Sisma giudiziario su monsignor Gustavo Zanchetta, a processo con l’accusa di “abusi sessuali continui aggravati” su due seminaristi. L’imputazione – la prima di questo tipo formalizzata in un tribunale argentino – si abbatte come un uragano sul Vaticano. Il prelato non potrà uscire dal Paese, e lo scorso 28 maggio Bergoglio aveva annunciato un’inchiesta a suo carico presso la Congregazione per la Dottrina della Fede. Via il passaporto e i documenti che potrebbero consentirgli di darsi alla fuga.
Monsignor Zanchetta a processo
È la prima volta che una simile accusa viene formalizzata in un tribunale argentino: monsignor Zanchetta deve rispondere di abusi sessuali continui aggravati.
L’ex vescovo emerito della diocesi di Oran (si era dimesso nel 2017) è imputato e non può allontanarsi dal Paese.
Il giudice, infatti, ha disposto il ritiro di tutti i suoi documenti – passaporto compreso – perché Zanchetta resti a disposizione dell’autorità giudiziaria. Nel maggio scorso era stato lo stesso Papa Francesco ad anticipare un’indagine interna al Vaticano sul suo conto, in merito a condotte riconducibili al periodo tra il 2016 e il 2017.
I fatti contestati al prelato
I fatti oggetto di indagine, sfociati agli atti di un processo dal sapore storico in Argentina, risalirebbero al 2016.
È questo, infatti, l’anno in cui sarebbero stati segnalati i primi abusi su alcuni seminaristi.
Le dimissioni improvvise dal vertice della diocesi di Oran, nel 2017, hanno dato la misura di quanto fosse seria la situazione intorno a monsignor Zanchetta. Poco dopo, il prelato è stato chiamato dal Pontefice a operare presso l’Apsa (organismo di amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica).
La denuncia delle presunte vittime ha spinto il Vaticano ad avviare accertamenti interni, nella cui costola si è insinuato l’iter giudiziario che ora lo vede imputato in Argentina.
Il nome di Zanchetta compare in una scottante denuncia del 2016, sottoscritta dal rettore e da due ex vicari, in cui si citano precisi episodi che lo vedrebbero protagonista.
Dalle ‘incursioni’ notturne nelle stanze di alcuni giovani alla richiesta di massaggi, passando per la proposta di consumare alcol, fino a vere e proprie aggressioni di natura sessuale. Il telefono cellulare del monsignore conterrebbe altri elementi oggetto di attenzione, tra cui alcuni ‘particolari’ selfie con il vescovo.
La posizione dell’imputato
Monsignor Zanchetta ha rigettato ogni addebito e ha fornito la sua versione a motivare la presenza di alcuni scatti inopportuni sul telefonino.
Secondo la sua lettura, qualcuno avrebbe manomesso il suo dispositivo mobile, manipolando foto e altri contenuti.
Si tratta di una circostanza la cui fondatezza è al vaglio delle autorità, e saranno i giudici a esprimersi sulla sua posizione. Dietro le quinte di una vicenda giudiziaria dai contorni ancora incerti, si è innestato anche quanto riferito da don Juan Jose Manzano a Associated Press.
Nella sua intervista del gennaio scorso, quest’ultimo aveva detto chiaramente che alcune anomalie nella condotta di Zanchetta erano già stati portati a conoscenza del Vaticano.
Non da un anno, ma dal 2015. Le parole del vicario sono oggetto di approfondimenti collaterali, ma sono state sufficienti a generare un ulteriore alone sinistro sul caso.
“Nel 2015 – riferisce Manzano – abbiamo inviato un supporto digitale con foto selfie in cui l’ex vescovo di Oran era in pose oscene e inappropriate. (…) Il Santo Padre ha convocato Zanchetta e lui si è giustificato dicendo che il suo cellulare era stato violato, e che c’erano persone che volevano danneggiare l’immagine del Papa“.