La crisi dell’economia italiana, cagionata dalla pandemia da COVID-19, rischia di alleggerire l’importo dell’assegno previdenziale.
In che modo la drastica riduzione del Prodotto Interno Lordo potrebbe avere un impatto sul sistema previdenziale? La ragione è davvero molto semplice visto che il montante contributivo è correlato al trend della crescita nominale del PIL degli ultimi 5 anni.
In buona sostanza, se il PIL decresce anche l’assegno pensionistico subirà una perdita, mentre se il Prodotto Interno Lordo aumenta allora anche l’importo della pensione si ridurrà.
PIL in caduta drastica: ecco chi rischia il “taglio” degli assegni previdenziali
Crollo PIL: a rischiare il “taglio” dell’assegno previdenziale sono i lavoratori che andranno in pensione dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023.
La Ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo ha annunciato una proposta di legge da inserire in Legge di Bilancio per evitare il calo del PIL sul montante contributivo in modo tale che gli importi degli assegni previdenziali che saranno liquidati in un recente futuro non si riducano.
In una recente intervista pubblicata su Repubblica, Andrea Carbone, partner di Progetica ed esperto di previdenza, ha sottolineato che le pensioni non riusciranno a recuperare l’inflazione.
L’unico modo per evitare che l’assegno previdenziale sia “tagliato” è che ci sia una ripresa economica e che anche il mercato occupazionale continui a crescere.
Quali sono le previsioni di Progetica? Le stime parlano chiaro: se la media del PIL resta sullo zero virgola, ciò implica che un trentenne riceverà 1/5 dell’importo dell’assegno previdenziale futuro.
Un quarantenne riceverà il -12% dell’importo della pensione futura e un sessantenne perderà il due percento di taglio sulla pensione.
Welfare, PIL e Pensioni: quali sono gli effetti della pandemia?
Oltre all’emergenza sanitaria la pandemia può avere anche serie ricadute economiche, sia sulle attività che sul piano dell’occupazione e del welfare.
L’agenzia di rating Moody’s ha revisionato le previsioni di crescita di base del 2020 per le economie del G20 al 2,1%.
Per effetto della pandemia Moody’s ha ridotto di un punto percentuale le stime sul PIL per l’anno 2020.
Il termometro della sostenibilità finanziaria dell’ordinamento previdenziale è rappresentato dal rapporto tra spesa per le pensioni e PIL.
Il rapporto tra spesa pensionistica e PIL è cresciuto nel triennio 2008-2010 per la fase acuta della recessione economica.
Nel 2013, a seguito della doppia recessione, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL si attesta su un valore più elevato di circa 2,6 punti percentuali.
Nel triennio 2016-2018, a seguito di un trend rialzista e della prosecuzione graduale del processo di innalzamento dei requisiti minimi di accesso alla pensione, il rapporto fra spesa pensionistica e PIL è decresciuto al 15,3%.
Nel 2019 il rapporto spesa previdenziale e PIL è cresciuto fino a un massimo del 15,9% grazie a Quota 100.
Il PIL rappresenta il fattore di rivalutazione nel metodo di calcolo dei contributi che il lavoratore e il datore di lavoro versano agli Istituti previdenziali.
Infatti, viene riconosciuta una rivalutazione annuale collegata all’andamento del PIL, che è pari alla media delle variazioni del Prodotto Interno Lordo nell’ultimo quinquennio.
Il coefficiente viene applicato ai contributi versati, rivalutati e accantonati al primo giorno dell’anno.