Nella giornata di ieri si è appresa la notizia che un vigile di Palazzolo sull’Oglio si è tolto la vita al termine del proprio turno. Dietro la drammatica scelta, ci sarebbe una polemica social che lo ha coinvolto, per un parcheggio nello spazio disabili. Il giorno dopo, parla l’uomo che ha pubblicato le foto e lanciato il primo attacco su Facebook.
Morto suicida dopo una bufera su Facebook
Il giorno dopo, l’uomo protagonista di questa tragedia ha un nome e una storia: si chiama Gian Marco Lorito, era un 44enne di origini siciliane e il 24 gennaio ha lasciato l’autopattuglia in un parcheggio per disabili. A notare l’infrazione e postarla online, il Presidente dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi civili di Bergamo.
La gogna che segue nei giorni dopo mette a dura prova l’agente della Polizia Locale, e nella notte di ieri Gian Marco Lorito sceglie di spararsi nella sua auto, nel parcheggio del Comune di Palazzolo sull’Oglio.
Inevitabilmente, ha parlato l’uomo che potrebbe aver fatto partire questa tragica storia, condividendo la storia su Facebook.
La replica di Giovanni Manzoni sul suicidio del vigile
A intervistarlo è stata l’Agi. Qui, Giovanni Manzoni ha rilanciato quanto gli avrebbe detto il Comandante di Lorito: “Aveva dei gravi problemi personali. La questione del parcheggio è stata la ‘goccia’.
A rendere più amara la vicenda, c’è anche il fatto che gli insulti social sono continuati anche dopo le scuse e la donazione di Lorito, amareggiato per il suo gesto. “Eravamo d’accordo di vederci in settimana per stringerci la mano e chiudere del tutto la questione” dice Manzoni.
Adesso la furia social si è spostata contro di lui: “Non ho guardato Facebook. Continueremo a fare il nostro dovere di segnalare l’utilizzo improprio dei parcheggio, senza nulla togliere la dispiacere di avere segnalato un’auto a bordo della quale c’era un uomo che aveva dei gravi problemi“.
Le parole della moglie Marisa
Nonostante quanto indicato dal Comandante e rilanciato da Giovanni Manzoni, la moglie di Gian Marco Lorito, Marisa, non parla di difficile periodo, anzi. A Repubblica, ha detto: “Quei messaggi per lui erano diventati un incubo. Vedeva la sua carriera rovinata. Soffriva all’idea di avere magari disonorato la divisa. Lui che viveva per questo lavoro e che era stimato da tutti. È tutto qui, davvero: non ci sono altri motivi. Prima di questa storia Gian Marco era sereno“.
Sarà impossibile scoprire la verità, quanto gli insulti social abbiano davvero pesato sulla scelta del vigile di suicidarsi. Resta una ferma condanna al cyberbullismo e alla persecuzione attraverso i social network. Commenti come “Puoi anche ammazzarti” sono una violenza verbale le cui conseguenze, da dietro una tastiera, non si possono prevedere.