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Fuga da Mamma Rai: quanto ci costa l’ossessione di occupare la rete pubblica. Tutti i numeri

Pubblicato: 07/11/2023 12:36

Da Fabio Fazio a Corrado Augias: tu chiamali se vuoi, abbandoni. Di fronte alla continua emorragia di professionalità che colpisce la televisione pubblica risulta complicato, anche ai più facinorosi sostenitori di questo governo, negare che la Rai stia pagando parecchio quanto ad ascolti e incassi (leggi pubblicità). Con il postulato, evidentissimo, che tra i concorrenti che ne traggono vantaggio spicca anche il gruppo mediatico indissolubilmente legato a uno dei partiti che compongono la maggioranza alla guida del Paese.
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Rai, destra e conflitto d’interessi: chi si ricorda l’editto bulgaro?

Conflitto di interessi, do you remember? L’anomalia tutta italiana che dal 1994, discesa in campo di Silvio Berlusconi con le sue tv a megafonare il nuovo sogno italiano di Forza Italia, è sempre lì e continua a contraddistinguere politica e affari nazionali. Uno scomodo bagaglio mai recapitato, ma assai utile oggi che il centrodestra ha sferrato l’offensiva finale per sbarazzarsi di operatori dell’informazione “antipatici” ai governanti. Un processo di (d)epurazione – e di occupazione della prima azienda culturale italiana, proprietà dello Stato – dei non organici al potere, anche a costo di far pagare un prezzo salato ai conti dell’azienda stessa. Per la quale gli italiani continueranno a sborsare 90 euro l’anno per il canone; in forma diversa come metodo di prelevamento, ma esattamente come prima che arrivassero i “normalizzatori”.

La domanda, per dirla alla Lubrano (altra colonna Rai di un tempo) sorge spontanea: il tentativo di regimentare l’informazione è funzionale – o meglio, che risultati porta – a chi lo pratica? Davanti all’addio di programmi con forte audience, sia di opinione che di cultura, affrontato dalla Rai in quest’ultimo anno come non ricordare l’editto bulgaro. L’allora Berlusconi premier “cacciò” dal palinsesto Rai, che controllava come presidente del Consiglio insieme alle sue tre reti Fininvest, professionisti come Enzo Biagi, Michele Santoro e il comico Daniele Luttazzi. “Hanno fatto della televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, un uso criminoso e io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga”, disse alle telecamere a Sofia.

Auditel, la Rai non comincia con il piede giusto e continua ancora peggio

Era il 2002. Oggi questo centrodestra non colpisce direttamente l’informazione scomoda, ma ha occupato i posti di vertice di viale Mazzini e le conseguenze dell’ingerenza politica si vedono. Dai dati Auditel elaborati per Il Sole 24 Ore dallo Studio Frasi, la nuova stagione 2023-24 per la Rai è iniziata non bene, dopo che l’estate scorsa in tv ha premiato Mediaset nel confronto sugli ascolti. Tra giugno e agosto il Biscione ha avuto una quota d’ascolto media del 37,5% in prima serata (37% nelle 24 ore); la Rai ha toccato il 35,7% nel giorno medio. E questo alla vigilia di una stagione che vede lo stravolgimento dei programmi di approfondimento giornalistico di viale Mazzini. Se l’addio di Augias è di queste ore, Myrta Merlino e Bianca Berlinguer erano già passate a Cologno Monzese; Massimo Gramellini aveva traslocato a La7, mentre l’ex direttrice del Tg1 Monica Maggioni era andata a sostituire Lucia Annunziata a “In Mezz’Ora” su Rai 3.

Ma il caso “di scuola” è stato lo straannunciato trasloco forzato di Fabio Fazio da Rai 3 al Nove di Warner Bros-Discovery. Con quali risultati Auditel? Per stare sull’attualità, la scorsa domenica 5 novembre Rai 1 con la fiction Cuori 2ha toccato i 3.045.000 telespettatori (share del 15,02% nella prima puntata); mentre Rai 3 con Reportha raggiunto 1.333.000 spettatori per il 6,66% di share. Detto che su Canale 5 la soap opera Terra amara si è attestata su 2.553.000 telespettatori (15,54% di share), come è andato Fazio? Sul Nove il suoChe tempo che fa ha ottenuto nel programma 2.156.000 spettatori per il 10,53% di share. In soldoni, il programma condotto da Fazio sulla semisconosciuta rete TV 9 (che sulla piattaforma Sky figura addirittura sul canale 149), fa quasi gli stessi ascolti di quando lo trasmetteva la Rai.

Un elemento di valutazione economica (ma oggi anche politico) è quello dei costi di produzione e dei ricavi pubblicitari per “Che tempo che fa”. La Rai non ha mai voluto renderli noti, ma più voci concordano che ogni puntata del programma costasse all’azienda pubblica 400 mila euro; mentre l’introito pubblicitario si attestava a circa 800 mila euro. Un dato che da solo, proiettato su una stagione intera (30-35 puntate), darebbe il conto del disastro (auto)imposto alla Rai per obbedire alle direttive del centrodestra. Valutazione che fa il paio con quelli ufficiali per il fronte comunicazione: è il settore che sta più a cuore al governo, visto che palazzo Chigi non risparmia mai frecciate a stampa e tv sul loro operato. Dalle ultime analisi presentate sempre dallo Studio Frasi il Tg1 della sera resta leader (3,5 milioni in media), ma perde centomila spettatori; è il solo, dei tre telegiornali della sera a perdere ascolti, perché il Tg5 (è a 2,7 milioni) ne guadagna 33 mila; ma soprattutto cresce il Tg di La7 (fa 806 mila spettatori di media): ne guadagna 42mila.

Come ha sottolineato Barbara Scaramucci su Articolo 21, “un aspetto agghiacciante dei numeri sugli ascolti tv è che, secondo uno studio Swg, neppure gli spettatori che votano a destra sono attratti dai nuovi programmi della Rai occupata dai partiti di governo. Restano a Mediaset o vanno in giro sulle piattaforme se sono abbonati”. A questa riflessione va agganciata quella di Aldo Grasso, il principale studioso della materia comunicazione, riferita però alla radio pubblica, sul Corriere della Sera del 3 novembre. “Ho perso un faro nell’etere: non riconosco più Radio 1. Sì, chi vince le elezioni ama circondarsi di persone che ritiene rappresentino le proprie idee, ma i criteri di professionalità non dovrebbero mai venire meno”. E ha specificato poi che Radio 1 “ha perso autorevolezza, qualità, il suo ruolo storico. Ma li avete mai sentiti i programmi di Roberto Poletti, di Marcello Foa, di Annalisa Chirico, di Francesco Storace e Vladimir Luxuria, di Monica Setta, di Emanuela Falcetti, di Igor Righetti?”.

Va aggiunto che anche a Radio 1, come nei canali news della Rai, Meloni & company hanno sostituito tutti i direttori. Insomma, quella del governo sull’informazione somiglia a una operazione di distrazione di massa: l’importante, per chi guida la macchina, è non (far) parlare di certi argomenti; o meglio, di dettare l’agenda della comunicazione facendo filtrare solo i temi che monopolizzano la platea informativa. I fatti e i dati parlano, seguendo il presupposto geneticamente malato che spinge i partiti oggi al potere a mettere all’indice l’informazione scomoda. E’ tipico dei regimi autoritari, ma in Italia non funziona (e non solo perché non siamo all’autocrazia o al sovranismo puro): il processo infatti si scontra con una realtà incontrovertibile: gli italiani continuano a seguire gli stessi programmi “antipatici” alle destre vietati sulla Rai. Con la sostanziale differenza che veicolano gli stessi temi di prima, ma facendo incassare soldi – tanti – alle televisioni concorrenti.