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Uccise l’amante e ne bruciò il corpo: la storia di Gigliola Guerinoni, la mantide di Cairo Montenotte

Pubblicato: 25/04/2022 20:46

La storia di Gigliola Guerinoni, nota come “Mantide di Cairo Montenotte” colpisce non solo per gli intrighi personali, fin da subito divenuti pubblici, quanto per la freddezza con cui ha commesso l’omicidio dell’amante, Cesare Brin, e chiesto aiuto per l’occultamento del suo cadavere. 

Il ritrovamento del corpo di Cesare Brin

19 agosto 1987. Due tecnici dell’azienda Sirti sono sul monte Ciuto, nella periferia di Savona per riparare dei cavi del telefono. Appena scendono dall’auto, però, la loro attenzione si rivolge verso un forte fetore. Così, uno dei due, Orazio De Filippi, nota, tra le sterpaglie di un dirupo, una massa, che non riesce a identificare. 

Allertano, dunque, le Forze dell’Ordine, che richiedono l’intervento dei Vigili del Fuoco, affinché si calino tra la boscaglia. Non c’è più alcun dubbio: la massa è il cadavere di un uomo dal volto sfigurato

Qualche giorno dopo, poco lontano, si trovano i resti di un bivacco. Ci sono dei brandelli di vestiti e un portachiavi annerito con il simbolo dell’ordine dei farmacisti. Grazie al riconoscimento di alcuni elementi, Enrica Colombo conferma: il corpo è del marito, il farmacista di Cairo Montenotte Cesare Brin.

Vi è un altro elemento fondamentale. Dalla testa dell’uomo manca un pezzo di teca cranica, che viene ritrovato successivamente sotto il gradino di una scala che porta all’appartamento di Gigliola Guerinoni, l’amante della vittima. 

Le indagini sulla morte di Cesare Brin

La titolare dell’inchiesta è la sostituta procuratrice Tiziana Parenti, la quale, fin da subito, mostra qualche perplessità circa la versione della Guerinoni. Nel corso dei vari interrogatori, la Mantide si contraddice spesso, ma appare subito chiaro come sia lei l’ultima ad aver visto Cesare Brin ancora in vita. 

Così, gli inquirenti dispongono le intercettazioni telefoniche alle persone vicine al farmacista: la moglie Enrica Colombo, il figlio Paolo e l’amante Gigliola Guerinoni. Appare interessante quanto emerge dalle telefonate che partono dal numero della mantide e indirizzate a due persone: il vicequestore di Genova Raffaello Sacco e il consigliere Gabriele di Nardo. Nel corso di una chiamata, infatti, la gallerista chiede consigli a Di Nardo su come comportarsi, dato che si era accorta di essere intercettata. 

Per tale ragione, la pm decide di sentire i due, i quali, a distanza di poco tempo, ritrattano le loro testimonianze. Si interpreta ciò come un indizio del coinvolgimento nell’occultamento della vittima. Quindi, Guerinoni viene arrestata con l’accusa di omicidio volontario, aggravato da futili motivi e abietti, soppressione e occultamento di cadavere

Le testimonianze chiave

Qualche mese più tardi, il fascicolo relativo alla morte di Cesare Brin arriva nelle mani del Dottor Maurizio Picozzi, presso l’Ufficio istruzione del tribunale. Gli inquirenti, dunque, grazie alle successive indagini, iniziano a maturare l’idea che l’omicidio fosse dettato da motivazioni economiche. Pertanto, Picozzi e i collaboratori sentono diverse persone, arrivando a una testimonianza chiave.

Interrogata, Pierina Gagliardi, la vicina di casa di Gigliola Guerinoni, rivela che, la notte del 12 agosto, stava ritornando a casa, a seguito della passeggiata con il cagnolino Toby. A un certo punto, a causa di uno strattone, aveva lasciato il guinzaglio e l’animale era scappato. Fortunatamente, due fidanzati, Sergio De Toffol e Isabella Poggio lo avevano intercettato e glielo avevano riportato. 

Arrivati sotto casa, i tre avevano sentito forti rumori, come gemiti, vetri rotti e mobili spostati, provenienti dall’abitazione della Guerinoni. Nello specifico, avevano udito almeno tre voci, di cui una maschile che emetteva dei lamenti, un’altra sempre maschile che urlava: “Ti ammazzo, ti ammazzo”, e quella di una donna che intimava di fare silenzio. 

Così, la signora Gagliardi aveva iniziato a chiamar a gran voce: “Gigliola! Gigliola!”, ma nessuno aveva risposto. Dopo qualche instante, il rumore di un tonfo. 

Secondo gli inquirenti, vi è un altro dettaglio degno di nota. Una donna di nome Patrizia riferisce a Picozzi che Renzo Montedoro, il benzinaio presente vicino alla pretura di Cairo, aveva notato qualcosa di particolare. In effetti, un giorno di agosto, Gigliola Guerinoni si era recata da lui per il rifornimento. Al suo fianco, si trovava Cesare Brin, il quale, generalmente piuttosto loquace, risultava essere immobile, quasi come se stesse dormendo, e con un colorito piuttosto spento. In aggiunta, l’uomo indossava un cappello di lana, che mal si adattava al clima caldo della giornata estiva. 

Ettore Geri è coinvolto nell’omicidio?

La Mantide di Cairo Montenotte viene, dunque, sentita altre volte. Tuttavia, Picozzi e i collaboratori sono convinti che la donna non stia raccontando la totale verità, perché sta cercando di coprire qualcuno. 

Per questo motivo, viene sentito Di Nardo in qualità di testimone. Riferisce del matrimonio di Gigliola con Pino Giustini e del mènage a trois con Ettore Geri, dal quale aveva avuto una figlia, Soraya. Dopo la morte di Giustini, Geri e la figlia erano andati a vivere a Pian Martino. Guerinoni, invece, aveva accolto in casa Cesare Brin. Per di più, Di Nardo racconta la profonda ostilità, scaturita dalla gelosia, di Geri nei confronti di Brin

Alla luce di ciò, Picozzi ritiene che ci siano gli elementi idonei per poter emettere un provvedimento di custodia nei confronti di Geri, con l’accusa di concorso in omicidio. Vengono interrogati nuovamente Di Nardo e la compagna Tiziana. 

Il 13 novembre la pm Parenti invia la richiesta di contestare a Ettore Geri con mandato di cattura i reati di omicidio volontario di Cesare Brin, aggravato da futili motivi, in concorso con Gigliola Guerinoni, e il reato di occultamento e soppressione di cadavere con la mantide e il vicequestore Sacco. 

Le ritrattazioni

Si interroga Ettore Giustini, il figlio di primo letto di Gigliola Guerinoni. L’uomo riporta di essere a conoscenza della profonda gelosia di Ettore Geri nei confronti di Brin. Rivela di averlo trovato, qualche mese prima dell’omicidio, totalmente fuori di sé, con l’idea di vendicarsi e di richiedere il rilascio del porto d’armi. D’altro canto, la moglie afferma che la suocera aveva iniziato la relazione con il farmacista solo per soldi. 

Quindi, Picozzi interroga nuovamente Geri, il quale, inizialmente si dichiara innocente, poi si addossa completamente la responsabilità del delitto. Da qui, inizia una serie di interrogatori, durante i quali Geri e Guerinoni cercano di prendersi reciprocamente tale responsabilità.

La svolta nelle indagini

Nel frattempo, la figlia Soraya viene sentita più volte. Inizia a parlare del coinvolgimento nell’omicidio sia della madre sia del padre, finché non arriva la svolta. La ragazza, infatti, dichiara: “Siamo partiti io e mio padre a Pian Martino alle 23:30 circa, dopo la telefonata di mia madre”. Guerinoni aveva, difatti, telefonato per parlare con la figlia e, secondo quanto dichiarato dalla donna, successivamente aveva detto a Geri di soffrire di un forte mal di testa. Così, l’uomo si era offerto di andarle a comprare dei farmaci. 

Soraya continua il racconto sostenendo che, nel viaggio in macchina, il padre era particolarmente arrabbiato e, una volta arrivati a casa della madre, erano entrati dal garage. Geri le aveva detto di rimanere vicino alla stufa, presente nell’ingresso del laboratorio, mentre lui saliva in casa. Tuttavia, la ragazzina aveva sentito un forte rumore di vetri frantumati ed era corsa dentro casa. Qui, aveva sentito la mamma urlare: “Non morire!”. Pertanto, temendo per la vita del padre, era scesa verso il garage e aveva preso un martello. Successivamente, era entrata nella camera, aveva visto i genitori indenni, aveva notato il corpo di Cesare Brin privo di vita e in un lago di sangue. A notte fonda, lei e il padre erano poi ritornati nella loro abitazione. 

In seguito, Soraya afferma che i genitori erano stati aiutati a occultare il cadavere da Sacco e Ciccarelli, uno degli imbianchini chiamati a sistemare le mura domestiche a seguito dell’omicidio. Per di più, il 16 febbraio confessa che i genitori avevano deciso di uccidere Cesare Brin già nel mese di luglio, tanto che si erano accordati sul fatto che, quando Gigliola avrebbe chiamato dicendo di avere il mal di testa, avrebbero messo a punto il loro piano.

Il processo per l’omicidio di Brin

Il processo di primo grado inizio il 1° giugno 1989, dinanzi alla Corte d’assise di Savona. Gigliola Guerinoni sin da subito si professa come innocente. Dopo aver sentito tutti i testimoni e gli imputati, il 29 luglio arriva il verdetto. La Corte dichiara la mantide colpevole e la condanna a 21 anni di reclusione per l’omicidio di Cesare Brin e ad altri 5 per l’occultamento e la soppressione di cadavere. A Ettore Geri, invece, vengono dati 1 anno e 6 mesi per la soppressione di cadavere. Altre condanne vengono riportate da Ciccarelli, Cardea e Sacco per il loro coinvolgimento nell’occultamento del cadavere. Invece, vengono assolti Pastorino e Di Nardo. 

Il 23 ottobre 1990 è il turno del processo di secondo grado. La Corte d’Appello di Genova conferma quanto definito in primo grado. 

L’ultima spiaggia è la Cassazione. Anche qui, però, il 17 dicembre 1991 le speranze vengono infrante e la sentenza viene confermata.