Mancano meno di 24 ore alla prima serata di Sanremo e Paola Turci è tra i big in gara. Con la kermesse agli sgoccioli i cantanti cominciano a sbottonarsi, riservando ai telespettatori pillole di quella che sarà la loro performance.
La Turci, che torna al Festival dopo 2 anni da Fatti bella per te, stavolta porta un brano che parla di suo padre. Un pezzo toccante, che serba la memoria del genitore, dal momento che questo non c’è più. Paola lo ha raccontato in una recente intervista rilasciata a Vanity Fair.
L’ultimo ostacolo
Paola Turci è pronta a rimettersi in gioco e lo fa con il brano dal titolo L’ultimo ostacolo. Più che un omaggio al padre, la canzone si presenta come un’elaborazione della perdita.
“Le canzoni servono per farci ritornare ad un momento preciso” spiega la Turci a Vanity Fair. “Nel mio caso è stato con mio padre. Nel testo racconto il momento in cui lo stavo per perdere. O almeno è quel che credo. Perché poi è successo che non ne ho mai parlato così tanto come da quando se n’è andato“. Poi prosegue: “Non è stato un supereroe: avevamo un rapporto di simpatia, ma non sono mai dipesa da lui. Poi l’ho visto nell’ultimo respiro, ho ascoltato le sue ultime parole: “Dimmi, cara”. E ora lo ritrovo quando attraverso le porte affrescate e strette. Arriva senza che io lo cerchi“.
Le molestie
Nel corso dell’intervista, la cantante ha riaperto una dolorosa ferita, di cui ha parlato di recente: le molestie subite a 13 anni. “Avevo tredici anni. Ricordo il senso di vergogna, dentro qualcosa di innaturale. E una responsabilità, come fosse stata colpa mia. Successe che eravamo in casa. Lui, io e una mia amica della mia età. Iniziò a farci le stesse cose. Ci mise a sedere su uno sgabello, sfogliava giornali pornografici e chiedeva se ci piacesse e quanto. Io avevo la nausea come quando mangi ed è troppo e non ce la fai più. Durò pochissimo e fu interminabile. Finché m’implose dentro un “adesso basta” e fermai tutto scappando veloce, via“.
All’epoca Paola era una ragazzina. Con il senno di poi, se potesse tornare indietro, denuncerebbe la cosa senza pensarci su due volte. “Lui era Uno grande. Quand’è morto, ho provato sollievo. ne parlai In analisi, da adulta, mettendo insieme le fila. Se tornassi indietro, denuncerei, andrei in un centro antiviolenza e mi farei ascoltare, difendere, proteggere. Mi ha lasciato un fastidio esagerato per parole e atteggiamenti fuori posto per cui ero capace di tirare ceffoni: mi facevo giustizia così. I complimenti, quelli sì, li accoglievo. Un uomo mi definì “sublime”. Mi piacque“.