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Comportamento umano e differenza di genere: questione di natura o di cultura?

Pubblicato: 13/01/2022 08:31

Articolo a cura di Federica Palumbo – Psicologa della Rete dei CAV SanFra

Una questione tra le più affascinanti depositata tra le domande più fertili, un argomento dibattuto da lungo tempo e tuttavia desideroso di risoluzione: il comportamento umano è naturalmente dato o culturalmente costruito?

In questo articolo proveremo a riflettere sulla risposta che le scienze umane e sociali hanno fornito a tal proposito, sintetizzando un vastissimo campo di studi e focalizzando la nostra attenzione sulle differenze osservabili nel comportamento umano e dipendenti dal genere in cui la persona che agisce viene assegnata e/o si riconosce, ovvero sugli stereotipi di genere che producono e predispongono, ben prima del nostro primo vagito, proprio quelle differenze comportamentali cui ci affilieremo e che crediamo scaturite e spiegate, erroneamente, da una condizione ‘naturale’.

La soggezione delle donne

Nel 1869 John Stuart Mill scrisse La soggezione delle donne: nell’opera, egli metteva in discussione il concetto di ‘natura femminile’ con cui si descrivevano e riassumevamo tutte quelle caratteristiche ritenute peculiarità delle donne e proponeva una prospettiva rivoluzionaria: osservare e studiare quelle caratteristiche come il prodotto del contesto storico, culturale e sociale in cui le donne vivevano.

L’acuta intuizione di Mill è, da tempo, ampiamente teorizzata e corroborata da studi, ricerche, esemplificazioni che ne testimoniano la pertinenza ogni qualvolta si rifletta sul ruolo che natura e cultura avrebbero nell’influenzare le vicende umane: se lo studioso inglese decise di dedicare le sue osservazioni alla genesi del comportamento ritenuto prettamente femminile, oggi possiamo affermare senza ombra di dubbio che la cultura, e quindi quel contesto storico, culturale e sociale di cui egli parlava, esercita la sua attività performativa non solo sulle donne ma su tutti gli esseri umani, meglio.

Questo è da maschi, quello è da femmine

L’argomento qui trattato può certamente essere sintetizzato in una delle frasi che hanno accompagnato, magari con qualche eccezione, l’infanzia (e forse anche di più) di ognuno ed ognuna di noi: questo è da maschi, quello è da femmine”. La frequenza e la veemenza con cui tale formula veniva pronunciata da larghissime fasce della popolazione adulta e ripetuta, poi, da ubbidenti educandi, faceva supporre che si trattasse di una verità incontrovertibile, una legge scolpita su tavolette di pietra poste accanto a quelle, ben più famose, sulle quali furono inscritti i dieci comandamenti. 

In una parola, tutto intorno a noi sembrava suggerire che quelle differenze fossero biologiche, ovvie, naturali appunto. Ma di naturale non v’era nulla: la cultura in cui eravamo (e siamo ancora) immersi ed immerse coltivava e fertilizzava, a nostra insaputa, una infinita serie di regole sulle quali si fondavano modelli di comportamento ritenuti, rispettivamente, maschili e femminili. In tal modo, ogni femmina veniva educata in maniera tale che le sue attitudini, i suoi desideri ed il suo comportamento corrispondessero a quelli di tutte le altre femmine così come ad ogni maschio veniva suggerito un modo di stare al mondo, sicuramente molto differente dall’altro, che gli consentisse di appartenere senza ombra di dubbio alla categoria del proprio sesso. 

I condizionamenti sociali: rinforzi e gratificazioni di genere

Il palcoscenico su cui oggi ci muoviamo non è mutato: con qualche provvidenziale eccezione figlia dei tempi che corrono (e che cambiano seppur lentamente), tutte le culture si servono dei mezzi a loro disposizione per suggerire, e talvolta pretendere, dagli individui il comportamento più adeguato in base al sesso d’appartenenza. Dunque, il fenomeno di sessualizzazione del comportamento umano risulta molto complesso e non giustificato dalle  sole radici biologiche: i condizionamenti sociali che ne costituiscono un elemento cardine agiscono in ogni istante della vita di un bambino e di una bambina attraverso le differenti richieste che si rivolgono loro, le aspettative riposte nei confronti di scelte e desideri, i rinforzi e le gratificazioni ottenute dai comportamenti aderenti ai criteri di femminilità e mascolinità. 

Per avere un’idea della precocità con cui la società costruisce e plasma l’idea di come deve essere un maschio e come deve essere una femmina, basti osservare il tipico reparto giocattoli di un centro commerciale: solitamente ci si accorgerà della presenza di una ‘organizzazione per genere’ che prevede giocattoli per maschi tendenzialmente concentrati su attività esplorative e trasformative (trenini, elicotteri, macchinine telecomandate, armi, soldati, etc.) mentre i giocattoli per le bambine avranno generalmente carattere più statico e rimanderanno alle attività di cura ed accudimento cui il genere femminile è veementemente indirizzato (bambole, tazzine, cucina, pentole, aspirapolvere, libri da colorare, etc.). In quale segmento del DNA risieda l’informazione genetica che prevede tale differenza nella predilezione dei giocattoli non è dato sapere: l’ipotesi che siano i presupposti culturali a definire tali differenze assurge al rango di tesi fondata e provata dall’osservazione dei fenomeni umani e sociali.

Come si fa distinguere se è un indottrinamento culturale o una scelta vera?

I costrutti di femminilità e mascolinità, lungi dall’essere elementi inscritti nel nostro corredo genetico, ci vengono insegnati giorno dopo giorno e tale indottrinamento è talmente pervasivo da risultare indistinguibile sia dai nostri desideri e dal nostro gusto personale che da quei processi che possono definirsi ‘biologici’ e ‘naturali’. 

Tuttavia, se è vero che il costume ha codici e regole rigide che impongono ad ogni maschio ed ogni femmina un modus vivendi in linea ai canoni stabiliti arbitrariamente, possiamo certamente affermare che queste ‘abitudini’ considerate come verità assolute possono subire funzionali processi di modifica; infatti, se le evidenti cause sociali e culturali delle differenze tra i sessi vengono messe in discussione e decostruite, il percorso della vita di ognuno ed ognuna sarà meno legato ai condizionamenti legati al sesso e la vita in comune ne trarrà ovvio giovamento.

“Perché è una femmina, non è mai una buona ragione”

Affinché nessuna parte di sé venga silenziata e soffocata, è necessario che ci si affranchi da quelle teorie di senso comune secondo le quali un maschio sarebbe “più aggressivo e vivace” mentre una femmina sarebbe “più calma ed accogliente” in virtù di quella natura che abbiamo provato a mettere in discussione in queste brevi righe; queste idee costituiscono il fertilizzante che nutre la violenza di genere e richiedono tutto il nostro impegno per essere estirpate. Inoltre, criticizzare la matrice biologica di alcune condotte femminili consentirà di non aspettarsi silenzio e compostezza da una bambina che viene offesa da un compagno di classe, consentirà di abbandonare l’idea che ella possa o non possa fare alcune cose “perché è una femmina”.

“Perché è una femmina”, come afferma la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, “non è mai una buona ragione”.
Mettere in discussione l’uso selettivo della biologia come giustificazione e fondamento delle norme sociali create dagli esseri umani è l’unica via che consentirà a quelle norme di essere cambiate.