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13enne stuprata dal branco, la famiglia costretta a trasferirsi

Pubblicato: 06/12/2019 11:34

Nel 2016, il caso della ragazzina 13enne violentata per 2 anni un branco aveva scosso l’opinione pubblica. La giovane era finita nelle mani di un gruppo di ragazzi, alcuni legati a cosche mafiose. Oltre al fatto in sé, già abbastanza per indignare, si era aggiunta la reazione del paese della ragazza, che in gran parte aveva scaricato la colpa su lei stessa.

Vittima di stupro per 3 anni

La storia risale a 3 anni fa, quando a Melito Porto Salvo un’indagine dei Carabinieri porta all’arresto di 8 persone, di cui un minorenne, accusati di violenza sessuale di gruppo aggravata. La vittima era una ragazzina del paese, una 13enne che veniva prelevata direttamente fuori da scuola e portata al cimitero, in una casa di montagna o altri posti e abusata ripetutamente dal branco. Le violenze andavano avanti da circa 2 anni e sono emerse grazie alla brutta copia di un tema della ragazza.
Per i fatti sono stati condannati in primo grado a 8 anni e 2 mesi 6 persone, 2 gli assolti. Tra loro, c’è il fratello di un poliziotto (Davide Schimizzi), il figlio di un maresciallo dell’esercito (Antonio Virduci) e il rampollo di una cosca di ‘ndrangheta (Giovanni Iamonte). Tutti gli indagati risultano o liberi o ai domiciliari e aspettano il processo di appello.

Il paese le voltò le spalle

A fare ancora più indignazione e rabbia, fu la risposta del paese calabrese di Melito Porto Cervo. A seguito della scoperta delle violenze, infatti, alcuni compaesani dichiararono a La Stampa frasi shock come “Se l’è cercata” o “Non doveva mettersi in quella situazione“, in relazione allo stupro su una bambina che aveva 11 anni quando iniziarono le violenze.
Il padre, intervistato in questi giorni da La Stampa, racconta che affrontò il padre di uno degli stupratori. “Sono andato dal padre di uno di loro, il più giovane, quello che all’epoca aveva 17 anni. Mi ha detto che mia figlia si stava facendo una brutta nomina in paese. Altri sono venuti a dirmi che non dovevo denunciare. Era come se la mia bambina si fosse meritata quella violenza“.

La famiglia si è trasferita al Nord

Nella stessa intervista, il padre della 13enne racconta di aver scoperto tutto leggendo la brutta copia del tema. A seguito della scoperta delle violenze e soprattutto della reazione del paese, la famiglia decise quindi di fuggire dalla Calabria. Grazie all’associazione Libera, riporta La Stampa, si sono trasferiti: “Ci hanno aiutato, adesso ho un nuovo lavoro. Siamo indipendenti. Ma a Melito ho dovuto lasciare quello che avevo di più caro“.
Qualche parola ancora sugli accusati: “Noi siamo qua, mentre quei ragazzi sono stati scarcerati in attesa del processo d’appello“.

La ragazza ora cerca di farsi una vita

Per proteggere la dignità e il futuro della ragazzina, non è mai stato rivelato il nome della famiglia. Il padre, tuttavia, ha dichiarato che la stessa ora è si è diplomata in una scuola professionale e punta a diventare make-up artist per il cinema e il teatro.
Sarà impossibile dimenticare gli orrori dell’infanzia, ma la famiglia sta provando a ripartire e lasciarsi alle spalle il paese, la sua reazione e quella tremenda vicenda.