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Scoperto il gene che aiuta la rigenerazione dei denti

Pubblicato: 14/08/2019 18:53

Si chiama Dlk1 ed è il gene che agisce su un particolare tipo di cellule staminali che costituiscono la produzione della cosiddetta dentina. La dentina è il tessuto che va a formare il dente e che si trova sotto lo smalto. L’attivazione di queste cellule favorisce la rigenerazione dello stesso tessuto dei denti. Questa importante scoperta è nata grazie a una collaborazione internazionale coordinata dall’Università di Plymouth, in Gran Bretagna. Lo scorso 9 agosto la rivista scientifica Nature Communications ha poi pubblicato lo studio.

La scoperta grazie allo studio sugli animali

Questo particolare meccanismo molecolare è stato scoperto studiando gli incisivi a crescita continua dei topi; la svolta è arrivata quando gli scienziati hanno capito come manipolare il processo rigenerativo. Il dottor Bing Hu, professore in cattedra all’ Università di Plymouth, ha ricevuto l’incarico di coordinare questa importante ricerca scientifica. In una dichiarazione riportata dal giornale Repubblica il ricercatore afferma: “Le cellule staminali sono molto importanti, perché in futuro potrebbero essere usate in laboratorio per rigenerare tessuti danneggiati o persi a causa di malattie, quindi è cruciale capire come funzionano“.

Una notizia importante per la cura dei denti

Grazie a questo studio si possono aprire nuove strade per la cura dei denti. La rigenerazione del tessuto dentale può essere fondamentale in qualsiasi caso di danneggiamento, che sia una carie o un trauma. Lo stesso dottor Bing Hu afferma: “Scoprendo le nuove staminali che producono il corpo del dente e comprendendo il loro uso vitale di Dlk1 nella rigenerazione del tessuto, abbiamo fatto un importante passo avanti per capire la rigenerazione delle staminali”. Naturalmente la ricerca non si ferma qui ma continuerà per cercare di approfondire ogni aspetto utile; infatti l’esperto ci tiene a sottolineare che: “In questa fase il lavoro è stato condotto su modelli di laboratorio e serviranno ulteriori studi prima di poterlo trasferire sull’uomo, tuttavia si tratta di un’importante svolta per la medicina rigenerativa, che potrà avere un grande impatto sui pazienti in futuro”.