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Djokovic e la superbia dell’Olimpo che non piace a Lacoste: la fuga degli sponsor

Pubblicato: 20/01/2022 10:51

Novak Djokovic, numero 1 al mondo nella classifica ATP, dopo la pessima figura fatta in terra australiana, se manterrà la sua pervicacia No-Vax, rischia di saltare anche i prossimi tornei di primavera, in particolare Roland Garros e Wimbledon. Pochi giorni fa la ministra dello sport francese Roxana Maracineanu ha dichiarato che non saranno permesse deroghe di alcun tipo per spettatori e giocatori: passaporto vaccinale obbligatorio per tutti.

La superbia colpisce l’Olimpo

Il tennista serbo, circondato dal sostegno del suo popolo, invece di chiedere scusa al mondo, colpito da una gigantesca “hubrys” – la tracotanza e la superbia che colpisce coloro che si credono degli Dei – pare intenda chiedere un maxi-risarcimento danni al governo australiano, “colpevole” di non avergli permesso di entrare nel Paese e di partecipare all’Australian Open.

Per Djoko il futuro non sarà certo facile, perché la maggior parte degli sportivi ha preso molto male la sua intenzione di non vaccinarsi, di non rispettare le regole, che tutti noi siamo costretti a rispettare in questi tempi pandemici. Peraltro Djoko ai giudici australiani ha dichiarato (probabilmente il falso) di aver preso il Covid nel mese di dicembre, il giorno precedente ad un’intervista (senza mascherina e senza avvertire il giornalista di essere malato e contagioso) rilasciata all’Equipe. Rispettare le prescrizioni come tutti, no? Come nella “Fattoria degli animali” di George Orwell, tutti gli animali sono uguali ma ce n’è qualcuno più uguale degli altri.

L’enforcement è letale, soprattutto con gli sponsor

Nella cultura anglosassone mentire ha un’importanza ben diversa rispetto al resto del mondo. Non è tollerabile. Non sono ammesse eccezioni. Quando si entra negli Stati Uniti si firmano dei moduli dove si dichiara di non aver commesso determinati reati. Negli anni Sessanta bisognava dichiarare di non avere intenzione di sparare al presidente degli Stati Uniti (memori dell’assassinio nel 1963 di John Fitzgerald Kennedy). Mentre compiliamo, ci viene da sorridere, ma l’enforcement – le conseguenze di una bugia – è letale.

Peraltro, un’altra tegola si avvicina alla testa del tennista numero 1 al mondo: gli sponsor sono intenzionati ad agire nei suoi confronti. La prima ad alzare la voce è stata Lacoste, la storica impresa di abbigliamento con il simbolo del coccodrillo, che intende “mettersi in contatto con Novak Djokovic per ripercorrere gli eventi che hanno accompagnato la sua presenza in Australia”. Con parole felpate, ma decise, si intuisce la mancata approvazione al suo comportamento. Non conosciamo le clausole contrattuali, non sappiamo se Djoko abbia firmato un “Codice di comportamento”, ma Lacoste versa ogni anno a Djokovic ben 9 milioni di dollari. Se non partecipa ai tornei più importanti, ha senso pagarlo così tanto? La Lacoste pensa naturalmente alle conseguenze di vedersi associata alle posizioni no vax del suo pupillo.

Novak Djokovic, un influencer da 30 milioni di dollari

Con l’avvento dell’influencer marketing – a scapito dell’advertising tradizionale – i consumatori preferiscono raccomandazioni che arrivano direttamente da altri utenti, i quali sono condizionati e impattati dai testimonial sportivi noti a livello mondiale, i cosiddetti influencer

Si racconta che quando nei quarti di finale ai mondiali di calcio in Messico, Pelè si chinò ad allacciarsi le scarpe, la telecamera fece uno zoom sul brand Puma per ben 42 secondi, che consentirono un boom di vendite delle scarpe di manifattura tedesca.

Il campione serbo, secondo la classifica stilata dalla rivista specializzata Forbes, è il 46° sportivo più ricco al mondo con introiti nel 2021 nell’intorno dei 30 milioni di dollari. Il silenzio degli altri sponsor è decisamente imbarazzante. Cosa faranno Peugeot, Head, Asics, Hublot (orologi) e la banca austriaca Raiffeisen? Come intendono tutelare il loro investimento? Se un atleta diventa oggetto di discredito tale da danneggiare l’immagine anche della casa prodotto, lo sponsor avrà tutto l’interesse a comunicare un bel “ciaone” a Djoko.

La fuga degli sponsor

Vale la pena ricordare una fuga del passato degli sponsor quando crolla la reputazione dei campioni. Quando il ciclista americano Lance Amstrong ammise l’uso di sostanze illecite – doping -, lo scandalo sollevato fu enorme. La Nike, che aveva realizzato una campagna specifica contro il doping, diede immediata disdetta alla sponsorizzazione.

Se l’influencer passa da avere un’immagine positiva a una negativa, i danni possono essere esponenziali. Se un campione come Djokovic, anche mal consigliato, si ostina a beneficiare del sistema tennistico professionistico e al contempo rigetta il rispetto delle regole, sarebbe cosa buona e giusta che i suoi sponsor lo abbandonassero.

P.S.: nell’albergo che funge da centro di detenzione a Melbourne – Park Hotel – c’è un ospite di origine iraniana che è in attesa del visto da ben nove anni. Aspettiamo invano una parola di solidarietà da parte di Djokovic.