio di rotta in vista della Cop24, si menziona come l’agricoltura, il trasporto di alimenti e altri processi ad alto consumo energetico, contribuiscano per circa il 20-25% alle emissioni annuali a livello globale. Tra le possibili soluzioni si propone un radicale cambiamento delle abitudini alimentari della popolazione: “Devono esserci incentivi – accompagnati da prove tangibili – affinché le persone migliorino la loro dieta, sia per la salute pubblica – comprese obesità e malnutrizione – sia per l’ambiente. I politici devono capire ciò che guida la domanda e trovare modi per cambiare il comportamento dei consumatori, compresa l’approvazione di alimenti e diete innovative”.
Nel 2030 gli allevamenti contribuiranno al 49% delle emissioni
La seconda ricerca è comparsa il 26 novembre sulla rivista scientifica Climate Policy e porta la firma di Helen Harwatt, studiosa di scienze ambientali all’Università di Harvard. Anche in questo caso si sottolinea come un cambiamento nella fonte principale di proteine, da animale a vegetale, porterebbe ad una sostanziale riduzione delle emissioni di gas serra: “Senza interventi, il settore zootecnico potrebbe arrivare tra il 37% e il 49% delle emissioni consentite, per un innalzamento della temperatura, rispettivamente, di 2°C e 1,5°C entro il 2030”. Non agire tempestivamente significherebbe sforare questi parametri, richiedendo misure d’emergenza di difficile attuazione. Ecco perché è importante intervenire sin d’ora, in occasione delle conferenze sul cambiamento climatico: “Il mutamento della dieta, dalle proteine animali a quelle vegetali, è un elemento necessario per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e ridurre il riscaldamento a breve termine, fornendo al tempo stesso molti altri benefici”.