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Amadori e il licenziamento familiare in casa del “re dei polli”: impresa e famiglia sono cose diverse

Pubblicato: 14/01/2022 08:45

Due tabù infranti in un colpo solo a casa Amadori: la nipote del “re dei polli” Francesco Amadori è stata licenziata da capo della comunicazione del gruppo. La notifica dell’interruzione del rapporto di lavoro datata 11 gennaio ha fatto scalpore perché quando avvengono liti familiari, l’italiano tende a confondere l’impresa con la famiglia, nonostante sia due cose da tenere ben separate.

La questione familiare non è da poco. Infatti dal gruppo Amadori fanno sapere che “il rapporto lavorativo con Francesca Amadori si è concluso per motivazioni coerenti e rispettose dei principi e delle regole aziendali”.
La nipote del fondatore ha fatto sapere che “si opporrà al licenziamento” ritenendo di aver sempre agito in modo corretto. Il padre di lei – Flavio -, attualmente è a capo del Consorzio operativo “Gesco spa” del gruppo con sede principale a Cesena.

Quali sono le regole che si dovrebbero seguire se al posto di un dipendente hai un parente?

L’Italia è piena zeppa di aziende familiari, le quali costituiscono l’asse portante dell’economia. Quali sono le regole che si dovrebbero seguire in casi analoghi? Uno dei testi meno noti sui fondamenti tecnici ed etici dell’impresa e degli imprenditori è Il libro de l’arte de la mercatura, scritto nel 1458 durante l’epidemia di peste abbattutasi su Napoli da Benedetto Cotrugli, mercante originario di Ragusa (oggi Dubrovnik, in Dalmazia). Avviato agli studi giuridici presso l’Università di Bologna, l’autore aveva dovuto interromperli per essere «raputo» e immerso nel mondo dei mercanti. Intelligente come pochi, Benedetto viaggiò verso le principali mete commerciali mediterranee, da Venezia a Aigues-Mortes, da Firenze a Barcellona, per poi fermarsi nel Regno di Napoli, sotto Alfonso il Magnanimo prima, con Ferrante poi.

Cotrugli crede fermamente che l’arte della mercatura – oggi diremmo “dell’impresa” – sia «necesaria et bisognosa et utille» a tutti gli uomini. Cosí importante da avere delle regole, non lasciata allo sbando, in mano a uomini indisciplinati, «senza modo, senza ordene, con abusione et senza legie».

Secondo il mercante raguseo si deve valutare attentamente se il proprio erede ha inclinazione al business, diversamente è meglio non indirizzarlo alla mercatura. Bisogna osservare il suo comportamento sin da fanciullo. Il ragazzo da instradare non deve essere né «troppo vario e vagabondo», né propendere «ad acquisto d’onore o d’utile o di vincere le pugne». Inoltre bisogna trasmettergli presto il valore del denaro: «Fa’ che al tuo figliuolo non lasci manegiar denari fin che non conosce che cosa è lo denaro, et quanto vale, et con quanta fatica si guadagnia. […] Et conoscendo lo figliuolo le dificultà del guadagnare, refrenerà la prodigalità iuvenile».

Non è obbligatorio far lavorare i propri figli in azienda

Come ha ben argomentato Fabrizio Barca parecchi anni fa nel volume Imprese in cerca di padrone, le competenze manageriali e l’attitudine imprenditoriale non si distribuiscono tra le persone secondo la professione svolta dai genitori. Non è obbligatorio né tanto meno necessario far lavorare i propri figli in azienda. Per di più, se un figlio non è adatto alla carica assegnatagli, diventa poi difficile estrometterlo, una volta introdotto in ruoli di responsabilità.

Sarebbero da imitare i casi di imprenditori che inseriscono nello statuto aziendale il divieto di assumere discendenti diretti. Nella Davide Campari S.p.A. il presidente Luca Garavoglia ha previsto che i suoi figli possano diventare consiglieri di amministrazione – con certi caveat – ma che non è possibile assumerli in qualità di dipendenti. Lo stesso ha fatto l’azionista di maggioranza di Sabaf S.p.A. – uno dei primi produttori mondiali di componenti per apparecchi domestici per cottura a gas, quotata sul segmento Star – Giuseppe Saleri, imprenditore illuminato pur avendo conseguito solo il diploma di quinta elementare.

In Italia un leader su 5 ha più di 60 anni

Nel nostro Paese manca la capacità di formare eredi in grado di disegnare in partenza un percorso evolutivo. Si arriva tardi a programmare il passaggio delle deleghe e delle redini dell’impresa. Bisogna invece procedere per gradi e per tempo, individuando, non solo all’interno della cerchia familiare, le persone piú adatte. Spesso si rimanda continuamente, mantenendo ai vertici anche ultrasettantenni: in Italia un leader su cinque ha oltre settant’anni, nonostante l’evidenza empirica dimostri che le performance reddituali delle imprese rette da leader over 60 siano inferiori.
Benedetto Cotrugli andrebbe studiato con attenzione dai nostri imprenditori – purché non siano tra quei sei italiani su dieci che non leggono neppure un libro all’anno – poiché il messaggio da lui trasmesso è sempiterno.

Ultimo Aggiornamento: 14/01/2022 08:46