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Lo scandalo del Tempio crematorio di Biella, la “lugubre catena della morte ai fini di lucro”

Pubblicato: 23/07/2019 11:44

Lo scandalo che ha colpito il Tempio crematorio di Biella si compone di un altro capitolo. Lo scorso 18 luglio, 8 degli 11 imputati nel procedimento giudiziario hanno patteggiato la loro condanna, tra questi c’è anche Davide Daprea, il dipendente che fornì agli inquirenti video che documentavano quello che accadeva ai cadaveri all’interno della struttura: i corpi venivano cremati insieme, spesso non si attendeva che il processo di cremazione si concludesse e i resti che non si riducevano in cenere velocemente venivano gettati nella spazzatura. Durante il patteggiamento, fuori dalla sede giudiziaria si è tenuto un sit in dei familiari dei defunti vittime dello scandalo. Questa manifestazione pacifica è stata definita dal Procuratore Teresa Angela Camelio “fuori luogo, scatenando la replica del Codacons, cui si sono rivolte per assistenza circa 500 famiglie che avrebbero ricevuto un’urna contenente non solo le ceneri di un familiare ma anche di qualcun altro.

Lo scandalo del tempio crematorio di Biella

Le violazioni che venivano compiute al Tempio crematorio di Biella pare siano iniziate nel 2017, quando la Socrebi (Società Cremazioni Biella) firmò un contratto per gestire le cremazioni dei defunti provenienti da tutto il Piemonte, dalla Lombardia e dalla Valle d’Aosta. Da quel momento, stando a quanto riporta il Corriere della sera, ci fu non solo un aumento di cadaveri nella struttura, ma anche un incremento nelle cremazioni (441%). Un aumento incompatibile con la capacità della struttura e che, insieme al dato relativo al numero dei defunti accettati al suo interno, svelerebbe lo scopo di lucro dietro alle violazioni relative alle cremazione.

Si tratta di uno scandalo terribile su cui si è iniziato a indagare il 20 settembre 2018 e che ha portato anche all’arresto in via cautelare del titolare, Alessandro Ravetti, lo scorso ottobre, e a 8 patteggiamenti sui 11 indagati accusati a vario titolo di reati che spaziano dalla corruzione alla violazione di sepolcro. Come riporta l’Eco di Biella, restano in attesa di giudizio il titolare sopracitato della società e suo fratello, Marco. Tutti gli altri imputati hanno invece patteggiato condanne che vanno dai 2 anni ai 9 mesi. La condanna più lieve è stata patteggiata da Davide Deprea, il dipendente che avrebbe fornito agli inquirenti dei video in cui si vedono i suoi colleghi commettere gli illeciti di quella che è stata definita dal Procuratore di Biella, Teresa Angela Camelio, “una lugubre catena della morte ai fini di lucro“.

Circa 500 famiglie coinvolte come parte lesa nel procedimento contro gli imputati si sono rivolte al Codacons, ma potenzialmente potrebbero essere molte di più. E proprio un video, pubblicato dal Corriere della sera, sembrerebbe svelare quanto cremare più cadaveri contemporaneamente o rimuovere lo zinco dalle bare per accelerare i tempi di cremazione, senza alcuna preoccupazione rispetto al fatto che poi venissero restituite alla famiglia ceneri anche di altre persone, fossero pratiche collaudate. Infatti, si sente un dipendente rivolgersi ad un altro, nell’atto di rimuovere lo zinco dalla bara, che dice guardando il corpo che ha davanti: “Guarda che bella giacchetta“.

Il sit in commentato dal Procuratore e la replica del Codacons

Mentre gli imputati per lo scandalo del Tempio crematorio di Biella patteggiavano, fuori i familiari di chi è stato cremato nella struttura hanno svolto un sit in pacifico. Come riporta il Codacons, questa protesta non sarebbe piaciuta al Procuratore Teresa Angela Camelio che l’avrebbe definita “fuori luogo“, additando gli avvocati attendere di conoscere le pene patteggiate come se stessero facendo una “ronda.

Il Codacons ha quindi replicato al Procuratore scrivendo in un comunicato stampa: “L’atmosfera che si respirava nel corridoio del Tribunale non è piaciuta neanche a noi avvocati, che abbiamo atteso la decisione in un clima che ci permettiamo di definire semplicemente ‘surreale’ di contrapposizione con la Procura, che non abbiamo cercato e non vogliamo, e dove si avvertiva nettamente il fastidio per la nostra presenza. Non ne accetteremo mai le motivazioni, non avendo fatto ‘ronde’ ma esercitato il nostro ruolo di difensori”. Poi, ancora: “Avevamo il diritto e soprattutto il dovere di stare davanti a quell’aula ad attendere una decisione così importante e di riferirla ai nostri clienti, avendo peraltro depositato alla Procura prima e al Giudice poi memorie scritte, come previsto dal rito”.