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La borsa italiana è di nuovo un buon posto dove mettere i soldi?

Pubblicato: 30/11/2021 11:27

Per tanti anni a tutti i clienti che mi dicevano “Perché non abbiamo Piazza Affari nel nostro portafoglio?” rispondevo sempre con una serie di altre domande: “Ma che importanza ha investire o non investire sulla Borsa di Milano? Abbiamo così tante regioni, così tanti settori, così tante valute interessanti … Perché costringerci in una Borsa che capitalizza il 3% scarso della capitalizzazione globale? Abbiamo il Nasdaq, abbiamo la Cina, abbiamo i Paesi Emergenti, abbiamo il dollaro, abbiamo gli ETC sulle materie prime, i fondi sulla tecnologia, e adesso anche la possibilità di investire piccoli importi nel private equity, nell’economia reale. Che ce ne facciamo dell’Italia?”

Da febbraio però il mio sentiment e quindi anche i consigli di investimento che do ai miei clienti sono cambiati: oggi Piazza Affari rappresenta un 10% circa della parte azionaria dei portafogli. E la ragione è sicuramente una: Mario Draghi. Prescindendo da qualunque valutazione di carattere politico e cercando di limitarci rigorosamente agli impatti misurabili che l’azione del Premier ha esercitato sul contesto macroeconomico nazionale, bisogna riconoscere almeno tre fattori chiave che hanno fatto tornare la fiducia degli investitori.

I tre fattori che porteranno alla ripresa

La velocità di intervento nel far ripartire, anzi finalmente decollare, la campagna di vaccinazione

La forte accelerazione di maggio e di giugno ha fatto sì che la percentuale di vaccinati sia stata e sia tuttora una tra le più alte d’Europa, con la conseguente riapertura delle attività economiche, molto più rapida del previsto. La crescita del PIL 2021/2020 sarà probabilmente superiore al 6% e l’ultimo trimestre ha fatto segnare un +2,7% sul periodo precedente, che rappresenta uno dei migliori risultati di sempre. Inoltre i famosi “ristori” dei precedenti governi sono stati sensibilmente implementati, assicurando l’erogazione di liquidità di emergenza alle PMI, evitando o limitando di molto gli eventi fallimentari. Si è innescata perciò una fase virtuosa che promette di proseguire anche nel 2022 con una previsione di ulteriore crescita del PIL che attualmente è del + 4,3%.

La solidità politica

Il Governo Draghi è sostenuto da un’ampia maggioranza politica, il che ha permesso – pur nell’accidentato percorso dell’iter parlamentare – una rapida azione di governo con meno interferenze e ricatti partitici. Se dobbiamo prestar fede ai sondaggi anche il sostegno dei cittadini e dell’opinione pubblica è stato crescente e consistente, tanto che l’indice di fiducia dei consumatori è finalmente tornato ai massimi di sempre, praticamente allo stesso livello del 2001.

Autorevolezza e credibilità in Europa

Dopo un decennio di sostanziale duopolio da parte di Francia e Germania, grazie alla fiducia che Draghi riscuote internazionalmente, l’Italia sta diventando una controparte affidabile e ascoltata nel panorama europeo. Non va dimenticato che il nostro Paese è stato tra i primi a far approvare all’UE il suo PNRR, all’interno del Programma Next Generation. E gli impatti del PNRR, diretti e indiretti, dureranno a lungo nel tempo e potranno cambiare radicalmente l’opinione degli investitori sull’Italia. Il principale impatto indiretto consiste nel fatto che, per avere diritto all’erogazione continuativa dei fondi UE, il Parlamento ha una finestra temporale stretta per approvare le riforme chiave: giustizia, fisco, concorrenza e PA. L’Europa chiede queste riforme da anni, ma nessun governo finora è stato in grado di attuarle.

Il PNRR: l’impatto diretto e indiretto

Un altro importante effetto indiretto è che sui 209 miliardi a noi destinati, ben 80 (il 40%) ci arriveranno come sovvenzioni e non come debito, quindi non peseranno sui futuri bilanci nazionali. L’impatto diretto è figlio invece della precisa impostazione data alla destinazione dei fondi. Il PNRR versione Draghi e Franco si concentrerà infatti sugli investimenti pubblici che negli anni trascorsi erano stati quasi azzerati. 40 miliardi andranno alla “Digitalizzazione e Innovazione” e ben 85 miliardi andranno alla “Rivoluzione Verde” e alle “Infrastrutture per la Mobilità Sostenibile”. Si stima che gli investimenti diretti potrebbero ridurre il tasso di disoccupazione dall’attuale 11% a un ben più dignitoso 6%.

I tre fattori chiave potranno aprire la strada a una stagione di forte ripresa, con una crescita del PIL di lungo periodo. Così, invece di essere costretta a tagliare gli investimenti per soddisfare i requisiti e i parametri richiesti dal Patto di Stabilità Europeo, l’Italia potrebbe finalmente entrare in un circolo virtuoso che agisce sulla crescita e non sui risparmi.

Man mano che prende forma una ridefinizione strutturale dell’economia, il nostro Paese ritorna sul radar degli investitori stranieri che, se finalmente smetteranno di preoccuparsi per la lunghezza e la farraginosità di giustizia e burocrazia, potranno concentrarsi sui contenuti tecnologici e di eccellenza delle aziende e dei prodotti italiani. Se tutto questo succederà, come ora è davvero possibile, allora il meglio per le azioni italiane deve ancora venire.