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In ginocchio da te. Davvero è l’unica scelta?

Pubblicato: 02/07/2021 08:37

Non si parla d’altro: la nostra Nazionale deve inginocchiarsi, oppure no? La storia è nota: siamo nel bel mezzo di una grande polemica mediatica e questa polemica riguarda il gesto che i giocatori italiani dovrebbero (o, secondo alcuni, non dovrebbero) fare per sostenere le ragioni anti razziste del movimento Black Live Matters, che di questo gesto si è fatto, per così dire, porta bandiera. Evidentemente, sia chiaro, il tema di questo articolo non riguarda l’opportunità o meno di compiere quel gesto in pubblico durante una partita di calcio. E nessuna delle cose che scriverò sarà da interpretarsi come a favore o contro quel gesto, perché qui ci occupiamo di parole e, in particolare, di come – dal punto di vista rigorosamente linguistico – è stata (mal) posta la questione. Se pensaste, dopo aver letto questo articolo, che io sia “a favore” o “contro” il gesto dell’inginocchiarsi, si tratterebbe di una vostra proiezione su di me, di una vostra interpretazione che, per quanto lecita per sua natura, sarebbe impossibile da verificare e quindi reale ma non necessariamente vera. 

Conformismo e pressioni sociali in azione

Come dicevo, la questione è stata mal posta e non ha tutti i torti chi sostiene che il gesto fatidico (e nel caso di George Floyd, purtroppo, fatale) sia stato strumentalizzato, come spesso accade con alcuni gesti (o hastag) che fanno il giro del mondo, che creano un’ondata di adesione planetaria anche se quasi nessuno sa realmente di che cosa si tratta e che poi evaporano per lasciare il posto a nuove ondate: vi ricordate la doccia ghiacciata per la SLA? E i tanto commoventi (quanto assolutamente inutili) #prayforamazzonia?

Ecco, parliamo – dal punto di vista fenomenologico (ho scritto: fenomenologico, perciò prima di farvi eventualmente salire il sangue agli occhi, leggete la definizione sul dizionario) di una cosa analoga. Una prova piuttosto evidente che poca gente sappia di che cosa si tratta ce la offre il Capitano della Nazionale che, come spesso accade per i calciatori, è bravissimo a rincorrere la palla ma in evidente stato di imbarazzo quando si tratta di argomentare questioni che non riguardino il fallo che c’era o non c’era o quel rigore che proprio no o le ultime dichiarazioni del Mister. Il buon Chiellini, balbettando spiegazioni assai poco convincenti, parla prima di solidarietà al movimento Black Live Matters e poi di lotta contro il nazismo. Che, per carità, è cosa buona e giusta ma leggermente fuori tempo e, soprattutto, fuori tema. Il gesto, secondo lo storytelling che ci è stato offerto, non è per solidarietà al movimento Black Live Matters (che, fra i suoi mantra, ha anche quello dell’anarchia sociale, della lotta assidua contro la polizia e la difesa del popolo palestinese) ma, casomai, contro il razzismo (tema assai delicato e certamente non di proprietà intellettuale del movimento BLM). Chiellini quindi ci dimostra che qualsiasi cosa dovesse fare la Nazionale, sarebbe comunque sbagliata: eseguire un gesto per non fare brutte figure o perché si deve fare per necessità di conformismo sociale è assolutamente inutile, anzi persino dannoso. 

Trappole mentali in corso: se non ti inginocchi sei razzista

Detto questo, veniamo alla questione linguistica. Il messaggio di moltissimi giornalisti e blogger e influencer è chiaro: se non ti inginocchi, sei razzista. I più infoiati (da questo punto di vista) si spingono a scrivere (l’ho letto su Instagram ma non ricordo su quale profilo, mea culpa) che la Nazionale deve inginocchiarsi tutta, perché l’Italia è un Paese antirazzista e quindi i calciatori devono mettersi in ginocchio senza possibilità di argomentare o di prendere una decisione diversa. Punto.

Altrove, ho letto frasi di questo tenore: “Non inginocchiarsi significherebbe, in realtà, ignorare il problema o, peggio ancora, sembrerebbe prendere posizione contro il movimento Black Lives Matter”. Il tenore delle frasi è questo: se ti inginocchi, allora sei contro il razzismo. Se non ti inginocchi, allora sei a favore del razzismo. Beh, non è necessariamente così (e, ripeto, qui parliamo di parole e dell’effetto che hanno sul cervello umano). In tutto questo vortice di sentenze scritte a destra e a manca (soprattutto a manca, va detto), è presente una enorme trappola mentale, che val la pena riconoscere ovviamente al di là della questione inginocchiarsi sì o no, per essere più consapevoli dell’effetto che le parole producono sul cervello umano (siamo qui per questo, no?) e per, quindi, liberarci da eventuali vicoli ciechi in cui qualcuno volesse infilarci.

Questa trappola mentale che definita come “equivalenza”, ovvero “attribuzione arbitraria e univoca di significato”, una vera manna dal cielo per gli appassionati di parole. Funziona così: “se X, allora Y”. Oppure, “se non x, allora y o non y”. Con un esempio pratico: “se ti inginocchi (x), allora vuol dire che sei contro il razzismo (Y). Se non ti inginocchi (non X), allora non sei contro il razzismo (Non Y), oppure sei razzista (Y)”. Oppure: “se sei contro il razzismo (Y), allora devi inginocchiarti X). Le cose non stanno necessariamente così. Poniamoci un paio di domande: per essere anti razzisti, l’unico modo è quello di inginocchiarsi in pubblico? Oppure, al contrario, restare in piedi durante un evento sportivo significa necessariamente essere razzisti? La risposta è no nel primo caso e no anche nel secondo caso.

Nella parola è racchiusa la nostra libertà, e a volte qualche trappola

Dal punto di vista logico, pragmatico e linguistico, una persona può essere anti razzista, essere addirittura attivista contro il razzismo e non inginocchiarsi mai. È possibile, e plausibile. Dubito fortemente che tutte le persone contrarie al razzismo si inginocchino: ci sono altri mille mode per impegnarsi attivamente, a livello sociale, in una causa – mi sia consentito – così nobile, così come dubito fortemente che il restare in piedi sia necessariamente una presa di posizione contro il Black Lives Matter. Anzi, qui parliamo di un’altra equivalenza arbitraria: una persona potrebbe essere antirazzista fino al midollo e non sposare causa o metodi del movimento BLM. È possibile? O forse l’unico modo per essere antirazzisti è quello di sposare in toto la causa e i metodi del movimento? Quello che voglio far notare è che ci sarà sempre qualcuno pronto a mettervi in un vicolo cieco: se fai questo, allora vuol dire quello, se non fai questo, allora vuol dire quell’altro. Ma chi lo dice? Si può essere razzisti o antirazzisti a prescindere dall’inginocchiarsi o meno o dall’essere o meno d’accordo con la politica di BLM. E chi dovesse sostenere che si tratta comunque di un simbolo che andrebbe onorato, sbaglia due volte: si possono onorare le idee anche senza aderire alla simbologia che li accompagna. Quando vi pongono un aut aut, ricordatevi che c’è sempre – come minimo – una terza via. Ovvero: puoi essere antirazzista (io lo sono, profondamente) senza inginocchiarti alla prossima partita di calcio (non gioco a calcio e non seguo il calcio, quindi evitate le illazioni su di me e, in caso vi sollazzi l’idea di proiettare su di me il vostro mondo interiore, andate a rileggere l’incipit dell’articolo). Così come puoi essere razzista anche se ti inginocchi per far bella figura in televisione. Insomma, la prossima volta che qualcuno tenta di attribuire un significato univo a un vostro comportamento (“hai fatto questo, quindi vuol dire che tu sei così!”), ribellatevi e chiedete: che altro significato potrebbe avere quello che ho fatto? Oppure: che altro modo avrei potuto utilizzare per manifestare comunque quella idea?  Nelle parole è racchiusa la nostra libertà. Ma, a volte, anche qualche trappola. 

Ultimo Aggiornamento: 14/01/2022 10:58