Vai al contenuto

La vera storia di Jack the Stripper: l’assassino che terrorizzò la Londra degli anni ‘60

Pubblicato: 15/10/2020 17:50

Quando si parla di serial killer la storia di Jack the Stripper – letteralmente “Jack lo spogliatore” – è sicuramente una delle più inquietanti e misteriose del secolo scorso. Con questo nome, che rievoca quello ancor più famoso di Jack lo squartatore (“Jack the Ripper”), si identifica una serie di almeno sei omicidi commessi tra il 1964 e 1965 a Londra. Le sei donne uccise, tutte prostitute, vennero ritrovate senza vestiti, strangolate o affogate nelle acque del Tamigi. Ancora oggi, nonostante le molte ipotesi, non si conosce l’identità dell’assassino.

Un nuovo assassino in città

La prima vittima ufficialmente ricondotta al serial killer fu Hannah Tailford, una prostituta 30enne trovata morta il 2 febbraio del 1964. Il suo cadavere presentava molte caratteristiche che sarebbero poi diventate ricorrenti anche negli omicidi successivi. In particolare, dalla sua bocca mancavano gli incisivi, mentre il corpo era stato spogliato e poi gettato nel fiume. Con il ritrovamento due mesi più tardi di Irene Lockwood, prostituta di 26 anni, la polizia cominciò a comprendere la portata della vicenda. Come la prima vittima, anche la seconda era piuttosto bassa di statura, era incinta al momento della morte e presentava segni di strangolamento. I giornali, intanto, cominciarono a paragonare la storia a quella di Jack lo squartatore, che un centinaio di anni prima aveva terrorizzato i bassifondi londinesi.

Indagini lunghe e complesse

La terza vittima, la prostituta 22enne Helen Barthelemy, diede agli investigatori un indizio alquanto particolare: sul suo corpo, ritrovato sempre nell’aprile 1964, vennero rinvenute tracce di vernice. Poteva essere, questo, un elemento riconducile al luogo in cui l’assassino aveva incontrato la donna? Le successive indagini divennero ancora più complesse quando un uomo di nome Kenneth Archibald entrò nella locale stazione di polizia e confessò l’omicidio della seconda ragazza. Venne accusato formalmente, ma decise di ritrattare, dichiarando di essere stato ubriaco al momento della confessione. Poche settimane dopo una giuria credette alla sua nuova versione, tanto da assolverlo completamente.

Nel frattempo, tra luglio 1964 e febbraio 1965, vennero uccise altre tre giovani prostitute, tutte strangolate. Mentre le indagini si stavano concentrando sull’origine delle tracce di vernice, il sovrintendente di Scotland Yard, John Du Rose, dichiarò di aver circoscritto i possibili sospettati a sole 10 unità. Benché le persone interrogate fossero state quasi 7mila, gli investigatori si focalizzarono sul nome di Mungo Ireland, che lavorava come guardia giurata nell’azienda da cui proveniva la vernice. Poco prima di essere interrogato, però, l’uomo si tolse la vita e non fu mai possibile accusarlo ufficialmente.

Un assassino senza volto

Negli anni successivi sono state molte le ipotesi: se le prove più concrete sembravano condurre effettivamente a Mungo Ireland, altre ricerche hanno via via preso in considerazione soggetti diversi, dal campione di box Freddie Mills fino ad un non meglio identificato investigatore della polizia di Londra. Più recentemente un documentario della BBC ha collegato i sei omicidi al nome di un altro uomo, Harold Jones. Nel 1920, all’età di 15 anni, questo ragazzo si rese protagonista dell’uccisione di due bambine e venne condannato, vista la giovane età, a soli 20 anni di reclusione. Secondo gli autori dell’inchiesta, una volta uscito di prigione l’uomo avrebbe cambiato nome e sarebbe andato a vivere proprio nella zona degli omicidi avvenuti tra il 1964 e il 1965. Si tratta di un collegamento non banale che, però, a distanza di così tanti anni è forse destinato a rimanere una semplice suggestione.