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Il Gruppo Abele ci riporta al silenzio, come rottura al racconto di guerra e alla ricerca del consenso

Pubblicato: 06/04/2022 10:48

Abbiamo gli occhi pieni di immagini terrificanti e orecchie colme di suoni atroci che consegnano alla memoria le urla della paura, lo scoppio delle bombe e il rumore della morte.

Aiutateci, ma non col silenzio“, invoca Zelensky a più di un mese dall’inizio degli attacchi. Un appello rivolto agli alleati e all’ONU, che scelgono la ‘diplomazia con l’invio delle armi’ come reazione alla violenza di Putin.

C’è chi invece propone il silenzio come elemento di rottura, come riscoperta della coscienza e come distacco da tutto il caos e le urla mediatiche. È il Gruppo Abele, la Onlus torinese fondata da don Luigi Ciotti, che ha come missione sostenere chi affronta un momento difficile, fare cultura e proporre azioni concrete di cambiamento.

E un momento difficile lo stiamo vivendo tutti noi. Per dar voce al dolore il Gruppo Abele ha organizzato sabato 9 aprile a Torino una manifestazione di pace che avrà il silenzio come protagonista, in contrapposizione al rumore della guerra.

Tutti vorremmo fare qualcosa contro la guerra, per la pace. Ma che cosa è alla nostra portata, oltre all’accoglienza doverosa di chi arriva, indipendentemente da quale sia il conflitto che l’ha spinto a partire?

Gruppo Abele

Un’ora di silenzio attivo, che porti ad una maggior consapevolezza e che funga da simbolo contro la guerra di parole che troppo facilmente affollano le nostre vite e i mezzi di comunicazione.

L’invito è rivolto a tutti, senza loghi o bandiere, vestiti con almeno un indumento bianco, fa sapere il Gruppo Abele.

L’appuntamento è sabato 9 aprile ore 11 piazza Carignano, a Torino, oppure in diretta Facebook di Thesocialpost già dalle 10,30 con le interviste.

Gridare il silenzio per ritornare ad ascoltare

Abbiamo raggiunto Fabio Cantelli Anibaldi, vice presidente del Gruppo Abele, per approfondire insieme l’origine di questa iniziativa di pace.

Su “La Via Libera”, don Luigi Ciotti, scrive: «Di fronte a tutto questo la pace non può essere promossa in forma di appello generico, né, solo, di fideistica convinzione». Si può chiamare appello la manifestazione di sabato?

“Più che un appello è una muta implorazione, una preghiera profana rivolta a quel tanto di umano che ci resta. È inutile fare appelli se destinati a coscienze sorde, incapaci di dubitare o ascoltare davvero. Cioè persone che, di fronte ai mali del mondo, continuano a puntare il dito e a distribuire le parti in commedia – in tal caso tragedia – senza mai sentirsi parti in causa. Una coscienza che a furia di giudicare vorrebbe lavare le proprie ombre è l’esatto contrario di una coscienza viva, che di fronte al male o all’ingiustizia si preoccupa di fare qualcosa, non di distribuire condanne e assoluzioni. È alle coscienze vive e a quelle che vogliono tornare a esserlo che si rivolge l’implorazione muta di sabato”.     

Perché il silenzio?

Perché è in silenzio che la coscienza dialoga con sé stessa mettendosi davanti a uno specchio o con le spalle al muro, comunque esigendo da sé stessa la verità, per quanto inquietante sia. Il silenzio è il luogo della riflessione quindi della parola autentica, meditata, scaturita  da processi anche travagliati di pensiero. Parola che parla con pacatezza, mai con prosopopea e che, incontrati sul suo cammino dubbi di vario genere, non ha paura di dichiararli, balbettando la propria incerta e parziale verità.

Cosa occorre per farsi sentire in questa società rumorosa?

Innanzitutto non cercare di sovrapporsi alla canea alzando il tono della voce. In secondo luogo non parlare per cercare consenso, inseguendo o stuzzicando gli umori del pubblico. Per farsi sentire in una società rumorosa bisogna rompere  le logiche pubbliche di comunicazione – basate tutte su una logica binaria: “bene” o “male”, vero o falso, giusto o sbagliato eccetera – nella speranza che questo generi in alcuni curiosità, attenzione e ascolto. Non c’è alcuna garanzia che questo avvenga, ma questo non è un buon motivo per non provarci, visto che il punto è proprio trascendere la comunicazione pubblica e i suoi canoni e codici, applicati anche a questioni tragiche come quelle della pandemia e della guerra. Il tal senso mi auguro che silenzio possa rappresentare un primo momento di rottura, l’inizio di un cammino verso un’altra civiltà del dialogo e dell’ascolto, cioè della comprensione, della relazione e della conoscenza.

Ultimo Aggiornamento: 07/04/2022 15:16