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Microplastiche nella placenta umana: l’allarmante studio italiano

Pubblicato: 15/12/2020 20:53

Uno studio italiano ha provato per la prima volta la presenza di microplastiche nella placenta umana. La ricerca, condotta dall’Ospedale Fatebenefratelli di Roma insieme con il Politecnico delle Marche, è stata pubblicata sulla rivista scientifica Environment International. Si parla di bambini “cyborg”, composti cioè da cellule umane e da entità inorganiche.

Lo studio che ha preso in esame la placenta di 6 donne

Lo studio ha preso in esame la placenta di 6 donne sane, tra i 18 e i 40 anni, che hanno acconsentito allo svolgimento della ricerca. L’Enviroment International spiega i criteri di scelta delle sei donne. Sono state escluse dallo studio infatti le donne soggette a patologie gravi (come cancro e HIV). Altri criteri di esclusione, si legge sulla rivista, sono l’abuso di alcol e il fumo di sigarette. Le pazienti hanno poi compilato un questionario per registrare il loro consumo di cibo nella settimana prima del parto e l’uso di dentifrici e cosmetici contenenti microplastiche.

La scoperta: microparticelle in 4 placente

Il Dipartimento di Scienze della vita e dell’Ambiente del Politecnico delle Marche ha messo a disposizione della ricerca una tecnica di analisi chiamata microspettroscopia Raman. Attraverso la Raman il team di ricerca ha identificato, nella placenta di 4 donne, un totale di 12 frammenti di microplastica.

Questi sono particelle di “grandezza” compresa tra  i 5 e i 10 micron, equivalente a quella di un globulo rosso o un batterio. Un’analisi più approfondita ha fatto emergere 3 particelle di polipropilene, mentre per le altre 9 è stato possibile identificare solo i pigmenti. Si tratta, secondo quanto scritto nella rivista scientifica, di pigmenti “utilizzati per rivestimenti artificiali, pitture, adesivi, intonaci, colori a dita, polimeri e cosmetici e prodotti per la cura della persona“.

Da dove arrivano le microplastiche?

Lo studio chiarisce sin da subito che “le microplastiche sono particelle di dimensioni inferiori a cinque millimetri derivanti dalla degradazione di oggetti in plastica presenti nell’ambiente“. “Purtroppo – viene spiegato successivamente – non sappiamo come i micro raggiungano il flusso sanguigno e se provengano dal sistema respiratorio o dal sistema gastrointestinale“.

Gli ingressi possibili sono quindi due: la respirazione e l’alimentazione. A questo proposito, la ricerca porta a esempio i mari: “Gran parte dei fondali in tutto il mondo e il Mar Mediterraneo in particolare, è fatta di plastica derivante dai rifiuti raccolti sulle coste e in mare“. “Ci sono diverse segnalazioni di microplastiche negli alimenti e in particolare nei frutti di mare, nel sale marino e nell’acqua potabile” approfondisce lo studio.

Quali saranno i rischi per i nascituri?

Antonio Ragusa, primo autore dello studio e direttore Uoc di Ostetricia e Ginecologia Fatebenefratelli risponde così, come riportato da Il Fatto Quotidiano: “Con la presenza di plastica nel corpo viene turbato il sistema immunitario che riconosce come ‘self’ (se stesso) anche ciò che non è organico. È come avere un bimbo cyborg: non più composto solo da cellule umane, ma misto tra entità biologica e entità inorganiche“.

Ragusa spiega anche: “Già sappiamo da altri studi internazionali che la plastica per esempio altera il metabolismo dei grassi. Riteniamo probabile che in presenza di frammenti di microplastiche all’interno dell’organismo la risposta del corpo, del sistema immunitario, possa cambiare, essere diversa dalla norma“.

Le preoccupazioni dell’Environment International

Questo studio – conclude l’Environment Internationalgetta nuova luce sul livello di esposizione umana a microplastiche e microparticelle in generale. […] La presenza di particelle (di plastica) esogene e potenzialmente dannose è motivo di grande preoccupazione. Ulteriori studi devono essere eseguiti per valutare se la presenza di microplastiche nella placenta umana può innescare risposte immunitarie o può portare al rilascio di contaminanti tossici, risultando dannosi per la gravidanza“.