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La guerra tra Russia e Ucraina lascia il mondo senza grano, Fed avanti per la sua strada: il punto sui mercati

Pubblicato: 18/03/2022 12:45

Non solo gas e petrolio. La guerra in Ucraina sta causando un aumento generalizzato delle materie prime, dall’alluminio ai metalli preziosi (e non) fino alle materie agricole, di cui Kiev e Mosca sono grandi produttori ed esportatori. Tra queste, destano maggior preoccupazione grano e frumento, largamente importati in Italia dall’Est Europa per soddisfare i bisogni di imprese alimentari e allevamenti. E con lo stop all’export imposto da Mosca, sono sempre di più gli enti che mettono in guardia contro i rincari di beni primari come il pane e derivati.

Intanto, il conflitto non ferma i piani delle grandi banche centrali. Federal Reserve e Bank of England hanno continuato il loro cammino di inasprimento monetario mettendo nero su bianco che uno scontro prolungato per il controllo di Kiev non solo aumenterebbe la pressione inflazionisitica, ma avrebbe delle serre ripercussioni sulla ripresa economica. Nessuna delle due banche ha parlato di recessione nei prossimi mesi, ma per alcuni osservatori non è da escludere vista un’economia ancora alle prese con le conseguenze del Covid.

Non solo petrolio

Dall’inizio del conflitto in Ucraina, grano e frumento sono aumentati oltre il doppio del prezzo pre-pandemia, mettendo in allarme una larga parte del sistema industriale italiano ed europeo, che già prima del conflitto stava lottando contro gli aumenti di metalli ed energia.

Mosca e Kiev insieme sono responsabili di quasi il 30% delle esportazioni di queste materie prime, e in caso di prolungata riduzione delle esportazioni di cibo da parte dell’Ucraina e della Federazione Russa ci potrebbe essere “un’ulteriore pressione rialzista sui prezzi delle materie prime alimentari internazionali, a scapito soprattutto dei paesi economicamente vulnerabili”, ha dichiarato la scorsa settimana la FAO, che ha stimato come altri 13 milioni di persone in tutto il mondo potrebbero soffrire di malnutrizione come diretta conseguenza.

Secondo le stime dell’organizzazione, il 20%-30% delle aree al momento seminate a cereali, granturco e semi di girasole in Ucraina non saranno piantate o resteranno incolte nella stagione 2022/23. E per via delle difficoltà nell’avere accesso a pesticidi e fertilizzanti, il rendimento di questi raccolti probabilmente sarà minore degli anni precedenti.

A suonare il campanello d’allarme in Italia è stata la CAI – Consorzi Agrari d’Italia – che in un report della scorsa settimana ha rilevato come le quotazioni di grano tenero e mais, che segnano rispettivamente +17% e +23% su base settimanale, abbiano sfondano per la prima volta nella storia in Italia quota 400 euro a tonnellata. Secondo i dati del Consorzio, l’Italia importa il 64% del grano tenero per il pane e i biscotti, il 44% di grano duro necessario per la pasta, il 47% di mais e il 73% della soia, e questi ultimi due prodotti sono “fondamentali soprattutto per l’alimentazione animale”.

Il CAI avverte, inoltre, che manca il 40% del fabbisogno di concimi per le campagne primaverili in uno dei periodi più importanti dell’anno, in cui gli agricoltori provvedono a concimare le colture per ottenere prodotti di qualità. A creare il buco nelle forniture di fertilizzanti tradizionali, ricorda Consorzi Agrari d’Italia, è innanzitutto “il caro energia e i prezzi alle stelle dei prodotti dovuto anche alla guerra in Ucraina”.

Fed inizia nuovo ciclo monetario

La banca centrale Usa ha decisamente cambiato passo sull’inflazione. Oltre ad aver alzato i tassi d’interesse di 25 punti base, come previsto, ha annunciato continui aumenti dei tassi per combattere un aumento dei prezzi che, a causa del conflitto in Ucraina, vedrà ulteriori picchi rialzisti nei prossimi mesi. Secondo le proiezioni della banca centrale il costo del denaro raggiungerà l’1,9%, un contesto molto diverso a cui eravamo abituati solo qualche settimana fa, a cui si aggiunge la volontà della banca di iniziare a vendere una parte di quei titoli di Stato acquistato durante la pandemia e che tanto hanno fatto bene al mercato azionario globale.

Se mai ci fosse stato qualche dubbio, la Federal Reserve ha confermato oggi che l’era dell’inflazione “transitoria” è finita”, ha scritto in una nota di ricerca Giles Coghlan, Chief Analyst del broker londinese HYCM. “In questo momento, la banca centrale ha molto da fare: deve bilanciare la narrativa dell’inflazione insieme al rischio di mandare l’economia statunitense in recessione. Andando avanti, qualsiasi ulteriore azione di rialzo arriverà con avvertimenti”, ha precisato l’analista.

Secondo Nicolas Forest, Global Head of Fixed Income di Candriam, “l’inflazione è ora il principale nemico della Fed“. “Dopo aver accettato uno slittamento al di sopra del suo obiettivo – ha spiegato Forest – il presidente della Fed Jerome Powell vuole riprendere la normalizzazione monetaria, rallentando lievemente l’economia americana. Tuttavia, storicamente questo tipo di politica di normalizzazione non finisce sempre bene“.

Anche la Bank of England ha seguito la collega americana alzando per la seconda volta consecutiva il tasso bancario. Resta ancora indietro, invece, la Banca centrale europea, la quale si trova nel difficile compito di amministrare una regione strettamente legata alle sorti del conflitto contrariamente alle lontane Londra e Washington.