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Il punto sui mercati: l’inflazione spaventa, le banche centrali sono pronte ad intervenire

Pubblicato: 11/02/2022 10:00

Montagne russe. È il riassunto che potrebbe fare chi osserva i mercati finanziari in questo periodo. Dalla correzione di Wall Street di gennaio, siamo passati al buon periodo sostenuto dai risultati trimestrali, per poi tornare di nuovo al punto di partenza. 

Il motivo è uno, quello che per molti analisti sarà il leitmotive del 2022: la reazione delle banche centrali all’inflazione, ormai ai livelli del 1982 negli Stati Uniti. E più i dati si aggravano più l’azione della Federal Reserve sarà importante, con evidenti conseguenze per il mercato azionario. 

In Europa, la presidente Lagarde ha fatto capire che la BCE potrebbe cambiare volto e uscire dalle politiche che dalla crisi del 2008 hanno caratterizzato le azioni della banca. A costo di vedere spread più alti e tassi di crescita più bassi. 

“L’inflazione e la risposta delle banche centrali ad essa rimangono in primo piano nella mente degli investitori e la situazione non sia migliorata nelle ultime settimane”, scrivono gli analisti di Oanda, mentre  per Stéphan Monier, Chief Investment Officer di Lombard Odier Private Bank, “finché la crescita economica rimarrà solida, l’azionario registrerà una buona performance in tutto il 2022, assorbendo anche l’impatto dei rialzi dei tassi”. 

Inflazione Usa come 40 anni fa 

Era dal febbraio 1982 che negli Stati Uniti non si vedeva un’accelerata del genere. A gennaio l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del 7,3% spinto ancora una volta dall’incremento dei costi energetici (+27%) e dai prezzi degli alimentari, una lettura che ha aumentato le aspettative per un intervento rapido della Federal Reserve sui tassi d’interesse.  

Già nell’ultimo trimestre dell’anno scorso la Fed ha cambiato la narrativa sulla propria politica monetaria osservando i prezzi aumentare prima del 4% poi del 6%, e ora con un una pressione dei costi simile è difficile pensare che la banca non proverà ad arginare lo shock alzando il costo del dollaro. 

Secondo le previsioni degli analisti, la banca centrale guidata da Jerome Powell alzerà i tassi d’interesse fino all’intervallo dell’1,25%/1,50% da qui alla fine dell’anno, ma c’è chi scommette su aumenti più rigidi se i dati non dovessero cambiare per il meglio. Un contesto molto diverso da quello in cui troviamo ora, hanno fatto notare gli analisti di Morgan Stanley, secondo cui l’inasprimento monetario delle banche centrali sarà “il più grande quantitative tightening della storia”. 

Un altro problema per gli investitori è l’inizio della riduzione del bilancio delle banche, che in poche parole andrà a togliere la liquidità presente adesso sui mercati e che ha permesso alle azioni di macinare record su record durante il biennio della pandemia. “I bilanci delle banche centrali del G4 raggiungeranno il picco a maggio”, aggiungono da Morgan Stanley, che stima come “i tagli previsti da 2.200 miliardi di dollari, se realizzati, sarebbero 4,5 volte quelli del 2018, quando la riduzione fu pari a 500 miliardi di dollari”.

Per gli esperti di Bankinter, le pressioni inflazionistiche non inizieranno “ad allentarsi significativamente se non verso la fine dell’anno”. “La Fed non ha un ruolo facile in questo contesto, deve agire senza essere troppo lenta o troppo aggressiva”, sottolineano dalla banca spagnola. 

La Bce cambia muta 

Che l’inflazione non sia “transitoria” – come è stata definita da molti banchieri centrali recentemente – se n’è accorta anche la Banca centrale europea. Nella conferenza stampa che segue la decisione di politica monetaria, la presidente Christine Lagarde ha provocato uno scossone sui mercati – sopratutto obbligazionari – quando, confusa, ha risposto una domanda su cosa farà la Bce sui tassi d’interesse. 

L’ex presidente del Fondo Monetario Internazionale ha cercato, senza riuscirci, di mascherare il fatto che la Bce, prima o poi, questi tassi li alzerà, e non continuerà nemmeno a fare sempre da “mamma” acquistando una vasta percentuale dei titoli di Stato dell’Eurozona. 

L’inflazione, spinta dai prezzi energetici e dai problemi alle catene d’approvvigionamento, ha segnato “un brusco incremento” e dovrebbe mantenersi “su livelli elevati nel breve periodo”, ha detto Lagarde aggiungendo però che “la situazione è cambiata veramente” e che la banca “sta per raggiungere il target [per alzare i tassi]”.

Una svolta per la BCE, istituzione molto attenta allo strumento del linguaggio, creditore di molti Paesi europei da più di un decennio e che non tocca i tassi d’interesse dal 2011. “La Banca centrale europea ha eseguito un’inversione di marcia incredibilmente ‘hawkish’ (aggressiva)”, ha detto a Reuters l’economista di ING Carsten Brzeski. “Il meeting della Bce ha segnato un’importante svolta”, ha affermato. 

Si perché anche nell’area euro l’inflazione galoppa, e ad un ritmo (+5,1%) molto più veloce di quanto previsto solo ad ottobre. Almeno questo si nota dalle ultima proiezioni della Commissione Europea, che per il 2022 ha ridotto le stime di crescita per la regione aumentando – di molto – le stime sull’inflazione. Anche se il Pil dell’Ue è tornato ai livelli pre-pandemici già nel terzo trimestre 2021, per quest’anno l’inflazione al consumo è proiettata al +3,5% dal 2,2% previsto ad autunno, mentre in Italia i prezzi potrebbero accelerare al 3,8% dal 2,1%. Stime, queste, che hanno avuto un impatto sulle previsioni di crescita, visto che il Pil dell’area euro è indicato al +4% dal precedente 4,3%.

La stretta di Francoforte potrebbe avere serie ripercussioni per il costo del debito italiano, fortemente dipendente dalle azioni della BCE sin dal famoso “whatever it takes” di Mario Draghi. Come sottolineano gli analisti di Goldman Sachs in una nota di ricerca, “la grande domanda per la BCE è la reazione degli spread sovrani”. “Nel breve termine ci aspettiamo che la forbice BTP-Bund si allarghi verso 175 punti base a causa del ridotto supporto del quantitative easing”. Una tegola in più per l’economia italiana.