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Femminicidi, cosa fare al maschio italiano. È urgente

Gli uomini devono comprenderlo al più presto. Il maschio dentro di loro ha bisogno urgentemente di un trattamento di cura. Non rinviabile, ineludibile. E lo Stato, che è termine anch’esso maschile, lo deve capire subito, ieri. Come ieri si è spezzato il sorriso di Marisa Leo. La legge sul femminicidio va rivista ai sensi delle incapacità di risposta erogate. Qua non è più […]

Gli uomini devono comprenderlo al più presto. Il maschio dentro di loro ha bisogno urgentemente di un trattamento di cura. Non rinviabile, ineludibile. E lo Stato, che è termine anch’esso maschile, lo deve capire subito, ieri. Come ieri si è spezzato il sorriso di Marisa Leo. La legge sul femminicidio va rivista ai sensi delle incapacità di risposta erogate. Qua non è più e solo un problema di procedure di polizia.

Qui vige una emergenza sanitaria sul disagio mentale che è altissimo. Il maschio stalkernon è uno spostato, un poverino, è un malato mentale, potenzialmente pericoloso per gli altri e per se, e come tale va trattato.

Se uno viene preso in carica come un tossicodipendente da Sert, anche la famiglia, gli amici, la comunità intorno a lui si rende conto della pericolosità del disturbo. Se no è solo un poverino malato d’amore. Non è amore, è una patologia ossessiva, come la paranoia o la schizofrenia.

Le stesse cattedre di psichiatria dovrebbero aggiornare le loro basi epidemiologiche. Il monitoraggio degli stalker dovrebbe essere simile al 41 bis, perché se vediamo le statistiche fanno più morti di quei soggetti. È dipendenza ossessiva, e come tale va trattata. Dovrebbe essere previsto il ritiro patente, come ai tossici, un monitoraggio di colloqui con terapisti, in quel caso pubblici ufficiali che devono garantire in primis la vittima ed in secondo luogo il malato,almeno bisettimanali.

 Dovrebbero avere un obbligo di firma, come nei casi di altri reati. La procedura di contestazione non dovrebbe essere solo a carico del denunciante, ma nell’accertamento dei fatti si dovrebbe procedere d’ufficio. Il denunciante può avere fragilità, ricevere pressioni da contesti più o meno vicini, spaventarsi, anche in fase processuale. Non è un problema di pene o di repressione.

È fondamentalmente un problema di prevenzione, parola in l’Italia forse non presente nel dizionario, di mettere i soggetti malati in una rete da cui non possono non emergere campanelli d’allarme.

Si dovrebbe nominare un tutore, perché il soggetto dovrebbe, dopo counseling rituali di approfondimento, essere ritenuto incapace di intendere e di volere. Il braccialetto elettronico dovrebbe essere di default, e tolto solo dopo una serie di prove confortate da relazioni tecniche approfondite e non superficiali, possibilmente collegiali.

Si dovrebbe valutare in alcuni casi non un distanziamento dalla potenziale vittima ma un confino.

Il tempo di valutazione deve essere congruo per riuscire a stabilire l’eventuale riabilitazione del soggetto. Lo sforzo come potete constatare è grande, ma enorme, socialmente ed antropologicamente è il problema. Che inesorabilmente finisce in tragedia. Sono tutte cronache di morti annunciate e lo Stato, la comunità, le relazioni intorno ai soggetti,non può girarsi dall’altro lato.

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