Vai al contenuto

Dignità del lavoro sì, schiavismo no. Compriamo sempre più online, ma chi paga il prezzo della velocità?

Pubblicato: 22/06/2021 14:55

Il recente episodio di violenza che ha visto a Biandrate (in provincia di Novara) morire accidentalmente Adil Belakhdim, sindacalista italiano, 37 anni, con origini marocchine, travolto da un camion a un picchetto davanti a un centro Lidl, ha portato l’attenzione dell’opinione pubblica sul settore della logistica, che vede al proprio interno tutte le contraddizioni del capitalismo globalizzato.

Cosa caratterizza il settore della logistica integrata?

  1. Debolezza contrattuale del lavoratore, che spesso viene assunto come finto socio di una cooperativa, con salario decurtato, addio a minimi contrattuali e scatti di anzianità.
  2. Algoritmi che costringono le persone a fare 200 consegne al giorno, con stipendi bassi (anche solo 700 euro nette al mese) e turni di 13-14 ore consecutive.
  3. Contratti di subappalto in mano a soggetti di bassa qualità; chi vince l’appalto, di solita applica il contratto nazionale di settore, ma nulla vieta che dia il tutto in subappalto senza adottare le stesse regole di tutela per i lavoratori;
  4. Grandi multinazionali (Amazon in primis) che dettano tempi e regole;
  5. Forti danni alla distribuzione tradizionale.

Un mercato che ha bisogno di flessibilità, ma a quali condizioni?

La rivoluzione tecnologica, globalizzazione e digitalizzazione hanno cambiato le regole di business, spostando i margini dal lavoro al capitale, e costringendo la distribuzione organizzata a spostarsi sulla rete. Zara o H&M durante il Covid hanno avuto risultati eccellenti con le vendite online. Chi è rimasto ai canali tradizionali è stato sconfitto dal mercato. 

Questo ha significato un aumento della domanda di lavoratori nel settore della logistica e delle consegne. Su questi soggetti si è scaricata tutta la flessibilità richiesta dalle imprese, che pretendono velocità immediata di esecuzione, tempi e metodi simili a quelli raccontati mirabilmente da Charlie Chaplin. L’occupazione c’è, ma è di qualità scadente, in alcuni casi rasenta la schiavitù, poco remunerata (ferie, permessi e malattia? Azzerati) e tecnicamente poco sicura. Il lavoro è emancipazione, uguaglianza, cittadinanza, partecipazione. Altrimenti non lo possiamo definire lavoro.

Sindacati in crisi e non più rappresentativi

È giusto investire nella flexsecurity, flessibilità e sicurezza, ma spesso la sicurezza del posto di lavoro viene meno e la flessibilità richiesta è notevole. I sindacati sono in crisi, non riescono più a rappresentare efficacemente i lavoratori, i quali sono costretti a rivolgersi a sindacati più agguerriti, che respingono gli accordi tradizionali. Così la conflittualità aumenta. E solo se “ci scappa il morto”, purtroppo, se ne parla perché si conquistano le prime pagine di giornale. Per qualche giorno soltanto. Proliferano anche organizzazioni fantasma, con sede legale nell’ufficio di un commercialista, che firmano contratti nazionali pirata, al ribasso.

Francesco Tullio Altan, il “padre” di Cipputi, ha spiegato come l’operaio sia rimasto solo: “Da quel che capisco in quei capannoni ci sono ritmi folli e non avrebbe nemmeno il tempo di parlare con qualcuno. E poi perché non saprebbe con chi parlare, né sul posto di lavoro né fuori, perché fuori ci si disperde. Cipputi non ha più compagni, è sempre solo”.

Reddito di cittadinanza troppo alto incentiva a non lavorare

Il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi, nel suo quinquennio di fuoco (1975-1979) invitava le parti sociali a difendere “deboli e indifesi”, sui quali bisogna investire in formazione professionale, per favorire lo sviluppo di competenze distintive che consentano alle persone di uscire dal precariato strutturale. Il rischio concreto è di assistere, come nei racconti di Cechov, all’egoismo degli sventurati: camionisti contro facchini, trasportatori contro magazzinieri, vigilanti contro sindacalisti.

Va anche detto che il reddito di cittadinanza erogato senza condizionalità è eccessivamente alto. Infatti il salario di sostituzione costituito dal sussidio “di cittadinanza” incentiva i lavoratori a stare a casa, a rifiutare i lavori che vengano proposti. Se un soggetto si sbatte da mattina alla sera per 700 euro nette, quando il suo coetaneo sta a casa per 650 euro, è evidenza che si crea una stortura non tollerabile. Lavorare con dignità va incentivato. Altrimenti avremo sempre una bassa partecipazione al mercato del lavoro che ci pone ai margini dell’Europa tutta.