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I “wet market” cinesi non sono stati chiusi: l’appello di Animal Equality

Pubblicato: 14/01/2021 17:15

Animal Equality torna a investigare sui cosiddetti “wet market” in Cina, “i luoghi in cui gli scienziati ritengono che l’epidemia di COVID-19 abbia avuto origine rimangono aperti al pubblico” spiega l’organizzazione. Insieme ad alcuni attivisti cinesi, sono state raccolte nuove immagini. La denuncia di Animal Equality è chiara: nulla è cambiato e le testimonianze raccolte mostrano che “nei mercati si continuano a vendere e uccidere animali.

I “mercati umidi”: cosa sono?

A quanto dichiara l’organizzazione internazionale Animal Equality, la pandemia non è riuscita a chiudere i “mercati umidi”. Il nome è dovuto all’ambiente di questi mercati, dove il pavimento è reso scivoloso dal sangue degli animali uccisi nelle macellerie a cielo aperto. Non è la prima volta che Animal Equality si interessa di questo fenomeno. Già nel 2014, il team dell’organizzazione si era infiltrato nei mercati per raccogliere “immagini scioccanti“, come le definiscono. All’inizio del 2020 la questione è tornata a galla, soprattutto in relazione al Covid-19.

Luoghi pericolosi per la salute pubblica

A inizio aprile 2020, Animal Equality ha aperto una petizione rivolta all’ONU. La richiesta è stata quella di chiudere “i mercati asiatici dove vengono venduti sia animali vivi che macellati direttamente sul posto, in condizioni igieniche precarie“. Il 30 aprile 2020, la richiesta aveva “già raccolto quasi 250.000 adesioni in Italia, oltre 450.000 in tutto il mondo“. Con questa petizione, inoltre, Animal Equality ha voluto impegnarsi per garantire “alla popolazione locale sistemi di sussistenza alternativi, che rispettino ambiente, animali e norme igieniche, onde evitare future pandemie, che con queste premesse non tarderanno ad arrivare“. 

Possibili focolai del contagio

Animal Equality racconta la lotta per la chiusura dei mercati cinesi: la battaglia, infatti, non si limita solo al rispetto degli animali e dell’ambiente.  Il wet market di Wuhan, in Cina“, si legge sul sito ufficiale, “è stato indicato dagli scienziati come un possibile primo focolaio di diffusione del COVID-19, ovvero come il luogo dove il virus può essere passato dal pipistrello all’uomo”.

Il rifiuto dell’OMS e le nuove indagini

Né le numerose firme raccolte dalla petizione, né gli studi avanzati e posti in esame da Animal Equality hanno convinto l’OMS. A metà maggio, infatti, arriva una prima dichiarazione ed è negativa. “Peter Ben Embarek, esperto per la sicurezza alimentare e le malattie animali dell’OMS, ha dichiarato in una conferenza stampa che non sarebbe a favore  della chiusura dei wet market” scrive l’organizzazione sul sito ufficiale. Animal Equality non si è fermata e ha continuato a scrivere all’ONU chiedendo in intervenire prontamente, “ma senza ancora ricevere una risposta“.

Le immagini del non cambiamento

A novembre sono arrivati nuovi aggiornamenti sui wet market, e non sono confortanti. L’organizzazione spiega di essere tornata nei luoghi dei wet market perché aveva “un impegno con più di mezzo milione di persone che avevano già firmato la nostra petizione”. Girate con la collaborazione di attivisti locali, le testimonianze mostrano e dimostrano una negligenza sulla questione sollevata da Animal Equality. “Il materiale che siamo riusciti a riprendere tornando in Cina, rivela che la minaccia per la salute e la sicurezza pubblica continua“. Il comunicato dell’organizzazione si chiude con il rinnovo di una richiesta: firmare la petizione e condividerla, “perché sempre più persone possano aiutarci a chiedere la fine di questi luoghi crudeli e pericolosi“.

Ultimo Aggiornamento: 14/01/2022 10:51