O il sapore di una vita mai spesa. A chi non è mai capitata una giornata uggiosa? E non solo per il clima meteorologico, ma per il climax metereopatico. Quante volte l’uggia dell’esistenza ci ha preso, disorientandoci, facendoci uscire dal tran tran delle nostre vite, vissute in un codice binario. C’è qualcosa di sempre, terribilmente, attuale nelle canzoni di Battisti. Lui è il Sartre esistenzialista popolare, non sempre nazionale, ma che tutti potevano intendere e capire. Nella musica di oggi questo manca. È una musica di genere, c’è a chi piace il trap chi no, chi rappa e chi è pop. Lui arrivava a tutti, perché in tutti toccava le corde giuste, sia che parlasse di mutandine rosa, sia che avesse un messaggio sociale. C’era molto sociale, antropologico, politico in Battisti, un poeta che è stato tirato per la giacchetta un po’ da tutti.
Quando parla di sognare il suo Paese infine dignitoso, non rasenta il sogno comune di tutti noi? L’Italia è diventata un paese dignitoso? O siamo ancora sotto l’asticella? E fuggiamo via da una Brianza velenosa. Qui troviamo la critica del capitalismo, della cultura industriale, della fabbrichetta che vomita veleni. Del lavoro, guadagno, spendo. C’è in nuce una Greta ed una Cop 21. Tutto questo con sempre ben presente il senso della fine dell’esistenza umana, piena di affanni da placare, all’ombra di un ciliegio. Il ciliegio torna spesso nelle canzoni di Lucio Battisti, come la collina dei ciliegi. Ma gli alberi, da quelli che fioriscono a maggio ad altri, la natura in generale, i cieli, l’acqua azzurra, il mare nero, è un manifesto green immerso in un intimismo di immensità, discese e risalite, amori tormentati ed improvvisi a volte. E soprattutto ansie, di qualcosa che si perde, che non si riesce più a ritrovare. Soprattutto gente giusta che rifiuti di essere preda di facili entusiasmi ed ideologie alla moda.
Che sapore ha una vita mai spesa. Ce lo chiediamo quando ci fermiamo in una giornata uggiosa?