
Il mondo del giornalismo italiano perde una delle sue colonne portanti: Ettore Mo, storico inviato del Corriere della Sera e testimone attento dei maggiori conflitti del Novecento, si è spento all’età di 91 anni.
Nato nel 1932 a Borgomanero, in provincia di Novara, Mo non si è mai fermato di fronte alle difficoltà e ai pericoli che la professione di giornalista comporta, soprattutto quando si decide di raccontare da vicino guerre e rivoluzioni. La sua carriera, infatti, è stata segnata da reportage in zone di guerra e interviste a figure chiave del panorama politico e sociale mondiale, tra cui l’Iran, l’Afghanistan e la Jugoslavia.
L’inizio della carriera
Il suo percorso professionale inizia con un atto di coraggio e determinazione: nel 1962, Mo si presenta alla sede londinese del Corriere della Sera, ottenendo un posto nella redazione britannica grazie all’allora corrispondente Piero Ottone. Da quel momento, la sua carriera decolla e lo vede protagonista in prima linea nei maggiori eventi storici del secondo Novecento.
Il suo primo incarico di rilievo arriva nel 1979, durante la rivoluzione in Iran, e da quel momento la sua penna non smette di raccontare, con uno stile incisivo e mai scontato, gli eventi che hanno segnato la storia contemporanea. Mo ha sempre creduto fermamente nell’importanza di essere sul campo, di vivere in prima persona gli eventi per poterli raccontare con autenticità e profondità.

Non solo un giornalista, ma anche un autore: i suoi articoli sono stati raccolti in diversi libri, e la sua capacità di narrare la realtà gli ha valso numerosi riconoscimenti e premi letterari. La sua voce, chiara e mai retorica, ha guidato i lettori attraverso decenni di storia, offrendo non solo informazione, ma anche spunti di riflessione e analisi.
Sempre al lavoro
Ettore Mo ha lavorato fino a quasi 80 anni, mantenendo sempre viva la passione e la curiosità che lo hanno contraddistinto, e lascia ora un’eredità di professionalità e umanità a tutti i giornalisti e i lettori che hanno avuto il privilegio di conoscerlo e leggerlo.
Il suo addio segna la fine di un’era, ma il suo insegnamento vive nei suoi scritti e nell’etica professionale che ha sempre perseguito, rimanendo un faro per le future generazioni di giornalisti.