Vai al contenuto

Il pericolosissimo business dei bambini sui social: perché non dovrebbero essere mostrati

Pubblicato: 13/10/2023 11:26

Posto che il diritto alla privacy è sancito a chiare lettere nella Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, in Italia non esiste ancora una normativa specifica sull’argomento; ad eccezione di quella che stabilisce il limite di età a partire dal quale si possono usare i social, lasciando così esclusivamente in mano ai genitori la responsabilità dell’immagine dei propri figli. Nonostante ciò, diversi i tribunali italiani si sono espressi più volte a riguardo, condannando alcuni genitori a togliere le immagini dei figli dai propri social, pena un risarcimento da versare anche a quattro zeri: gli articoli 147 e 357 del Codice civile impongono infatti ai genitori un dovere di cura e di educazione nei confronti dei figli che fa riferimento anche ad una corretta gestione dell’immagine pubblica del minore. Ora, al di là di specifici casi giudiziari, il fenomeno dello sharenting (da “sharing”, condivisione, e “parenting”, genitorialità) è molto più complesso. E, soprattutto, “pericoloso”.

Il fenomeno dello sharenting, cos’è e cosa comporta

I primi passi e il primo giorno di scuola; il pranzo, la cena, il gelato e ogni momento della quotidianità, compresi quelli imbarazzanti: mostrare online i propri figli, anche molto piccoli, è una prassi più che sdoganata e, anzi, è diventata per molti una fonte di guadagno non indifferente. Siamo abituati a vedere, scrive Chiara Ugolini su alfemminile.com di Repubblica, i bambini nei profili di personaggi pubblici o famosi, ma anche nella cerchia di persone comuni che seguiamo, a ridere di loro se fanno qualcosa di buffo o a conoscere dettagli della loro vita di cui nemmeno loro sono consapevoli. Il fenomeno dello sharenting è così diffuso che, secondo i calcoli della Società Iialiana di pediatria (Sip), ogni anno i genitori condividono online una media di 300 foto riguardanti i propri figli. Sempre secondo lo studio, inoltre, l’81% dei bambini che vive nei Paesi occidentali finisce online prima dei due anni, il 33% entro poche settimane dalla nascita e il 15% in Europa ancora prima di nascere, attraverso la pubblicazione delle ecografie.

Lo studio: il 50% del materiale presente su siti pedopornografici proviene dai social media

Ma cosa comporta pubblicare contenuti di minori online? Siamo sicuri che postare video e foto di bambini sui social sia davvero così innocui? Quali sono i rischi di esporre l’immagine dei propri figli sui social? Ne ha parlato (finalmente) il documentario uscito di recente “Bambini sotto influenza: sovraesposti in nome del simile” di Elisa Jadot che, tra testimonianze e inchieste, affronta il pericoloso business dei genitori influencer. Anche se in molte situazioni le intenzioni non sono maligne o di profitto, a volte alcuni genitori dimenticano il fatto che la rete non è composta solo delle persone che fanno parte della propria bolla di follower: un’indagine condotta dall’eSafety Commission australiana ha rilevato che circa il 50% del materiale presente su siti pedopornografici proviene dai social media. E non tutti probabilmente sanno che tutto ciò che viene pubblicato online, anche se cancellato, può rimanere in rete, essere diffuso, scaricato e utilizzato con altri scopi, proprio come quelli pedopornografici. Se poi da piccoli non si è consapevoli di quello che sta succedendo, con la crescita, vedere le proprie informazioni personali diffuse online o sapere che sconosciuti conoscono vulnerabilità o quali sono stati i momenti più difficili o belli della propria vita, può generare imbarazzo e vergogna quando ci si interfaccia con la società, una volta giunti all’università o entrati nel mondo del lavoro, e può essere limitante essere ricordati in questo modo anche in età adulta.

Le motivazioni per cui un genitore decide di rendere pubblico il volto del proprio figlio possono essere diverse: c’è chi pubblica perché tanto “sono poche le persone che lo seguono sui social”, chi è alla ricerca di attenzioni e approvazioni come figura genitoriale, o chi usa l’immagine dei figli come fonte di guadagno, sponsorizzando prodotti d’abbigliamento o giochi e seggioloni. In nessuno di questi casi, però, i minori ripresi sono davvero consapevoli dell’uso che viene fatto della propria immagine, oltre a non venir mai chiesto loro il consenso per farlo. E il motivo è banale: non hanno l’età. 

Il documentario e il no della Francia 

Nel documentario di Jadot, menzionato da fem e disponibile su Francetv Slash, sono raccontate più storie, come quella di una mamma influencer che non pensava di poter danneggiare il proprio figlio o quella di Cam, una ragazza americana di 24 anni che è stata sovraesposta dalla madre sui social network da quando era solo una bambina: i follower della donna erano entrati a far parte così tanto della vita della ragazza che, quando aveva solo nove anni, un uomo venne a congratularsi con lei per il suo primo ciclo mestruale: “Non ho mai avuto privacy. Persone di cui non sapevo nemmeno l’esistenza conoscevano così tanti dettagli su di me”, ha detto Cam nel documentario.

Tramite le storie raccolte, Jadot ha anche analizzato così quali sono i possibili abusi e rischi che la condivisione di foto e video sui social network possono comportare per i minori interessati, come disturbi d’ansia in età adulta, mancato consenso sui diritti di immagine, lavoro nascosto, recupero di foto da siti pedofili. Tutti argomenti di cui in Francia si parla da mesi, da quando a marzo il parlamento del Paese ha approvato un disegno di legge per garantire ai minori il diritto alla loro immagine. L’obiettivo, infatti, oltre a sensibilizzare i genitori più “ingenui”, è togliere agli adulti la facilità di sfruttare l’immagine dei propri figli per contenuti, sponsorizzazioni e massimizzazione dei profitti. 

Perché togliere ai bambini la possibilità di scegliere?

E’ il grande dilemma dei genitori 3.0: se gli adulti possono scegliere cosa pubblicare, i minori non possono fare altrettanto e dovrebbe essere lasciato loro il tempo di comprenderlo da soli una volta raggiunta la maggiore età. Fino ad allora, dovrebbero essere protetti e salvaguardati: anche nei casi in cui non ci sono fini di profitto, ci si dovrebbe forse chiedere se pubblicare la foto del figlio può cambiargli qualcosa, dargli un qualche beneficio o potrebbe invece danneggiarlo in qualche modo, sia nel presente che nel futuro.