Che cosa significa veramente donare? A questa domande risponde Donor Hero, un progetto unico in Italia, che vede in prima linea i bambini delle elementari e i loro insegnanti. Per crescere adulti migliori, la Fondazione Rete del Dono riconosce l’importanza dell’educazione civica nelle scuole convinta che il dono, e la donazione, vadano insegnante fin dall’infanzia perché diventi parte della vita delle giovani generazioni e del loro modo di essere. Per capire il progetto e l’idea, The Social Post ha intervistato Valeria Vitali, socia Fondatrice di Rete del Dono.
Valeria Vitali racconta Donor Hero
Perché non portare i giovani delle classi quarta e quinta elementare sulla strada del dono?
Il senso civico e il significato del dono ce li ha spiegati Valeria Vitali definendolo come “uno scambio tra le parti, per contribuire in prima persona con il suo gesto di solidarietà a un progetto. Essere partecipe di un gesto, insieme a tante altre persone che come lui sposano questa filosofia“. Tutto per fare “il bene delle persone che potranno usufruire di questo dono“. E come si insegna questo ai bambini? Donor Hero, infatti, viene adattato alle classi anche grazie al lavoro delle insegnati.
Come funziona il progetto
“Gli insegnanti usano un approccio ludico“, ci racconta, che inizia con uno scambio di adesivi per “iniziare a lavorare in un’ottica di ‘io ti do qualcosa e tu mi dai qualcos’altro‘ per prendere coscienza della circolarità delle azioni, che una cosa genera l’altra“.
Cosa imparano i bambini? “L’insegnante, facendo anche lavorare i ragazzi in gruppo, li porta ad imparare il concetto di collaborazione, imparano la circolarità delle azioni in un’ottica di gratuità fino ad arrivare a prendere coscienza dell’importanza di mantenere questi comportamenti perché hanno un impatto positivo per le persone vicino a loro“.
Insomma, lavorare al fianco dei bambini perché imparino che il dono rende felice chi fa parte della loro comunità, una sorta di cittadinanza attiva che parte dalla scuola elementari e dalle idee dei bambini.
Le insegnanti decidono come gestire il progetto in base alle esigenze della classe, come portarlo avanti nel tempo, mi spiega Valeria Vitali. Una volta che le prime fasi del progetto Donor Hero sono state assimilate, gli alunni creano una campagna di raccolta fondi per sostenere una realtà, un ente no profit individuato dalla scuola. In più, tutte le classi partecipano a un concorso per creare la mascotte del progetto.
I bambini della classe presentano un progetto, “disegnare il loro eroe del dono” e una giuria qualificata composta da Esperti di Marketing e Comunicazione, Esperti Pedagogisti, FundraiserperPassione e Rete del Dono faranno poi la scelta finale, sceglieranno “quello che ci sembra più adatto per il progetto, ed è questa l’ultimissima parte per dare a loro l’opportunità di diventare veramente i protagonisti dell’iniziativa“. Non resta che vedere la reazione dei bambini che “stanno reagendo in modo stupendo“.
Donor Hero è cittadinanza attiva che parte dai più piccoli
“È un corso di educazione alla cittadinanza attiva, ovvero io come singolo individuo sento il dovere di partecipare attivamente alla realizzazione di progetti di utilità sociale che possono avere un impatto sulla mia comunità.
Mi fa stare meglio e fa stare meglio chi ne beneficia“, ci racconta ancora Valeria Vitali. “Il proprio contributo alla realizzazione di questi progetti è sicuramente un modo per sentirci partecipi alla società, protagonisti.
Il nostro obiettivo è di sensibilizzare, di avvicinarli a una nuova cultura della civiltà, per cui questo contribuisce a fare in modo che uno dica ‘Sì, io come cittadino ho il dovere di partecipare alla realizzazione del progetto‘”.
I bambini sono il punto di partenza per cambiare le cose. “Un gesto di solidarietà, contribuire a progetti che possono avere un impatto sia nel quartiere in cui si vive che nella comunità. Per esempio, donare lezioni di musica a chi non può permettersele“. Che effetto ha questo sui bambini? “La persona crescerà meglio, così sarà più inclusa vedendo i benefici su tutta la comunità in cui lavora, in cui io vive. Instillare questi principi da piccoli, così sarà una persona adulta con già dentro di sé questo istinto. Quindi senza fatica, con uno slancio personale di partecipare attivamente, questa cosa li fa diventare più solidali”. Quello che fanno i bambini, poi, può estendersi a macchia d’olio anche alle loro famiglie, può “in qualche modo stimolare anche i genitori. Ne parleranno direttamente e questo li contagia, diciamo“.
Imparare a donare non è fare beneficenza, mi spiega ancora. “Un atto di beneficenza, aiutare una persona che chiede la carità. Questo è un concetto totalmente diverso, non voglio il gesto singolo, voglio che sia una cosa che diventa parte della persona, un cambiamento duraturo. Io credo davvero che partire dalla sensibilizzazione delle giovani generazioni sia davvero un’opportunità di avere un impatto“.