Fede in Dio e nella scienza, il credo di Elena Santarelli
Fede in Dio e nella scienza, il credo di Elena Santarelli

Continua la lotta di Elena Santarelli, al fianco del figlio Giacomo, che ormai ha 10 anni. Sono trascorsi 16 mesi dalla terribile scoperta del tumore di cui è affetto il bimbo, ma lui tenace, continua combatterlo sottoponendosi alle cure, con l’aiuto della mamma.
Nel corso di quest’anno la loro storia è diventata la storia di tante altre famiglie con un caso di tumore infantile. Elena ha deciso di mettere il suo volto e la sua notorietà a servizio della ricerca. Da un po’ di tempo è infatti portavoce del Progetto Heal, una onlus che raccoglie fondi a sostegno neuro-oncologia pediatrica.
Forza e positività sono diventate due peculiarità della Santarelli. Il suo sorriso è reale, ma anche il suo dolore. Per questo costantemente si tiene stretta alla preghiera, così come confida nella scienza, affrontando ogni giorno la battaglia e senza mai mollare.
Non pazza, ma positiva
Da quando ha scoperto la malattia del figlio, Elena non si è chiusa, anzi ha deciso di parlarne apertamente sui social per supportare e cercare supporto da chi vive la stessa condizione. Una scelta che non è riuscita ad evitare critiche pesanti.
Da poco è anche tornata a lavoro, in Rai. “Per me è anche una distrazione. Ho ricominciato solo quando le chemio sono entrate in regime di day hospital e non in ricovero. Lo posso fare perché è il sabato, in diretta, e Giacomo non ha mai la chemio quel giorno. Se no, col cavolo che lo facevo“.

Un modo di affrontare la malattia sicuramente grintoso e positivo. “Molti mi prendono per pazza, non capiscono da dove arrivi la mia positività.
Ma dietro di me ci sono mamme che, in silenzio – perché non sono famose e non possono dare voce a quello che stanno vivendo – affrontano cose che io avevo visto solo nei film” spiega in un’intervista riportata da Il Messaggero.
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Tra scienza e fede
Naturalmente dietro tanta dimostrazione di forza è anche il risultato di un enorme lavoro che Elena fa su se stessa. “La maschera del va tutto bene è pesante ma la devi portare per forza.
A che serve condividere il fatto di avere una risonanza domani? Non lo dico neanche ai miei genitori. Basto io a non dormire da 7 giorni prima, perché dovrei essere egoista e fare stare male anche gli altri?“.

Anche lei ha bisogno di un rifugio e quel rifugio l’ha trovato nella preghiera. “In chiesa. C’è qualcuno che mi ascolta dall’alto, lì. Prego, c’è tanta gente che prega per Giacomo. La preghiera di gruppo è potente“. La fede è un sostegno, ma la scienza resta la chiave su cui Elena e tante mamme come lei continuano a lavorare.
“Mai messo in dubbio l’operato dei medici, la preghiera mi aiuta a tenere la mano a mio figlio“.