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Oscar al Fatto. Non stavamo cercando di comportarci meglio?

Pubblicato: 25/06/2021 08:37

Abbiamo tutti sotto gli occhi quel che succede sui social: cyber bullismo, tempeste di merda (o se volete, shitstorm, che in inglese puzza di meno), attacchi, insulti che riguardano aspetto fisico, orientamento sessuale e chi più ne ha più ne metta.

Simona Ventura non può nemmeno pubblicare una foto al naturale (si fa per dire) che viene sommersa di insulti. Coloro che predicano la tolleranza e l’inclusione sono diventati intolleranti verso gli intolleranti. Illuminati professori si permettono di mettere l’immagine di Giorgia Meloni a testa in giù in libreria in nome del pensiero democratico e progressista e ci restano male se qualcuno si permette di dire che si tratta di una azione riprovevole e di pessimo gusto. Artisti che camminano per strada vestiti di rosa e vengono assaliti perché il colore rosa non va bene. Siamo allo sbando e pare che nessuno se ne accorga. O meglio, tutti dicono di accorgersi ma poi, in pratica, ognuno fa quel che gli pare, spesso in nome – per assurdo – anche di chi poi quelle notizie le brama e di chi, con quelle notizie, nutre il proprio spirito morboso, lo stesso che ci fa fermare in autostrada a osservare l’incidente, sperando di scorgere il morto.

Soprattutto la carta più o meno stampata, che dovrebbe mantenere un minimo di decoro e farsi potatrice di idee come rispetto e tolleranza è la prima protagonista di questo scempio, vera e propria istigatrice di tutti quei comportamenti che poi deprecano. Insomma, caspita. Diamoci una regolata. Tutti quanti. 

Oscar al Fatto

Doverosa premessa: sono più che certo che Oscar di Montigny non abbia bisogno della difesa da parte di nessuno, di certo non della mia. E, infatti, questo editoriale non è una difesa a Oscar di Montigny, è una presa di posizione a favore di un uso del linguaggio che crei quel tipo di valore di cui tutti noi abbiamo bisogno, un linguaggio che apra al confronto, anche aspro se serve ma pur sempre ispirato ai principi di correttezza che dovrebbero animare la discussione politica.

Montigny, dunque, parla di candidarsi al ruolo di sindaco di Milano, attualmente ricoperto da Beppe Sala. “Il Fatto Quotidiano” che cosa fa? Inizia la sua operazione di demolizione del candidato che viene definito “cazzaro”, stesso epiteto riferito anche a Salvini (che però è cazzaro verde, secondo l’elegante definizione che Scanzi ha dato al leader della Lega). Si potrebbe pensare che si tratti di uno slang utilizzato in modo bipartisan, ma non è così: a Di Maio, che negli ultimi tre anni ha ritrattato praticamente ogni cosa che ha dichiarato (dal “mai con il partito di Bibbiano” al “mai al governo con la Lega” al “mai in auto blu”) ma che a quanto pare sta simpatico a chi gravita in orbita “Fatto”, del “cazzaro” non glielo ha mai dato nessuno. Anzi. Nella misura in cui esponenti autorevoli simpatizzanti di una certa parte politica offendono il loro avversario e tentano la via della umiliazione, di fatto legittimano un uso offensivo del linguaggio e tutte le derivazioni che questo comporta anche da parte di chi guarda ai propri leader per capire come muoversi.

È la stessa logica che anima anche altre testate: quando Libero insulta avversari politici e/o determinate categorie di persone, gioca allo stesso gioco: legittima l’insulto e fomenta l’aggressività in tutti coloro che quei titoli li leggono. Certamente, anche a causa della distrazione di tanti lettori che giudicano senza valutare con cognizione di causa (vorrei chiedere a tutti coloro che criticano, ad esempio, il ddl Zan se hanno realmente letto il testo di legge). Che si tratti di destra o di sinistra, poco conta: da un lato, è auspicabile una maggior responsabilità di chi i titoli li scrive… d’altro lato è ancor più auspicabile un minimo di cervello in chi quei titoli li legge. È così strano sperare che si possa attirare l’attenzione con un titolo arguto e intelligente e non volgare, e che si possa parlare di politica con riferimento ai contenuti e senza il dileggio fine a se stesso?

Ironia a senso unico

Gli amici de “Il Fatto Quotidiano” si danno da fare per screditare la candidatura politica di Oscar di Montigny, cosa assolutamente lecita, anzi addirittura doverosa, visto che il bello dell’agone politico dovrebbe essere proprio il dibattito sui temi al centro delle reciproche posizioni sui temi più caldi. Invece no. Iniziano con il definirlo “Mr. Baciperugina” (chissà se questo può essere considerato un attacco sessista, o alimentarista, o qualcosa altro che finisca per “ista”) perché Oscar cita Shakespeare il quale, appunto, spesso compare sui cartigli dei Baci Perugina. Per candidarsi in politica, quindi, non si devono citare i poeti, oppure si deve utilizzare un linguaggio povero e sgrammaticato come fanno alcuni politici, di sesso maschile e femminile, che spesso cito da queste pagine?

La descrizione del candidato, che di candidatura politica si tratta, passa poi in rassegna i legami parentali del medesimo, citando Ennio Doris, a sua volta collegato a Berlusconi (ah, ecco) e specificando il fatto che Oscar sia sposato con la figlia di Doris. Ovviamente, il ruolo del giornalista è quello di descrivere le cose per come stanno. E ovviamente chi si candida sa che la propria vita privata sarà passata al setaccio. Ma, per chi si occupa di comunicazione e parole, è chiaro che puntare il fuoco su alcuni frame ha delle implicazioni importanti. “Marito di” è molto più che una descrizione di uno status civile. È una illazione. Anche questo, era necessario? Dopo tutte le polemiche, sempre vive e sempre in corso, in cui si pretende che le donne non vengano etichettate come “mogli di”, questo panegirico era davvero necessario?

E poi, una lunga sequela di passaggi ironici in cui si prendono in esame alcune frasi di Oscar, che semplicemente sono frasi che testimoniano una certa abilità nel comunicare ed evidentemente una certa serie di letture, e le usano per, appunto, fare ironia. Avessi mai letto, sulle pagine del Fatto, qualcosa del genere a proposito di politici che fanno fatica a parlare in italiano, a coniugare i verbi, a esprimersi attraverso frasi di senso compiuto. Mai, zero. Per fortuna, aggiungo: che alle prese per i fondelli grammaticali ci pensi gente come me, che ne sa (un po’) di parole e ne sa davvero poco di politica. Il problema, qui, non è che i congiuntivi perennemente sbagliati di Di Maio non siano mai stati oggetto di scherno da parte del quotidiano: il problema è che lo sono le frasi di Oscar di Montigny, che per quanto sdolcinate possano essere, sono comunque espresse in italiano comprensibile da un uomo che di cultura ne ha e gliene avanza pure da distribuire in giro (non hanno scritto, gli amici del Fatto, che parla correttamente più di una lingua e tiene speech di rilievo davanti a platee internazionali, a differenza del nostro Ministro degli esteri che fa fatica a parlare la lingua madre. Sarà una svista, di certo). 

Di contenuti politici nessuna traccia

Di altri contenuti, nessuna traccia. A parte il sottolineare il suo essere cazzaro che distribuisce umanità e che sembra uscito da una fiction di Rai 1, non si parla di politica. L’attacco è sul fatto che cita Shakespeare, che utilizza frasi ispirazionali, che è un bell’uomo e di bella presenza tanto da sembrare l’attore di una fiction. Fantastico. Un concentrato di pochezza e di implicazioni che dovrebbe far rabbrividire chiunque abbia a cuore un dibattito fatto di idee e non di prese per il culo, soprattutto non di prese per il culo che innescano i soliti stereotipi contro i quali, tutti i giorni, ci dobbiamo scontrare. E questa sarebbe l’intellighenzia? 

Ultimo Aggiornamento: 25/06/2021 09:20