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Diritti LGBT, l’opinione pubblica è più avanti del Palazzo

Pubblicato: 28/06/2021 18:08

Sono passati solo 21 anni dal Gay Pride di Roma, che oltre al prevedibile scandalo presso la Santa Sede aveva provocato imbarazzo e sconcerto anche nel Governo, con il Presidente del Consiglio di allora, il laico e socialista Giuliano Amato, che si rammaricava di non poter vietare la manifestazione, che giudicava “inopportuna” nell’anno del Giubileo. 

Oggi il Pride, non c’è neanche più bisogno di aggiungere “Gay”. Da poco meno di una dimostrazione eversiva, radicale, è diventato completamente “mainstream”, come i Black Friday o San Valentino, e di fatto dura un intero mese, quello di giugno, in cui brand, locali, palazzi, eventi, vengono colorati con l’arcobaleno. Tanto da suscitare da parte di alcuni l’opposizione verso quello che è chiamato il “Rainbow washing, la tendenza a strumentalizzare la celebrazione dell’orgoglio LGBT per fare marketing, come vengono accusate di fare le multinazionali, se non di sviare l’attenzione da temi controversi. 

Come quelli riguardanti i conflitti nel mondo del lavoro, la questione israelo-palestinese, le tensioni razziali negli USA. 

È qualcosa che era impensabile solo una generazione fa. 

Naturalmente tutto ciò è vero per l’Occidente, una fetta del mondo alla fine relativamente piccola, e per giunta sempre più ristretta viste le tendenze demografiche. 

Altrove, in Cina, in Russia, in Africa, o anche solo in Europa dell’Est, è tutta un’altra storia.

L’Italia come in altri ambiti anche in questo sembra sì fare parte del mondo occidentale, e i cambiamenti avvenuti anche nel nostro Paese sul tema dei diritti Lgbt sono innegabili, ma rimangono ritardi e resistenze.

Omosessualità: tre quarti degli italiani la accetta

Secondo Pew Research, tra gli istituti di sondaggio globali più celebri e autorevoli, nel 2019 i 75% degli italiani pensava che l’omosessualità dovesse essere accettata nella società.

È una percentuale altissima di per sè, che raramente si raggiunge su altri temi e che per altro verso alcuni potrebbero comunque considerare ancora bassa, se valutata all’inverso, ovvero considerando che un quarto dei nostri connazionali pensa che amare una persona dello stesso sesso sia inaccettabile. 

E osservando anche come altrove, in Paesi che spesso consideriamo come un modello, si raggiungano percentuali maggiori. Il 92% nei Paesi Bassi per esempio, il 94% in Svezia, l’86% in Germania, Francia e Regno Unito, l’89% in quella Spagna che per tanti versi riteniamo così simile all’Italia. 

E d’altra parte appariamo decisamente avanzati a fronte di quelle realtà oltre l’ex cortina di Ferro in cui il conservatorismo sociale su questi temi sembra essere un nuovo collante politico e identitario, usato spesso dal potere per mantenere il consenso. Se in Ungheria e Polonia sono solo il 49% e il 47% ad accettare l’omosessualità, in Lituania si scende al 28% e in Ucraina al 14%. 

L’Europa sembra ancora divisa come 30 anni fa.

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Fonte: Pew Research

Ormai anche i cattolici sono a favore dei matrimoni omosessuali

Per capire come le opinioni siano cambiate nel tempo però forse l’indicatore più adatto è l’opinione pubblica verso quello che è il tema che negli anni è stato più controverso in questo campo, quello del matrimonio. 

Una volta visto nella migliore della ipotesi come un traguardo lontano, un po’ pittoresco, una cosa da nordici ultra-progressisti, olandesi, scandinavi, e nella peggiore come una sorta di abominio, in tempi veramente brevi è diventato una possibilità concreta e poi il prossimo passaggio, dopo le unioni civili, arrivate nel nostro Paese nel 2016 dopo un tentativo fallito nel 2007.

La rapidità dei cambiamenti nell’opinione pubblica è ben visibile dall’evoluzione della posizione di coloro che in teoria dovrebbero essere i maggiori oppositori del matrimonio egualitario, i cattolici

Sempre secondo Pew Reseach in Italia tra loro ben il 57% era a favore già nel 2017. Naturalmente anche in questo caso si trattava di una percentuale lontana da quella dei correligionari di Paesi Bassi, Belgio, Svizzera,e tuttavia consideriamo che secondo Eurispes nel 2009, pochi anni prima, tra tutta la popolazione italiana, quindi non solo i cattolici, ma anche i laici, erano solo il 40,4% quelli favorevoli al matrimonio civile per i cittadini omosessuali.

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Fonte: Pew Research

Chi contrae unioni gay è mediamente più istruito

I quali per ora si devono però ancora accontentare delle unioni civili. Che in Italia hanno cominciato a essere celebrate nel 2016, anno in cui in soli sei mesi se ne contarono 2.336, un numero consistente in solo metà anno, dovuto al fatto che vi era tutta una coda di relazioni che avevano aspettato anni, forse decenni, per essere finalmente ufficializzate. 

Nel 2017 le unioni civili sono state 4.376, ma esaurendosi quel serbatoio iniziale nei due anni successivi si è registrato un calo, con 2.808 celebrazioni nel 2018 e 2.297 nel 2019. 

Si è trattato solo dell’1,2% di tutto l’insieme di matrimoni (solo eterosessuali) e unioni di quell’anno. 

Più dei numeri nudi e crudi sono però forse più interessanti le caratteristiche personali di chi in Italia si unisce civilmente. In generale sono più vecchi, in particolare gli uomini: se tra gli sposi vi è un nettissimo picco tra i 30-34enni, i gay che celebrano la propria unione si distribuiscono in modo piuttosto omogeneo tra tutte le classi di età che vi sono tra i 30 e i 50 anni.

E poi sono più istruiti. Le unioni civili in cui almeno un contraente è laureato sono state il 39% del totale, 895 su 2.297, mentre i matrimoni con le stesse caratteristiche sono stati il 31,3%. Così all’opposto quelli in cui entrambi, lo sposo e la sposa, hanno solo la licenza elementare sono stati il 5,5%, mentre si scende al 3,1% nelle unioni civili.

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Fonte: Istat, rielaborazione di Momento Finanza

Per le organizzazioni LGBT però l’Italia è al 35esimo posto in Europa nel soddisfacimento dei diritti

Se però si va oltre la superficie delle opinioni generiche sull’omosessualità, i matrimoni e le unioni gay, e si esplora in profondità il grado di uguaglianza tra gay e etero, ecco che il nostro non figura bene in confronto ai Paesi vicini.

Almeno a prestar fede al ranking di Ilga-Europa (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association), che racchiude circa 600 organizzazioni per i diritti LGBT e che ogni anno redige un rapporto sul soddisfacimento di tali diritti in Europa. 

Ebbene, l’Italia risulta essere solo 35esima nel Vecchio continente, con un punteggio di 22,33 punti su 100, molto dietro Malta, che è al primo con 93,78, il Belgio, in seconda posizione, la Spagna, che in ottava supera anche Paesi come Regno Unito, Francia e Germania. Ma risulta più avanzata di noi anche la Grecia, la Slovacchia, la Repubblica Ceca, e persino l’Ungheria di Orban.

Questo per l’assenza di leggi sull’identità di genere, contro l’hate speech, sul riconoscimento parentale dei figli del partner o sull’adozione, o sull’inseminazione artificiale dei single, e molto altro ancora. 

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Fonte: Ilga, rielaborazione di Momento Finanza

Molto probabilmente questo tipo di classifiche sopravvaluta il ruolo di leggi formali e sottovaluta l’effettiva accoglienza da parte della società delle persone omosessuali in famiglia o sul posto di lavoro. Vanno quindi considerate cum grano salis. Difficile pensare veramente che in Ungheria nella vita di tutti i giorni un omosessuale abbia vita più facile che in Italia. 

Ma hanno comunque un valore nell’indicare quanto ancora la politica abbia da fare per mettersi in pari con un’opinione pubblica che nel complesso come in altre occasioni si dimostra più avanti del Palazzo.