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Storia di Fabio, bloccato nel limbo della pandemia tra Cina e Italia

Pubblicato: 22/04/2020 16:08

La pandemia da Covid-19  ha stravolto il mondo, con annesso crollo delle certezze e delle libertà individuali e collettive. Partendo dalla Cina, il virus ha investito violentemente l’Occidente in un baleno, arrivando in Italia. C’è chi, come Fabio, un ragazzo italiano di 37 anni che da tempo vive in Cina, ha subito, in prima persona, ben 2 volte, l’impatto dell’epidemia, prima sul Paese in cui vive e poi su quello d’origine. 

Intenzionato a far ritorno in Italia (un progetto che cullava da tempo ma che ha cercato, vanamente, di velocizzare dopo la diffusione del Coronavirus partita dalla regione dell’Hubei), Fabio è rimasto, nel momento in cui il mondo intero si è fermato, a Shanghai, in una sorta di limbo. The Social Post ha raccolto la testimonianza della sua esperienza, paradigma, probabilmente, di quella di molti altri italiani residenti all’estero in questo momento. 

Una vita in Cina

Da quanto vivi in Cina e cosa fai a Shanghai?

Vivo a Shanghai da 7 anni e mezzo circa, quasi 8. E cosa “facevo”… visto che ho perso il lavoro dopo tutta la questione Coronavirus? Ero team manager in una scuola di inglese per la prima infanzia. Gestivo il personale straniero degli insegnanti, ero insegnante e trainer per i nuovi arrivati che formavo. 

Quando hai preparato i bagagli per la Cina da dove sei partito?

Sono partito da Venezia, quindi dall’Italia -racconta Fabio che prima ancora viveva e lavorava in Inghilterra- ho ricevuto un’offerta di lavoro stagionale all’aeroporto di Venezia, dove sono stato per 6 mesi, al termine dei quali sono partito per Shanghai. 

Venezia, l’Inghilterra sono più vicini ai tuoi affetti (la famiglia di Fabio è originaria di Napoli ma vive da anni a Mogliano Veneto). Sei riuscito a creare una nuova famiglia anche Shanghai?

Sì assolutamente, tanti amici, tante persone che mi sono vicine. Uno dei motivi per cui mi trovo qui in Cina è che, all’epoca, un mio amico di vecchia data si trovava già a Shanghai da tempo. E mentre io, invece, mi trovavo in Inghilterra, mi invitò qui in Cina, per provare a cercare lavoro, proprio perché sapeva che potevo essere in grado di insegnare inglese. Per cui mi convinse, al punto che quando tornai in Italia per lavorare in aeroporto già avevo idea di ripartire per la Cina. 

Come è stata la vita in Cina in questi anni, prima del Coronavirus?

È stata molto interessante, dal momento che è un Paese molto cangiante. Ovviamente all’inizio ero anche una persona differente, perché comunque stiamo parlando di quasi 10 anni fa. Ero molto più inesperto e molto più curioso nei confronti della Cina. Trovo che all’epoca fosse un Paese molto meno rigido. Si veniva dalla politica di Hu Jintao, il presidente precedente, famoso proprio per aver aperto le porte della Cina all’Occidente, quindi per un occidentale vivere qui era molto facile. Ti sentivi comunque differente in quanto occidentale bianco. Quando entravi nei locali ti facevano le feste, ti offrivano da bere, ti sentivi quasi un vip. Oggi invece la situazione è molto cambiata. Si sono anche irrigidite le regole per la concessione di visti, permessi di soggiorno, è tutto molto più formale forse. Le cose sono cambiate, ma è chiaro che probabilmente da un punto di vista cinese, questa è una cosa buona, perché comunque c’è stato anche troppo lassismo da parte del Governo quando ci si è aperti verso l’Occidente e si sono anche creati dei contrasti, tra locali ed immigrati. Però le differenze sostanziali, tra i primi anni e gli ultimi che ho vissuto qui, stanno soprattutto negli atteggiamenti dei cinesi, nei confronti degli occidentali. Parlo ovviamente di Shanghai e della mia esperienza, ma io ho avvertito questo. 

L’inizio della pandemia di Covid-19

Hai detto che hai perso il lavoro: quando e come te lo hanno comunicato di preciso?

Formalmente è stata una mia scelta quella di lasciare il lavoro, ma possiamo dire che è stata quasi una scelta obbligata. Quando è successo tutto io ero praticamente alla fine del mio contratto. Qui i contratti non sono permanenti. In linea di massima, a meno che non si parli di lavori statali, come in Italia. Quando lavori per il privato si firmano contratti di uno o due anni. È molto difficile ottenere contratti a lungo termine, e non ha senso, anche perché qui il mercato è talmente mobile, liquido che una persona raramente desidera avere un contratto a tempo indeterminato in Cina, parlo da occidentale. Dunque il primo marzo è scaduto il mio contratto di lavoro, quindi io dovevo “negoziare” i termini del nuovo. Chiaramente la situazione del Covid ha innescato una serie di conseguenze, dunque la mia scuola ha chiuso. È ancora chiusa e non si sa quando riaprirà, anche perché stiamo parlando di un tipo di istruzione privata e i genitori sono ancora un pochino riluttanti, hanno ancora paura. Diciamo che le conseguenze psicologiche sulle persone sono state molto profonde e continuano ad esserlo. La sensazione è che la scuola possa riaprire il mese prossimo, ma per quanto riguarda la mia situazione, il contratto che mi fu offerto era ridicolo per cifre e attese (il mio capo non sapeva assicurarmi quando avremmo ricominciato a pieno regime). Per cui all’epoca pensai che non avesse più senso rimanere in Cina, e a quel punto presi la decisione di non firmare il contratto ed anticipare un rientro in Italia che già stavo pianificando, anche se non avevo intenzione di tornare così presto. In ogni caso è stato una specie di decisione forzata. 

Quand’è che ti sei reso conto del pericolo, invece, dell’epidemia? 

Chiaramente si deve fare una differenza tra reazioni personali e reazioni dell’opinione pubblica. La mia personale è stata, all’inizio, di preoccupazione. Ho sentito la notizia il giorno prima delle vacanze del Capodanno Cinese, mi pare che fosse il 21 gennaio o il 22. E ricordo che quel giorno, ultimo giorno di lavoro prima delle vacanze (anche il mio ultimo giorno di lavoro in generale), avendo sentito questa notizia, la prima cosa che feci fu cercare una mascherina, ma non ne trovai da nessuna parte, nessuno ne aveva. Già questo per me fu un campanello d’allarme. Ne parlai con il mio capo, che si mostrò abbastanza preoccupata (anche in virtù di quello che accadde durante la Sars). Nei giorni successivi, con la diffusione della notizia, l’allarme è cresciuto sempre di più. Ricordo che il mio capo mi scrisse per comunicarmi che avrebbe annullato il winter camp del quale ero responsabile, che avremmo dovuto fare al rientro dalle vacanze. Così come furono annullate tutte le lezioni delle 2 settimane successive al Capodanno Cinese. Questo, per me e altri colleghi, fu indice della gravità della situazione. Vidi anche tra i miei conoscenti cinesi una certa preoccupazione. Ma qui non si è fatto tanto il discorso legato alle terapie intensive, come in Italia, io ho trovato che la preoccupazione principale dei cinesi fosse legata alle conseguenze economiche che questa cosa avrebbe comportato.


Poi, dopo una prima fase di -non direi proprio panico- ma di preoccupazione abbastanza profonda, ho visto i numeri della provincia di Shanghai e mi sono calmato. È ovvio che anche io credo che il discorso sulla veridicità dei numeri cinesi sia sempre in piedi, nel senso che non bisogna proprio prenderli per veri. Però in quel momento questi erano gli unici numeri che avevamo e che ora abbiamo tutti. Analizzando questi numeri la situazione a Shanghai è stata gestita in maniera allucinante, perché stiamo parlando di una città di quasi 25 milioni di abitanti, che ha avuto a malapena 350/400 casi, cioè pochissimi. Sempre dando questi numeri per reali. Io non ho visto nessuno dei miei amici, dei miei conoscenti, ma nemmeno dei miei vicini di casa (le community qui sono molto grandi, raggruppamenti di palazzi residenziali che formano quasi dei mini agglomerati urbani). Tutti quanti hanno indossato la mascherina sin dal primo momento, tutti si sono attenuti alla profilassi di non uscire, di stare a casa, lavarsi le mani. Addirittura i primi giorni che hanno anticipato i lockdown, prima che cominciasse tutto, andando in palestra (all’epoca ancora aperta) vedevo gente con la mascherina che si lavava compulsivamente le mani.

Quando il virus è arrivato in Italia, il primo Paese in Europa a fare i conti con la spaventosa diffusione a macchia d’olio dell’epidemia, abbiamo vissuto un momento di incertezza e disorientamento. Dalla Cina, guardandoci con un mese e più di anticipo su quello che ci stava accadendo, cosa hai pensato?

Dal mio punto di vista ho trovato nell’atteggiamento degli italiani un eccessivo allarmismo. Poi, una volta che il virus si era diffuso in maniera acclarata anche in Italia, mi sono augurato per l’Italia che si attuasse la chiusura in lockdown. Però mi rendo anche conto che non poteva essere come in Cina, perché la Cina resta un regime. Quindi quello che decide il partito è legge. Non c’è discussione parlamentare, non c’è confronto con i sindacati. Qui hanno saltato a pie’ pari una serie di step accelerando il processo di lockdown. Qualsiasi azienda in Cina è controllata dal Governo, quindi se il Governo, che è il “dio” della burocrazia cinese, decide di chiudere tutto, tu chiudi. Punto. Non hai potere decisionale sulla tua azienda. Calcola che colossi come Coca Cola o McDonald, nel momento in cui vogliono aprire una sede in Cina, devono aprire una nuova azienda che porti lo stesso nome, ma che sia registrata in Cina e controllata dal Governo. Ci troviamo quindi in due situazioni diverse. In più non dobbiamo dimenticare che l’Italia è una democrazia, un sistema che lascia parecchio margine all’opinione all’individuo, e immagino una circostanza di lockdown in Italia al primo giorno di Coronavirus, la gente sarebbe impazzita, la situazione sarebbe stata ingestibile. E comunque, nonostante non sia stato messo in lockdown dal primo momento, abbiamo assistito agli assalti ai supermercati in tutto il Paese. Secondo me, con tutti i difetti che può avere il Governo, in questa situazione ha agito bene, è il mio modesto parere. Nonostante non sia stato fatto negli stessi tempi della Cina è stato gestito nel miglior modo possibile per il sistema che troviamo in Italia. 

Come hai vissuto, tu personalmente, il momento in cui sia la Cina che il tuo Paese d’origine, l’Italia, erano in quarantena?

A dire il vero non c’è stato, nel senso che le nostre quarantene non sono coincise. C’è stato un momento in cui l’Italia non era ancora totalmente in lockdown, e Shanghai stava lentamente uscendo dalla quarantena Però quando l’Italia è entrata ufficialmente in lockdown, a Shanghai, non dico che era già tutto passato… ma si erano allentate già le misure. Io osservavo voi in quarantena, in “libertà”. Per modo di dire, in libertà, perché ancora oggi devo sempre indossare la mascherina se voglio entrare in un luogo pubblico, devo farmi misurare la temperatura, o mostrare, se lo chiedono, un codice che attesti il fatto che non abbia avuto contatti con soggetti contagiati. Dal 18 marzo è uscita questa ordinanza che non ti obbliga all’uso della mascherina se sei all’aperto, ma te la impone solo in luoghi chiusi, come il taxi o il centro commerciale. Rispondendo alla domanda che mi hai fatto prima, personalmente, quando c’è stato il lockdown di Whuan e la quarantena in Cina sono stato abbastanza bene. Non mi sono sentito particolarmente in gabbia o particolarmente depresso, anzi ho cercato anche di tirare fuori le opportunità da questa situazione, perché è vero che è successo il discorso del mio lavoro che chiaramente non mi ha fatto felice, ma dopo una prima fase di down ho anche pensato ‘ok questa è un’opportunità per tornare a casa’. Cosa che poi non si è concretizzata, però questo è quello che ho provato in quel momento, ho pensato ‘tornerò a casa prima, mi organizzerò prima, getterò le basi per la mia nuova vita in Italia’. Ho pensato che fosse un segno. Quanto la quarantena l’ho vissuta come avete fatto un po’ tutti quanti lì, leggendo, giocando ai videogiochi, cucinando, guardando film, telefonate, videochiamate, con un umore abbastanza positivo. In realtà mi ha fatto più male vedere quello che stava succedendo in Italia, vedere le persone a cui voglio bene soffrire, preoccuparsi. Che poi mi sono preoccupato anche io, anzi tutt’ora sono preoccupato per la condizione italiana e le conseguenze economiche sono evidenti già adesso e ce le porteremo dietro un bel po’. Comunque non ho abbandonato il progetto di rientrare. Parto da questo presupposto, sapendo che l’Italia ripartirebbe da periodi duri e questa cosa potrebbe portarmi di nuovo a lasciarla, perché di certo non torno a fare il parassita. Io mi trovo in una situazione, in questo momento, in cui non ho certezza di nulla. Non ho certezza di un salario, non ho certezza di un lavoro, non ho certezza nemmeno sul dove andrò a vivere in Italia. Perché non è che se io scelgo Napoli, ad esempio, e non trovo lavoro a Napoli, resto a Napoli. La stessa cosa vale per Venezia o Milano. Quindi io non so nemmeno dove andrò a finire. Sono tutti motivi di ansia per quanto mi riguarda, sostanzialmente vivo con più apprensione la situazione italiana che quella cinese, perché la Cina è un Paese di una potenza allucinante. Noi non ci rendiamo nemmeno conto di quanto è potente e di quanto lo diventerà ancora di più, quindi sì, subirà una flessione, ma poi ne uscirà indenne. 

Il progetto di un ritorno in Italia

In questi giorni hai già provato a rientrare in Italia?

No, in realtà avevo in programma di tornare in estate. Volevo concludere il mio ottavo anno in Cina e poi rientrare. Però la situazione è cambiata. 

E quando pensi di riuscire ad organizzare la partenza?

Sto aspettando che vengano fuori i voli, perché consultando portali o applicazione che utilizzo per comprare voli vedi che praticamente non ce ne sono. O se ce ne sono, sono così pochi  e cari, che non vale la pena prenderli. Per il mese di aprile non c’è nulla, ci sono solo voli speciali, che tra l’altro non riguardo la Cina. Ho mandato una mail al consolato italiano, ponendo alcune domande, che riguardano voli speciali che possano aiutare cittadini italiani in Cina a rientrare. Non mi è stata ancora data risposta. Non è la prima mail alla quale non ricevo risposta. Già qualche tempo fa scrissi sempre al consolato per avere informazioni riguardanti il rientro delle masserizie dalla Cina per l’Italia e il servizio che permette il risparmio della dogana sugli effetti personali per tutti quelli iscritti all’AIRE. Io avevo anche comunicato la data di rientro in Italia, il 20 marzo, che chiaramente adesso ho dovuto cambiare a data da destinarsi. In un primo momento ho comunicato al consolato la mia volontà di rientro e ho ricevuto risposte e tutti i documenti necessari. Poi è cominciato il casino in Italia e mi rendo conto che non esisto solo io come cittadino italiano qui. Quindi ho scritto loro anche per capire una serie di cose, poiché sono aumentati i prezzi dei trasporti, avevo pensato di dividere parte delle mie cose (quelle più fragili) da spedire via aerea e il resto via nave, che ci metterà tanto di più ad arrivare, ma costa anche infinitamente di meno. Per fare ciò ho dovuto presentare una lista in consolato. Quindi l’ultima volta che ho scritto loro era per chiedere se fosse necessario presentare un’altra lista, nel caso volessi dividere i miei effetti personali in due spedizioni. E lì non ho più ricevuto risposta. Questo succedeva due settimane fa, quindi ora che ho fatto una nuova domanda sui voli speciali, non mi aspetto una risposta imminente. 

Conosci altri italiani lì a Shanghai che vogliono rientrare come te? Se sì vi confrontate?

Al momento dello scoppio dell’epidemia non conoscevo nessuno che, spaventato da quanto stesse accadendo in Cina, pensasse di tornare. Ho degli amici, italiani, che stanno pianificando il rientro, ma lo stanno facendo a prescindere da quello che è successo e sta succedendo. Loro hanno ipotizzato, già a gennaio, di rientrare a giugno. Hanno ancora questa ‘data ipotetica’ in mente. Spero che riescano a rientrare, perché se a giugno non è ancora migliorata la situazione è davvero preoccupante. 

Che progetto hai in vista del tuo ritorno in Italia? 

Come ti dicevo prima, ho cercato di trarre il massimo dall’emergenza. Come sto cercando di fare anche ora, perché ho deciso di sfruttare questa situazione per tornare a studiare, attraverso corsi universitari telematici, cosa che probabilmente non avrei mai fatto se non mi fossi trovato in questa situazione specifica in in cui ho moltissimo tempo libero. Se non ora quando? Ho cercato di trarre la motivazione da una circostanza che comunque non mi sta sorridendo. Chissà che non ne venga fuori qualcosa di buono. 

Cosa ti avrà lasciato la Cina?

Sicuramente tanto. Io penso che comunque lavorerò con la Cina. Non l’abbandonerò mai completamente, perché nonostante questo Paese sia contraddittorio sotto moltissimi punti di vista, io qui sono diventato uomo. Ho fatto moltissime esperienze importanti per me stesso, e ho pure scoperto una cultura estremamente lontana. Addirittura prima non consideravo nemmeno l’eventualità di arrivare qui, fare determinate scelte. La Cina mi ha dato tantissimo, l’esperienza che ho accumulato qua non potrò lasciarla andare, dimenticarmene completamente. Nonostante io voglia mettere radici altrove, che sia in Italia o in Europa, le mie connessione con la Cina, i miei collegamenti con la Cina resteranno vivi.  Immagino, se non di lavorarci con la Cina, comunque di tornarci. Ma comunque credo che per lo più ci lavorerò, non farlo significherebbe gettare alle ortiche quasi di 10 anni di vita qui.