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Stuprata dal branco: sentenza shock, il racconto della vittima

Pubblicato: 20/09/2023 10:08

“Assolti perché fraintesero il suo consenso”. E lei, la vittima dello stupro di gruppo, a distanza di cinque anni si ritrova ancora oggi “a dover scacciare pensieri e immagini dalla testa e dai miei incubi. Ripenso a quella sera come il giorno in cui ho perso la fiducia in tutto. Erano miei amici, gli volevo bene e pensavo ne volessero a me”. E’ da leggere l’intervista, concessa a la Repubblica, di Federica (il nome è di fantasia), la giovane che all’epoca dei fatti aveva appena diciotto anni.

Il gup: “Apparente disinvoltura del comportamento della ragazza”

Si trovava a una festa in una casa di campagna nel Fiorentino. Con lei c’erano alcuni suoi compagni di scuola. Attorno alla mezzanotte, in giardino, subì una violenza da tre coetanei: “È accertato che ci siano stati degli atti sessuali non pienamente voluti”, ha riconosciuto il tribunale di Firenze attraverso una sentenza con cui, al tempo stesso, ha assolto i due imputati maggiorenni dall’accusa di violenza (per il terzo procede il tribunale minorile). La loro, secondo il giudice dell’udienza preliminare, fu una “errata percezione” del consenso di Camilla, riporta ancora la Repubblica. Un fraintendimento, “anche in relazione ai pregressi rapporti tra gli stessi” e per “l’apparente disinvoltura di comportamento della ragazza”, ha spiegato il gup nelle motivazioni.

La sentenza è stata impugnata: si tornerà in aula per il processo d’appello

Sottolineando che ci fu “senza dubbio un comportamento eccessivo da parte dei ragazzi coinvolti, i quali, spinti dall’eccitazione, hanno fatto di tutto per indurre la ragazza a intrattenere un rapporto plurimo”. Camilla aveva bevuto e non era “al massimo della lucidità – si legge ancora – e già questo avrebbe dovuto indurre i ragazzi a porsi il problema della sua piena capacità di prestare il consenso”. Ma i coetanei “condizionati da un’inammissibile concezione pornografica delle loro relazioni con il genere femminile hanno errato nel ritenere sussistente il consenso”. L’avvocato della giovane, Daniele Santucci, nelle scorse settimane si è così rivolto alla Procura Generale di Firenze. La quale ha deciso che si tornerà in aula per un processo di appello.

“Trovare il coraggio di denunciare e rivivere tutto è difficilissimo”

“La sentenza è vergognosa nei confronti di tutte le donne. Da fuori non ci si può render conto, ma chi ha avuto la fortuna di non dover subire un’esperienza simile non può neanche lontanamente immaginare cosa ci sia dietro una denuncia”. Federica spiega a la Repubblica che “trovare il coraggio di esporti, l’umiliazione nel dover ammettere con te stesso/a e con gli altri che non sei stato/a in grado di difenderti, rivivere tutto ancora e ancora mentre cerchi soltanto di toglierti quelle immagini e quelle sensazioni dalla testa non è facile. Ho aspettato cinque anni. Cinque anni di processo in cui sono stata risentita più e più volte, ripetendo sempre le stesse cose, rivivendo sempre le stesse scene. Una volta in particolare è durata 3 ore. Lì ho capito, sperando di sbagliarmi, che evidentemente i trascorsi di una persona sono un fattore determinante nel momento in cui questa deve esprimere consenso o dissenso. Non dovrei poter aver detto “sì” venti volte in passato senza per questo togliere valore al “no”?”.

La vittima: “Mi sento a pezzi”

Federica ammette di sentirsi “a pezzi”. “Dopo tutto quello che ho dovuto affrontare, mi sembra così assurdo. Vorrei soltanto che una volta per tutte i diretti interessati capissero quanto abbia significato per me quel momento che loro hanno preso alla leggera, come un gioco. Non era un gioco, per me non lo è stato neanche per un momento. Non capisco come quella situazione possa essere stata fraintesa. Come non capisco in che modo il mancato buonsenso e presunti “deficit legati a una concezione distorta del sesso” possano giustificare ciò che mi è successo”.

“Nessuno può imporre o decidere cosa sia giusto o sbagliato per noi stessi”

Al termine dell’intervista, Federica lancia un messaggio. “Negli ultimi anni purtroppo ho constatato quanta poca umanità ci sia tra le persone. Vorrei che la mia storia portasse l’attenzione sull’importanza della libertà personale, del valore che ha un “no” in ogni situazione, di quanto sia importante il rispetto per il prossimo. Non si dovrebbe permettere a nessuno di imporre o decidere cosa sia giusto o sbagliato per noi stessi. Non si dovrebbe permettere a nessuno di dirci come sia giusto reagire o come dovremmo sentirci. Ma il messaggio più ovvio è che la giustizia non dovrebbe perdersi in interpretazioni soggettive e nei meandri di una burocrazia complessa e a rilento, che sembra mirare al dispendio ma allo stesso tempo al risparmio delle risorse”.