Etichette sostenibili, riciclabilità del packaging, italianità, preferenza per prodotti “senza qualcosa”, maggiore attenzione al mondo delle intolleranze, alla lavorazione e alle certificazioni: sono questi i maggiori trend di consumo evidenziati dai risultati del nuovo rapporto pubblicato da GS1 Italy Servizi. Sempre più persone cercano nelle etichette conferme su fattori come utilizzo di materie prime, modalità di produzione, impiego di composti chimici e provenienza dei prodotti inseriti nel carrello. La 10° edizione del report Osservatorio Immagino (OI) incrocia le informazioni riportate sulle etichette di oltre 125 mila prodotti con le rilevazioni Nielsen su venduto, consumo e fruizione dei media. Ne emerge che i prodotti che richiamano la sostenibilità contribuiscono in modo determinante al giro d’affari del largo consumo.
Loghi e certificazioni nelle etichette sostenibili
Sono 30.015 i prodotti censiti ed analizzati che richiamano la loro sostenibilità sulle confezioni. Pari al 23,9% della numerica totale rilevata dall’Osservatorio Immagino. Il valore del venduto in super e ipermercati è stato di 11,5 miliardi di euro (29,7% del totale), in crescita del +3,2% rispetto all’analisi dell’anno precedente. Sono riconducibili a 4 aree tematiche principali: management delle risorse, agricoltura e allevamento sostenibili, responsabilità sociale (Corporate Social Responsability, CSR) e rispetto degli animali. Vediamole nel dettaglio.
Il management sostenibile delle risorse
Il tema della gestione sostenibile delle risorse è uno dei più interessanti del momento e va a coprire non solo aspetti legati al contenuto dei prodotti ma anche al packaging e, soprattutto, all’impegno delle aziende nel mettere in campo tutte le iniziative necessarie a ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività.
Lo studio ha analizzato più di 12 mila i prodotti sulla cui etichetta è comparso uno dei 15 claim dell’area del management sostenibile delle risorse (9,6% del totale rilevato), per un giro d’affari di oltre 6,1 miliardi di euro, pari al 15,7% del giro d’affari del largo consumo confezionato monitorato. Il fatturato è aumentato del +5,6%, trainato dall’espansione dell’offerta (+9,8%).
La parola più diffusa sulle etichette è “sostenibilità”, presente sul 3.200 prodotti (2,6% di incidenza sulla numerica totale) per un sell-out di oltre 2,2 miliardi di euro, con un peso del 5,8% sul giro d’affari complessivo del paniere rilevato.
Il secondo principale claim di questo comparto è “riciclabile”, con il 2,3% dei prodotti e il 5,6% di quota sul giro d’affari complessivo. Questi 2.828 prodotti hanno realizzato oltre 2,1 miliardi di euro di vendite, in crescita del +10,7% nell’arco dei 12 mesi. Shampoo, pastiglie per lavastoviglie, acqua minerale, detersivi per il bucato in lavatrice, piatti pronti surgelati, sistemi di pulizia e merendine sono state le categorie che hanno dato il maggiori contributo alla crescita.
Agricoltura e allevamento sostenibili
Un’altra importante sfaccettatura dell’attenzione all’ambiente applicata al mondo del largo consumo è la sostenibilità in agricoltura e negli allevamenti. Una macro-area che, secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Immagino, ha riguardato oltre 13 mila prodotti confezionati venduti in super e ipermercati (10,6% delle referenze) per un giro d’affari superiore a 2,9 miliardi di euro. In crescita del +1,4% rispetto all’anno mobile precedente.
I prodotti più rappresentativi sono quelli certificati come biologici, e quindi che presentano in etichetta il termine “biologico” oppure il logo EU Organic. Ben distanziato, in particolare come numerica delle referenze (1,2% del totale rilevato), si posiziona il secondo claim di quest’area, relativo ai prodotti con filiera tracciabile, indicata in etichetta con “filiera” o “tracciabilità”. Un mondo con 1.454 item e quasi 897 milioni di euro di giro d’affari, che sta continuando a crescere. Seguono per numerosità e giro d’affari i prodotti presentati come “senza OGM”.
Quanto vale la responsabilità sociale nel largo consumo
La categoria della responsabilità sociale contribuisce oggi per l’11,2% al giro d’affari totale del largo consumo rilevato. Il marchio FSC si è rivelato il più importante claim con una quota di assortimento pari al 4,7% e il 7,5% del contributo sul fatturato complessivo del relativo paniere. In particolare, rileva lo studio dell’Osservatorio, nell’ultimo anno i prodotti con certificazione del Forest Stewardship Council hanno registrato un ampliamento dell’offerta (+9,3%). Con una crescita delle vendite a valore di oltre quattro punti percentuali. Trend delle vendite positivo a doppia cifra anche per PEFC (+10,5%) e Rain-forest Alliance (+13,8%).
Il rispetto degli animali
Da “Friend of the Sea” a “cruelty free”, passando per “no cruelty” e “benessere animale”. Fino alle due certificazioni relative esclusivamente al comparto ittico MSC (Marine Stewardship Council) e ASC (Aquaculture Stewardship Council). Complessivamente queste sei indicazioni sono state individuate sulle etichette di 2.884 prodotti (2,3% del paniere totale). Per un valore delle vendite superiore a 1,5 miliardi di euro, in crescita del +5,7%.
Guardando all’andamento di claim emerge la crescita importante dei prodotti “no cruelty” (+14,0% il trend a valore nei 12 mesi), certificati MSC (+15,0%) e ASC (+15,4%).
Anche il packaging fa la sua parte
Continuano ad aumentare le etichette sostenibili che riportano almeno un riferimento alla riciclabilità del packaging, arrivando a coprire quasi un terzo delle 125.431 referenze rilevate.
Il fatto che sette prodotti rilevati su dieci non presentino un’indicazione che possa aiutare i consumatori a riciclare le confezioni non significa che non siano effettivamente riciclabili. Si pensi ad esempio alle bottiglie di vetro. Su queste spesso non compare alcuna indicazione, anche se questo materiale è riciclabile al 100%.
Soffermandosi sul 32,3% di referenze che fornisce indicazioni esplicite, emerge che in oltre 80 casi su 100 in presenza di indicazioni, il packaging è effettivamente totalmente o largamente riciclabile (a differenza di ciò che accadeva in passato). Rispetto ai 12 mesi precedenti, è diminuita la quota di quelli non riciclabili (scesa dal 5,7% al 4,9%). A prova che, quando viene comunicato sulla confezione, l’impegno delle aziende del largo consumo per la raccolta differenziata è ormai effettivo e concreto.
Tra le categorie, la numero uno per quota di prodotti con indicazione di riciclabilità è la pasta. Seguono la gastronomia vegetale sostitutiva. E poi i cibi per l’infanzia, il riso, i prodotti da forno e cereali, pane e suoi sostitutivi.