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Plastica e Coronavirus: quale impatto avrà la pandemia nei prossimi anni, tra mascherine e imballaggi take away

Pubblicato: 21/06/2021 18:33

La pandemia rischia di vanificare ogni sforzo fatto per combattere la presenza di plastica in natura. I colpevoli principali sono proprio le mascherine e la loro dispersione nell’ambiente, in particolare nei mari. Cosa dicono i dati su questo fenomeno?

Plastica nei mari: il problema delle mascherine

Una timida riduzione si era registrata nel 2019, anno in cui in Europa si erano prodotte 57.900.000 tonnellate di plastica, di cui il 40% erano imballaggi. Sempre troppe, secondo il WWF, ma si era trattato comunque di un segnale di miglioramento. Nel 2021 sono state bandite le stoviglie usa e getta con una Direttiva Europea, ma le mascherine monouso hanno creato una grande questione di cui tenere conto.

WWF Italia, nel suo ultimo paper La lotta al Covid frena quella all’inquinamento da plastica, parla di 7.000.000.000 di mascherine adoperate ogni giorno a livello globale, di cui il 54% del totale sono consumate in Asia e 900.000.000 milioni nell’Unione Europea. Questi dispositivi, spesso smaltiti non correttamente, arrivano fino ai mari dove tendono a galleggiare o, nel caso di mascherine più pesanti, affondare o restare sospese a tutte le profondità. Pesci, tartarughe, mammiferi marini e uccelli le ingeriscono intere oppure restano intrappolati negli elastici (che dovrebbero essere tagliati prima di gettare le mascherine). Dal 1995 al 2018, i rifiuti plastici hanno già colpito 1.465 specie marine.

Plastica nell’ambiente, le mascherine come le bottiglie

Ogni minuto, riporta sempre il WWF, vengono usate 3.000.000 mascherine in tutto il mondo: questo dato rende il problema molto simile a quello delle bottiglie di plastica, il cui uso è di 43.000.000.000 ogni mese. Queste ultime, però, sono soggette al riciclo, almeno per 1/4, mentre invece le mascherine non possono essere riciclate perché potrebbero essere infette.

Le mascherine monouso sono formate da fibre plastiche e, una volta disperse nell’ambiente, sono soggette alla radiazione solare e al calore: il propilene che compone le fibre si degrada sotto l’azione di questi fattori con lentezza, perché è un materiale idrofobico, ma rilascia molte microfibre di propilene. Le microfibre a loro volta si degradano in dannose nanoplastiche.

Plastica e coronavirus: il take away e lo shopping online

Al pesante impatto delle mascherine si aggiunge anche quello delle confezioni e degli imballaggi in plastica. Prima della pandemia, i prodotti confezionati rappresentavano il 40-45%, mentre ora costituiscono il 60% dei prodotti totali acquistati, complice l’idea che i prodotti confezionati siano più sicuri da contaminazioni. Il WWF nel suo report segnala invece studi che dimostrano come il SARS-CoV-2 sopravviva sulla plastica per 7 giorni, anche se non è stata dimostrata la trasmissione dell’infezione da imballaggi contaminati.

Anche lo shopping online ha contribuito all’incremento degli imballaggi plastici di prodotti e cibo, aumentati in media del 56%.  Le plastiche monouso sono state adottate anche da bar e ristoranti obbligati al take away.

Plastica nei mari, “un’epidemia

Uno studio, pubblicato sulla rivista Nature Sustainability, evidenzia che la plastica rappresenta l’80% dei rifiuti in mare. In particolare, quasi la metà dei rifiuti presenti in mare sono sacchetti di plastica monouso, bottiglie di plastica, contenitori e posate per l’asporto e involucri per alimenti. In futuro si prospettano quindi impatti ambientali molto importanti, secondo il WWF, che non esita a definire questo rischio come “una epidemia di plastica”.