Giuseppe Gulotta aveva solo 18 anni quando lo misero in manette, nel gennaio del 1976. L’accusa era di aver ucciso i carabinieri Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo, agenti della stazione di Alcamo Marina, in provincia di Trapani. Nel 2012 la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha stabilito che, all’epoca, il giovane Gulotta si autodichiarò colpevole dopo ore di torture. Dopo 36 anni tra carcere e libertà vigilata, dunque, Giuseppe Gulotta è stato completamente assolto dalle accuse. Nel 2016 la corte ha stabilito un risarcimento di 6,5 milioni di euro da parte dello Stato per l’ingiustizia subita dall’uomo. La richiesta dei legali di Gulotta però ammontava a 56 milioni, richiesta nuovamente presentata in questi giorni al Tribunale di Firenze, e lievitata a circa 66 milioni.
La strage di Alcamo Marina
La notte del 27 gennaio 1976 si consumò quella che è nota come strage di Alcamo Marina. Nella caserma “Alkamar” morirono, per colpi d’arma da fuoco, due carabinieri, Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo. I sospetti ricaddero inizialmente sulle Brigate Rosse, ma molto presto furono acciuffati quattro ragazzi alcamesi, che passarono per capri espiatori. L’anarchico Giuseppe Vesco (trovato morto impiccato in carcere pochi mesi dopo), accusò della strage Giuseppe Gulotta, Giovanni Mandalà, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli. I giudici condannarono i primi due all’ergastolo, gli altri a 20 anni. Santangelo e Ferrantelli si rifugiarono in Brasile tra un processo e l’altro, ottenendo lo status di rifugiati. Mandalà e Gulotta invece finirono subito dietro le sbarre. Mandalà morì in carcere per cause naturali nel 1998, mentre Gulotta uscì definitivamente di prigione solo nel 2010, dopo aver scontato un totale di 22 anni in gattabuia, ottenendo la libertà vigilata.
L’assoluzione degli innocenti
Nel 2008 ci fu una svolta: l’ex brigadiere dei Carabinieri Renato Olino confessò i metodi illegali utilizzati durante l’interrogatorio dei giovani. La Procura di Trapani aprì due inchieste che portarono ad un nuovo processo. Da quest’ultimo, incominciato nel 2011 alla Corte d’Assise di Reggio Calabria, è emersa l’innocenza degli accusati, ai quali la confessione della strage fu estorta per mezzo di torture e violenze inaudite da parte dei Carabinieri che li interrogarono. Anche Giuseppe Vesco confessò che fece i nomi dei quattro ragazzi incarcerati ingiustamente per far cessare le torture dei carabinieri. Inoltre, il suo presunto suicidio per impiccagione resta ancora avvolto nel mistero: Vesco, infatti, aveva una sola mano.
Dopo l’assoluzione, il risarcimento dello Stato
Nel febbraio del 2012, arrivò l’assoluzione definitiva. Giuseppe Gulotta ha dovuto aspettare 36 anni per riavere la sua libertà, ingiustamente portata via. A luglio l’assoluzione giunse anche per Ferrantelli e Santangelo. Infine, nel 2014, la corte assolse anche Mandalà, sebbene post-mortem. Nel 2016 il ciclo si è chiuso, quando la corte stabilì un risarcimento di 6 milioni e mezzo di euro a Gulotta, il più alto della storia della Repubblica. In un’intervista del 2006 a Il Fatto Quotidiano, l’ex ergastolano ha dichiarato di sentirsi finalmente felice per la fine dell’ingiusta vicenda, ma anche che nessuna cifra colmerà mai il vuoto lasciatogli dal furto della sua vita.
Resta uno dei casi più oscuri della storia italiana
I veri assassini sono tuttora ignoti, ma si ipotizza un legame con la mafia. Anche perché questa uccise nel 1977 il capitano dell’Arma che avviò per primo le indagini, Giuseppe Russo, e nel 1978 il giornalista Peppino Impastato, che si interessò privatamente al caso. La strage di Alcamo Marina resta uno dei casi più gravi e famosi di errore giudiziario, detenzione ingiusta e abuso di potere. La storia italiana, purtroppo, conta numerose pagine buie come questa. Come si evince da esempi tristemente celebri come la Diaz, il caso Cucchi e la strage di Alcamo Marina, non sempre chi porta una divisa compie il suo dovere di proteggere gli innocenti e punire i criminali. A volte sono gli innocenti a finir puniti. Come De André, tutte le vittime di casi simili potrebbero cantare: “Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte/Mi cercarono l’anima a forza di botte”.
La nuova vita di Giuseppe Gulotta
Giuseppe Gulotta ha dato vita anche ad una fondazione che si occupa principalmente di aiutare le vittime di errori giudiziari. Nel 2013 ha inoltre dato alle stampe un libro, edito da Chiarelettere, in cui racconta la sua storia: Alkamar, la mia vita in carcere da innocente. Gulotta vive in Toscana da anni con la sua famiglia, fa il muratore e l’imprenditore edile. Ora è finalmente libero, ma la sua ferita probabilmente non smetterà mai di sanguinare.