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C’era una volta Cappuccetto rosso e c’è ancora: la rappresentazione delle donne vittime di violenza

Pubblicato: 17/03/2022 07:17

Articolo a cura della D.ssa Federica Palumbo, psicologa della Rete dei CAV SanFra

Esistono storie che attraversano generazioni e continenti resistendo, come il più tenace dei diamanti, all’usura del tempo, degli usi e dei costumi di una civiltà. Che tu sia un boomer o una millennial avrai sicuramente letto, ascoltato o raccontato la favola di Cappuccetto Rosso che, come i migliori tormentoni estivi, insiste e resiste nell’immaginario di grandi e piccini.

C’era un volta… Cappuccetto Rosso, e c’è ancora

Era il 1697 quando Charles Perrault scrisse Le petit chaperon rouge, tradotta poi in lingua italiana da Carlo Collodi nel 1875: la favola narra le avventure di una fanciulla che, in cammino verso la casa della nonna, si imbatte in un lupo che… superfluo continuare. Ciò che ci interessa, in questa sede, sono le ultime righe scritte da Perrault a conclusione della favola che, rispettando la struttura di questo genere letterario, propone un insegnamento esponendo la morale riportata di seguito:

“Da questa storia si impara che i bambini,

e specialmente le giovanette carine, cortesi e di buona famiglia,

fanno molto male a dare ascolto agli sconosciuti;

e non è cosa strana se poi il Lupo ottiene la sua cena.

Dico Lupo, perché non tutti i lupi sono della stessa sorta;

ce n’è un tipo dall’apparenza encomiabile,

che non è rumoroso, né odioso, né arrabbiato,

ma mite, servizievole e gentile,

che segue le giovani ragazze per strada e fino a casa loro.

Guai! a chi non sa che questi lupi gentili sono, fra tali creature, le più pericolose!”

Lungi dal credere che Perrault intendesse volontariamente colpevolizzare la povera Cappuccetto Rosso per tutte le angherie e le ‘violenze’ perpetrate dal Lupo ai danni della fanciulla e della nonna, proveremo a considerare il simbolismo presente nella morale, quei sensi e quei significati che si annidano tra le parole scelte dall’autore francese e che, sfidando secoli di mutamenti e rivoluzioni, non hanno sfiorato la rappresentazione sociale della donna che subisce violenza, giungendo inalterati fino ai giorni nostri.

Se poi il lupo ottiene la sua cena

Ci soffermeremo sulle narrazioni prodotte da un vasto campione di interlocutori ed interlocutrici incontrate nell’anno 2020 in occasione delle attività di sensibilizzazione costruite intorno al tema della violenza maschile contro le donne. Narrazioni che, come vedremo, sembrano ricalcare il pensiero di Perrault che non si stupisce “se poi il Lupo ottiene la sua cena”.

Le donne che subiscono violenza l’hanno, in qualche modo, provocata: questa affermazione rappresenta l’evergreen di un repertorio discorsivo che tende a giustificare il comportamento violento; giornali, tg, talk show televisivi perpetuano una narrazione tossica che vuole rintracciare la genesi della violenza contro una donna nella incauta volontà, avanzata da quest’ultima, di autodeterminarsi. 

Lei che lo ha lasciato, lei che ha chiesto il divorzio, lei che lo ha tradito, lei che si vestiva in maniera provocante, lei che lo ha sedotto e poi abbandonato, lei che prima ci sta e poi cambia idea: tutte queste impavide pasionarie dovrebbero ricordare, secondo i più, che il ruolo assegnato ad una donna non contempla la disobbedienza, che gli script culturali pretendono che ella stia al proprio posto, il più delle volte tra pannolini e fornelli, senza tanti grilli per la testa, che poi come si fa a conciliare il diritto a scegliere la propria vita con la necessità di accudimento di un maschio adulto ed autosufficiente? 

1 italiano su 4 crede colpevole la donna nella violenza sessuale

In una cultura che insegna alle ragazze a difendersi e dimentica di insegnare ai ragazzi a non offendere, un/a italiano/a su quattro (secondo un rapporto Istat diffuso nel 2019) afferma che le donne siano responsabili della violenza sessuale che subiscono. Responsabili, dunque, del vilipendio subìto e delle percosse incassate. Del resto, lo scriveva Perrault, se Cappuccetto Rosso non avesse avuto la presunzione e/o l’incoscienza di addentrarsi da sola nel bosco non avrebbe certo corso il rischio di incontrare il Lupo, di esserne impaurita, minacciata, violentata, uccisa. Cattiva bambina quella Cappuccetto Rosso, lo diciamo da secoli!

La violenza sulle donne è democratica: colpisce tutte

Le donne che subiscono violenza appartengono a fasce della popolazione economicamente povere e poco istruite: una teoria, questa, che fa sentire al sicuro se quelle fasce della popolazione risiedono in spazi e tempi lontani, se qualche titolo di studio o un paio di viaggi all’estero bastano a percepirsi come appartenenti ad una élite refrattaria a siffatte immonde gesta (agite e subìte, s’intende).

Ed invece accade che la violenza maschile contro le donne sia un fenomeno sociale trasversale che, come la dea bendata, non fa distinzioni basate su etnia, religione, professione, conto in banca, età. Né razzista né classista quindi: un’autentica rivoluzione democratica.

I dati Istat parlano chiaro: in Italia, Il 31,5% delle donne tra i 16 ed i 70 anni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una forma di violenza fisica o sessuale e, a conferma di quanto esposto, è stato rilevato che le donne straniere subiscono violenza in misura molto simile alle cittadine italiane (31,3% e 31,5%). 

Stupri e tentativi sono più diffusi verso le dirigenti e le imprenditrici

Se qualche fattore discriminante deve essere preso in considerazione, questo non depone certo a favore delle credenze diffuse intorno all’immagine stereotipata della donna vittima di violenza: se la violenza subìta dal proprio partner all’interno della coppia è una circostanza assolutamente trasversale, sorprenderà sapere che gli stupri ed i tentati stupri subiti da uomini non-partner sono più frequenti tra le donne in cerca di occupazione, le dirigenti, le imprenditrici e le libere professioniste. Come a dire che non importa quanto tu sia competente e capace, qualcuno ti riporterà giù al tuo posto. Del resto, Perrault vi aveva avvisate: “specialmente le giovanette carine, cortesi e di buona famiglia, fanno molto male a dare ascolto agli sconosciuti (…)”.

Se lo vuole lei, sapeva che suo marito è così

Le donne che subiscono violenza se la sono cercata, potevano scegliere meglio il marito: indovine, streghe, veggenti, cartomanti, sibille, oracoli: le donne che hanno subito violenza avrebbero dovuto moltiplicare la propria identità sintetizzandovi tutte le virtù magiche utili a scrutare l’ignoto, ridurre l’infinito, prevenire le catastrofi.

Una delle affermazioni, quest’ultima, che non accenna a svanire dalle discussioni, dalle opinioni, dalle arringhe difensive, dalle sentenze ancora troppo miopi di certi tribunali. La deresponsabilizzazione dell’uomo autore di violenza è una retta parallela al processo di vittimizzazione secondaria delle donne: come se non fossero state abbastanza percosse, esse subiscono quasi sempre l’ulteriore offesa di uno sguardo che le vuole stupidamente responsabili di una scelta sbagliata, di una valutazione errata, di una cecità che non viene loro perdonata.

Del resto, se i dati ci dicono che le donne separate o divorziate subiscono violenze fisiche e sessuali in misura maggiore rispetto alle altre (51,4% contro il 31,5% della media italiana), cosa vuoi che significhi? Che hanno scelto per marito un uomo violento! Mica che il loro diritto all’autodeterminazione non fosse tollerato da coloro che credevano d’esserne i padroni e, per ricordare al mondo chi è che comanda, hanno vilipeso, e talvolta ucciso, quel corpo e quella vita di loro proprietà. 

Chi sono quelle sinistre creature chiamate donne

Morale della favola. Esistono, sin dalla notte dei tempi, sinistre creature chiamate donne: esse possiedono antiche virtù in grado di ammaliare chiunque le incontri provocandone gli atti più efferati; hanno sembianze cangianti e lugubri, spesso scelgono le vesti di mendicanti in cerca di carità. Sono, allo stesso tempo, creature sciocche e sprovvedute, colpevoli di peccati d’orgoglio. Avrebbero dovuto ricordare che: “non tutti i lupi sono della stessa sorta; ce n’è un tipo dall’apparenza encomiabile, che non è rumoroso, né odioso, né arrabbiato, ma mite, servizievole e gentile, che segue le giovani ragazze per strada e fino a casa loro. Guai! a chi non sa che questi lupi gentili sono, fra tali creature, le più pericolose!