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Cina, quel boom economico che non convince

Pubblicato: 18/09/2020 12:49

In un momento in cui l’economia mondiale è colpita dalla pandemia da coronavirus, con le principali Nazioni che risentono degli effetti dei lockdown, c’è un caso che attira l’attenzione degli addetti ai lavori, economisti e trader in particolare: la crescita della Cina. Mentre Stati Uniti, Eurozona e Regno Unito hanno subìto cali del Prodotto Interno Lordo a doppia cifra nel periodo più colpito dall’emergenza sanitaria, quello che va da marzo a giugno, l’economia della Cina è calata meno degli altri ed è rimbalzata subito, appena concluso il periodo di lockdown.

Proviamo a snocciolare qualche dato: nel secondo trimestre, quello più interessato dal lockdown imposto per arginare il diffondersi del coronavirus, il PIL degli Stati Uniti è calato del 10% (dati arrotondati per eccesso o difetto), quello del Regno Unito è sceso del 20%, quello dell’Eurozona – i 19 Paesi che utilizzano l’euro – è diminuito del 12% mentre quello della Cina è aumentato del 3%.

Poniamo la questione che la Cina, essendo stata la prima ad aver affrontato l’epidemia di Covid-19 sul finire dello scorso anno, abbia pagato dazio nel primo trimestre: nel periodo gennaio-marzo, il PIL degli USA è calato del 5%, quello del Regno Unito si è contratto del 2%, l’economia dell’Eurozona ha registrato una flessione del 4% mentre il Prodotto Interno Lordo della Cina è diminuito del 7%. Aggiungiamoci anche che la Cina ha subìto per prima il colpo inferto dal coronavirus ed era impreparata mentre le altre Nazioni, sulla scorta dell’esperienza cinese, hanno potuto cercare di tamponare – chi più, chi meno – i danni dell’epidemia.

Il punto è: ci si può fidare dei dati macroeconomici cinesi?

Rilasciati da enti o uffici governativi, i numeri macro della seconda economia del Mondo hanno da sempre attirato lo scetticismo anche di economisti ed esperti. Un caso particolare verificatosi quest’anno e passato quasi in sordina ha riguardato il broker cinese Zhongtai Securities, secondo cui la vera disoccupazione in Cina di marzo non sarebbe al 5,9% come riportato dal governo bensì del 20,5%, pari a 70 milioni di persone senza lavoro.

Presidente xi jinping
Presidente cinese xi jinping (Fonte: Pixabay)

Un gruppo di tre analisti della società cinese ha rilasciato un report in cui alzava di quasi quattro volte la percentuale di disoccupazione della seconda economia del Mondo ma, dopo solo qualche ora, il report è sparito dal sito del broker. Che ha giustificato la scelta dicendo che “l’atteggiamento di Zhongtai è che dovremmo seguire i dati ufficiali sulla disoccupazione”, con le dichiarazioni che sembrano quasi un’ammissione di colpa per la pubblicazione del report.

Wang Dongmin, vicedirettore del Comitato permanente del Congresso Nazionale del Popolo, due anni fa ha dichiarato che numerose aziende cinesi forniscono dati fuorvianti – eufemismo – alle autorità che vengono poi computati e passati per ufficiali. Perché lo farebbero? Secondo gli esperti, e secondo lo stesso Wang, per avere un miglior credit score, quindi poter accedere più facilmente a prestiti e finanziamenti.

Un’altra ragione per la quale il governo cinese pubblica dati positivi è per far aumentare la fiducia della popolazione nell’economia e nella sua crescita, oltre che nell’operato del governo comunista stesso. Un esempio: nel secondo trimestre del 2015, la Cina ha dichiarato una crescita del PIL del 7% ma, secondo numerosi analisti, l’aumento era “solo” del 4%.

All’inizio dello scorso anno, Leland Miller, amministratore delegato della nota società di consulenza China Beige Book, ha sottolineato il problema quando ha messo in dubbio la veridicità delle statistiche del NBS: “I numeri del PIL pubblicati dalla Cina sono spazzatura assoluta. Sicuramente è opinione comune che questi numeri siano inaffidabili”. Ma da “opinione comune” a cosa certa passa un mondo. Un mondo fatto di numeri e percentuali.

L’economia cinese è di circa il 12% più piccola di quanto indicano i dati ufficiali e la sua crescita reale è stata sovrastimata di circa 2 punti percentuali all’anno negli ultimi anni, secondo una ricerca del China Beige Book. Per il think tank Brookings Institution di Washington, “l’enfasi del governo cinese sugli obiettivi numerici – un’eredità della pianificazione statale maoista – ha reso la crescita del PIL una figura politicamente sensibile. Il partito comunista valuta le prestazioni dei quadri locali in gran parte sulla base della crescita nelle rispettive regioni”.

In aggiunta a quanto scritto prima sulle società che sarebbero avvantaggiate per l’accesso al credito, c’è da sottolineare che “dal momento che i governi locali sono ricompensati per aver raggiunto gli obiettivi di crescita e investimento, hanno un incentivo a distorcere le statistiche locali”, come hanno dichiarato gli autori guidati da Chang-Tai Hsieh, economista presso l’Università di Chicago Booth School of Business e ricercatore associato presso l’US National Bureau of Economic Research.

E ancora

Dall’edizione dello scorso anno 2019 dei Brookings Papers on Economic Activity emerge che “i conti nazionali della Cina si basano sui dati raccolti dai governi locali. Tuttavia, poiché i governi locali sono ricompensati per aver raggiunto gli obiettivi di crescita e investimento, hanno un incentivo a distorcere le statistiche locali. Il National Bureau of Statistics cinese modifica i dati forniti dai governi locali per calcolare il PIL a livello nazionale. Gli aggiustamenti effettuati dal NBS sono in media del 5% del PIL dalla metà degli anni 2000”.

lanterne cinesi
lanterne cinesi (Fonte: Pixabay)

“Dal lato della produzione – prosegue il paper – la discrepanza tra PIL locale e aggregato è interamente guidata dal divario tra le stime locali e nazionali della produzione industriale. Dal lato della spesa, il divario è negli investimenti. Le statistiche locali travisano sempre più i numeri reali dopo il 2008, ma non vi è stato alcun cambiamento corrispondente nell’adeguamento effettuato dal NBS”.

“Noi forniamo stime riviste del PIL locale e nazionale rivalutando la produzione delle imprese industriali, all’ingrosso e al dettaglio, utilizzando i dati sulle imposte sul valore aggiunto. Utilizziamo anche diversi indicatori economici locali che hanno meno probabilità di essere manipolati dai governi locali per stimare il PIL locale e aggregato. Le stime suggeriscono anche che “le rettifiche” del NBS sono state insufficienti dopo il 2008. Rispetto ai dati ufficiali, stimiamo che la crescita del PIL dal 2008-2016 sia inferiore di 1,7 punti percentuali e il tasso di investimento e risparmio nel 2016 sia inferiore di 7 punti percentuali rispetto a quelli ufficiali”.

Secondo Sukhayl Niyazov di Data Driven Investor, in sostanza, ci sono quattro ragioni per cui le statistiche cinesi non riflettono l’attività economica sottostante:
• Fabbricazione deliberata da parte dei governi locali: “fortunatamente”, il National Bureau of Statistics si sforza di affrontare questo problema;
• Sia gli investimenti produttivi che quelli improduttivi si sommano al valore del PIL, nonostante il fatto che gli investimenti improduttivi non creano un’attività economica di valore. In Cina, a causa del forte coinvolgimento del governo nell’economia, trilioni di dollari in investimenti sprecati vengono contati nel PIL;
• Il governo cinese, a causa della mancanza di un adeguato meccanismo di mark-to-market, non svaluta le sofferenze (investimenti riconosciuti come sprecati);
• Il PIL cinese è una misura dell’intenzione politica, non dell’attività economica.

“Pechino dovrebbe adottare un approccio più responsabile nei confronti del modo in cui misura l’attività economica: ai nostri giorni, l’affidabilità sta diventando sempre più importante. Tuttavia, in futuro, la Cina sarà inevitabilmente costretta a svalutare i crediti inesigibili e ad attuare modifiche al suo sistema di elaborazione dei dati e riforme strutturali al fine di raggiungere una vera crescita economica – non quella alimentata dal debito, ma dai consumi interni e dall’economia del libero mercato”, conclude Niyazov.

La sfiducia nei dati economici della Cina ha radici storiche. Alla fine degli anni ’50, i funzionari hanno “esagerato” la produzione di grano per raggiungere gli obiettivi aggressivi fissati dalla campagna di grande balzo in avanti del presidente Mao di rapida industrializzazione e collettivizzazione. Si stima che milioni di persone siano morte per motivi inutili tra il 1958 e il 1962, anche a causa della carestia.

Per Hideo Tamura, analista giapponese esperto di Cina, “il governo cinese considera le statistiche economiche locali problematiche perché l’aggregato dei dati sul PIL locale supera di gran lunga il PIL cinese, come annunciato dal governo centrale. Inoltre, le statistiche locali non corrispondono alla stima del governo centrale, causando quindi dubbi sui numeri locali. La situazione deriva dalla pratica di base della leadership del partito di fissare un obiettivo annuale di crescita del PIL che deve essere raggiunto entro la fine dell’anno, e rendere obbligatorio il raggiungimento dell’obiettivo annunciato nella sessione annuale del NPC”.

“Nel sistema di economia di mercato di tipo cinese – prosegue Tamura -, in cui la finanza e gli investimenti sono controllati dal Partito Comunista, è facile manipolare i tassi di crescita del PIL che, di solito, dipendono dal rapporto domanda-offerta del mercato. Il PIL cinese è composto all’incirca da investimenti di capitale fisso, consumi delle famiglie ed esportazioni. Sebbene il partito non possa controllare i consumi e le esportazioni delle famiglie, può pianificare gli investimenti di capitale fisso, che rappresentano oltre il 40% del PIL”.

La leadership del partito guida la Banca Popolare Cinese – la banca centrale – a emettere denaro che fluisce nelle imprese statali e nei governi locali tramite banche commerciali statali. “Investimenti massicci in infrastrutture, attrezzature di produzione e sviluppo immobiliare sono implementati secondo il piano della leadership del partito. Se gli investimenti in capitale fisso aumentano di oltre il 20% rispetto all’anno precedente, la crescita del PIL potrebbe facilmente superare il 10%”, conclude l’esperto. E, se i dati macroeconimici cinesi fanno storcere il naso a più di qualcuno, servirebbe un altro lungo articolo per parlare dei numeri sui morti da coronavirus…

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